28 luglio 2011

Utoya

“Vi prego, non fatemi leggere messaggi pieni di rancore, di sostegno alla pena di morte, o qualcosa di simile.
Se qualcuno crede che qualcosa migliorerà uccidendo questa piccola persona triste, ha profondamente torto."

Tore Sinding Bekkedal, 23 anni, sopravvissuto di Utøya, Norvegia.

26 luglio 2011

2010, Anno Record per le Emissioni di CO2. E gli Accordi di Cancun?

di Donatella Scatamacchia *

Le ultime stime dell'Agenzia Internazionale sull'Energia (AIE) attestano che le emissioni di anidride carbonica (CO2) nel corso del 2010 hanno raggiunto i massimi livelli storici. Infatti, dopo una diminuzione di emissioni di CO2 verificatasi nel 2009 e causata essenzialmente dalla crisi economica, l'anidride carbonica nell'atmosfera è salita a un record di 30,6 Gigatonnellate (Gt), con un salto del 5% dal precedente record stimato nel 2008, quando i livelli avevano raggiunto le 29,3 Gt. Secondo Fatih Birol, economista all'AIE e supervisore della pubblicazione annuale dell'Agenzia, il World Energy Outlook, “la significativa crescita delle emissioni di CO2 rappresenta un ostacolo alle speranze di limitare l'aumento della temperatura globale a non più di 2 gradi centigradi”. Infatti, durante il meeting della Nazioni Unite sul cambiamento climatico, svoltosi a Cancun lo scorso dicembre 2010, i leader mondiali si sono trovati d'accordo nel limitare l'aumento della temperatura terrestre non oltre i 2 gradi. Affinché questo obiettivo venga raggiunto, la concentrazione di gas inquinanti nell'atmosfera nel lungo periodo deve essere limitata a 450 milioni di particelle di CO2 equivalente. Questa cifra corrisponde ad un aumento del 5% delle stesse, comparate ai 430 milioni di particelle nell'atmosfera nel 2000.

Per rispettare il patto stabilito, entro il 2020 le emissioni di CO2 non dovrebbero superare le 32 Gt. Questo significa che nei prossimi dieci anni, è permesso un aumento delle emissioni che corrisponde al totale delle emissioni stesse stimato tra il 2009 e il 2010. Sulla base di queste considerazioni, la situazione non è delle più rosee. Inoltre, considerando i ritmi di crescita di Paesi economicamente emergenti, come la Cina e l'India, sarà molto difficile raggiungere gli obiettivi di Cancun. Infatti, basti considerare che, sulla base del reddito pro-capite, i Paesi membri dell'OECD collettivamente emettono 10 tonnellate di CO2, comparate alle 5,8 tonnellate della Cina e alle 1,5 tonnellate dell'India. Ed è probabile che queste siano destinate ad aumentare con la loro crescita economica.

da:
www.greenternet.info

18 luglio 2011

In Sud Sudan e Somalia il Corno d’Africa si spacca


di Matteo Guglielmo *

CORNO D'AFRICA. Il Sud Sudan è indipendente, ma diverse questioni restano ancora aperte. La missione etiopica di peace-keeping ad Abyei e il ruolo dell’Uganda in Somalia hanno inaugurato un nuovo asse regionale. L’approccio militare può dividere il Corno d’Africa.

Il 9 luglio è nato il 54° stato africano.
Il Sud Sudan ha dichiarato la sua indipendenza, conquistata dopo vent’anni anni di lotta di liberazione e ufficializzata dal referendum popolare tenutosi lo scorso gennaio, ma i cui esiti erano già largamente prevedibili. Dopo l’Eritrea, il Sud Sudan è il secondo stato dell’Africa sub-sahariana, e in particolare del Corno d’Africa, ad aver compiuto una secessione in deroga ai principi di conservazione dei confini ereditati dal periodo coloniale sanciti nel 1964 dall’Organizzazione per l’unità africana, oggi Unione Africana (Ua).

Come sottolineano diversi analisti, non sarà di certo l’indipendenza a sciogliere alcuni nodi che caratterizzano e continuano a mettere a dura prova la stabilità dell’area. Su tutti vi è la demarcazione confinaria legata alla provincia di Abyei, con le sue riserve petrolifere e dunque preziosa sia per il governo di Khartoum che per quello di Juba. Anche se molti restano scettici sull’effettiva ricchezza dei pozzi di Abyei, il 21 maggio scorso le forze armate sudanesi acquisivano il controllo della città, causando la fuga di migliaia di persone e portando i due paesi sull’orlo della guerra.La crisi di Abyei è parzialmente rientrata a fine giugno, quando ad Addis Abeba i due governi hanno siglato un accordo quadro che, oltre a sancire un’intesa militare sulla provincia contesa, sarebbe stato seguito da un altro, riguardante il Kordofan meridionale e il Nilo Azzurro, due regioni ufficialmente sotto Khartoum, ma che al pari del Sud Sudan si erano distinte per l’opposizione militare al governo sudanese. Gli accordi di Addis Abeba, pur restando confinati in un ambito militare e scaturiti dall’attività di mediazione di un High level implementation panel dell’Unione africana (Auhlip) presieduto dal presidente sudafricano Thabo Mbeki, testimoniano il ruolo centrale dell’Etiopia all’interno dei sistemi di potere e di leadership regionale. Come sancito dagli accordi, Addis Abeba ha da pochi giorni ultimato un primo dispiegamento di una forza di peace-keeping che conterà circa 4200 caschi blu, anche se il numero potrebbe nei prossimi mesi salire a 7mila.La missione, denominata United nations interim security force for Abyei (Unifsa), è stata approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu attraverso la risoluzione 1990 del 27 giugno, e avrà il compito di monitorare il ritiro delle forze armate sudanesi in modo da smilitarizzare completamente l’area consentendo la protezione dei civili e - come sancito dal testo - delle infrastrutture petrolifere presenti in loco.La proposta di risoluzione è stata avanzata dagli Stati Uniti, che attraverso il loro rappresentante alle Nazioni unite Susan Rice hanno espresso piena soddisfazione non solo per l’approvazione in Consiglio di Sicurezza, ma anche per la disponibilità delle forze etiopiche. Secondo alcuni analisti, l’Etiopia dovrebbe garantire solidità e professionalità alla missione, data l’esperienza del suo personale militare e la conoscenza del territorio.Nonostante la risoluzione Onu e il ruolo centrale giocato dall’Etiopia, le misure intraprese restano per ora confinate all'ambito militare. Aspettando che il successo dei negoziati possa tradursi anche in un processo di normalizzazione politica, il caso sudanese rappresenta un’ulteriore conferma di vecchi e nuovi equilibri di potere la cui strutturazione rischia di incrementare altre tensioni legate alla regione del Corno d’Africa. Oltre all’Etiopia infatti, un attore che ha saputo guadagnarsi la stima della comunità internazionale è l’Uganda di Yoweri Museveni. Dal 2007 il paese è il maggior contributor in termini di personale militare di Amisom, la missione di peace-support dell’Unione africana in Somalia, e di cui gli Stati Uniti restano il primo finanziatore. Ad oggi Amisom è composta da circa 9mila caschi verdi, in gran parte provenienti dall’Uganda.

Il 26 giugno il Pentagono ha stanziato una spesa aggiuntiva di 45milioni di dollari per Amisom, parte di un pacchetto di 145milioni riservati a varie operazioni su cui il Dipartimento per la Difesa attende a breve un’approvazione da parte del Congresso. Kampala riceverà altri aiuti (poco più di 4milioni) in equipaggiamento militare, mentre è possibile quantificare il totale del finanziamento statunitense all’Uganda e al Burundi per Amisom in una cifra non lontana dai 185milioni di dollari. Grazie al contributo per Amisom, l’Uganda ha potuto maturare in Somalia anche ambizioni politiche. Ne è prova il ruolo giocato dal presidente Museveni negli accordi di Kampala del 9 giugno, volti a ricucire la frattura tra il presidente somalo Sheikh Sharif Sheikh Ahmed e lo speaker del parlamento Sharif Hassan Sheikh Aden. Nonostante la sostanza di tali accordi rimanga piuttosto controversa, soprattutto per i sostenitori dell’ex primo ministro Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmaajo” costretto a dimettersi, l’Uganda sembra aver allargato il proprio ambito di azione oltre il ruolo prettamente tecnico-militare, massimizzando i guadagni in termini sia economici sia politici.L’asse etiopico-ugandese si pone quale nuovo fulcro del delicato balance of power del Corno d’Africa. Il sostegno degli Usa e dell'Onu tende a legittimarne l’operato su scala globale, mentre l’Unione Europea, priva di un inviato speciale, non riesce ancora ad assumere una posizione chiara e ad agire in modo più compatto e articolato. Anche all’interno dell’Unione Africana Kampala e Addis Abeba si distinguono per un attivismo che già da tempo hanno saputo imporre all’interno dell’Inter-governmental authority on development (Igad). È proprio in quest’ambito che il nuovo sistema di alleanze mostra tuttavia le lacune più profonde. I dubbi ruotano intorno alla sostanza della leadership proposta dai due paesi, che ancora una volta risulta efficace sul piano militare e della sicurezza, ma quasi assente su quello politico-diplomatico.

Il 4 luglio scorso, la diciottesima sessione straordinaria dei capi di Stato e di governo dell’Igad rilasciava un comunicato incentrato sugli sviluppi politici in Sudan, Somalia ed Eritrea. La riunione, tenutasi proprio ad Addis Abeba e preceduta pochi giorni prima da una sessione straordinaria del Consiglio esecutivo e dei ministri dell’Igad convocata a Malabo (Guinea Equatoriale), oltre ad esprimere soddisfazione per gli esiti della mediazione dell’Auhlip riguardo la questione di Abyei, ha evidenziato un approccio più duro e militante verso la crisi somala e sul ruolo del governo eritreo nella regione.Su quest’ultimo punto l’Igad, di cui tecnicamente Asmara sarebbe ancora un membro, ha invitato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a inasprire le sanzioni contro l’Eritrea, colpevole secondo l’Assemblea di destabilizzare il Corno d’Africa offrendo aiuto militare a vari gruppi di opposizione armata. La risposta del governo eritreo alle nuove accuse è arrivata attraverso una nota del ministero degli Esteri, in cui si tende a sottolineare ancora una volta un’eccessiva parzialità nell’operato della comunità internazionale nel Corno d’Africa, e in particolare di uno sbilanciamento verso posizioni filo-etiopiche. Se rispetto al caso eritreo l’Igad ha preferito un approccio di scontro, anche riguardo al conflitto somalo la sua posizione non cambia. Nel comunicato restano evidenti alcune affermazioni incongrue rispetto alle dinamiche riscontrabili sul campo: i paesi membri sono invitati a proseguire nel sostenere le Istituzioni federali di transizione (Ift) nel rafforzare le amministrazioni locali di un governo il cui controllo resta però confinato ad alcuni quartieri di Mogadiscio. Nello stesso comunicato si richiede inoltre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di incrementare un regime di embargo sui porti controllati dagli Shabaab di Chisimaio, Brava, Merca ed el-Maan, per evitare che possano arrivare nuovi rifornimenti di armi. Se la guerriglia somala si avvale costantemente degli introiti finanziari ricavati dalla gestione dei vettori portuali, questi sono anche utilizzati per altri scopi, come il rifornimento di merci e di derrate alimentari. In un momento in cui il Corno d’Africa, e in particolare la Somalia, attraversa una delle più gravi carestie degli ultimi anni, il rafforzamento del blocco sui porti meridionali potrebbe aggravare la crisi umanitaria in atto. Se a Juba si festeggia, Mogadiscio è destinata ancora una volta a sopportare gli effetti negativi di un approccio militare che da diversi anni si è sostituito alla politica. Il nuovo asse etiopico-ugandese sta assumendo un ruolo determinante negli equilibri regionali, ma se il suo fulcro continuerà a reggersi in modo esclusivo sulla sicurezza, l’impressione è che difficilmente possa essere risolutivo delle crisi che continuano ad attraversare il Corno d’Africa.

di Sud Sudan si parla anche in Limes 3/11 "(Contro)Rivoluzioni in corso"
Collegamenti: Gees - Corno d'Africa Inside Hoa (Contro)Rivoluzioni in corso Home

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(Carta di Laura Canali tratta da Limes 3/10 "Il Sudafrica in nero e bianco")

* Matteo Guglielmo è dottore in Sistemi Politici dell’Africa all’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, autore del volume Somalia, le ragioni storiche del conflitto, ed. Altravista, 2008.

da Limes 11 luglio 2011

15 luglio 2011

TAV: “Impegno per una libera e corretta informazione”


Diritto alla corretta informazione

Manifestazione del 3 luglio 2011-Val Susa-No TAV

Ramats, Exilles, Chiomonte, Giaglione: presente!!!

Movimento Valledora - Biella Vercelli

Gruppo delle Cinque Terre

Alternativa Piemonte

Coordinamento ambiente rifiuti Piemonte - CARP

Comitato parco Mauriziano - Chivasso

Centrotelli - Chivasso

Informiamo te e tutta la popolazione

che le comunicazioni finora passate tramite i giornali e la televisione forniscono una rappresentazione distorta della manifestazione e dei fatti accaduti domenica scorsa in Valsusa.

Passano immagini e si sentono parole non corrispondenti a quello che noi abbiamo potuto vedere.

I comunicati degli esponenti di partito dipingono il movimento NOTAV come massa eversiva per screditarlo presso l’opinione pubblica. Usando a loro discrezione i canali informativi pubblici, i politici insistono sulla necessità dell’opera, quando addirittura non la impongono senza ammettere discussioni: si farà e basta!

Pietosamente non commentiamo le dichiarazioni di opinionisti che non hanno mai visto quello o altri progetti di grandi opere o di opere di cementificazione del territorio,

non hanno mai letto una relazione geologica,

non hanno mai esaminato un piano regolatore , un piano acque o un piano territoriale di coordinamento o paesaggistico.

Domenica 3 luglio migliaia di persone si sono ritrovate in Val Susa per le seguenti ragioni fondamentali:

↗ manifestare pacificamente un dissenso inascoltato da decenni

esprimere il loro pieno sostegno alle ragioni del movimento No TAV

↗ promettersi un impegno collettivo nazionale che segni la fine degli sprechi di danaro pubblico e la fine della devastazione del territorio italiano salvaguardando terra, acque, aria, ambiente, risorse, paesaggio, nonché la salute delle persone, e tutto ciò che è patrimonio collettivo, compresa l’informazione

Ritenendo gravissime la censura e la manipolazione delle informazioni (compresa la verità sul numero dei partecipanti), ti invitiamo a sottoscrivere questo comunicato insieme a noi , a divulgarlo e a farlo tuo.

“Impegno per una libera e corretta informazione”

www.movimentovalledora.org; www.gruppocinqueterre.it; alternativa.piemonte@gmail.com;

www.centrotelli.blogspot.com; carp.piemonte@gmail.com

12 luglio 2011

Tutti i nodi della Tav


di Andrea Boitani e Francesco Ramella *

La Tav è ritornata a fare notizia. Per non perdere il modesto contributo europeo, il Governo ha deciso di dare inizio ai lavori per il tunnel geognostico della Maddalena. Ed è ripartita la protesta di gran parte della comunità locale. Si parla ora di un nuovo progetto, con una realizzazione per fasi. In attesa che sia ufficialmente definito, riproponiamo i contributi che in materia di Tav lavoce.info ha pubblicato negli ultimi anni. Serviranno a riannodare i fili di un ragionamento non emotivo su un'opera che richiede comunque un investimento molto elevato.

È ritornata di prepotenza sulle prime pagine dei giornali la saga della Tav. Per non perdere il modesto contributo europeo, il Governo ha deciso di dare inizio ai lavori per il tunnel geognostico della Maddalena. È seguita la rinnovata protesta, in larghissima misura pacifica e “ragionata”, di una parte importante della comunità locale e quella inaccettabilmente violenta di chi poco o nulla ha a che fare con la Val Susa e che è abituato a menare le mani più che a usare il cervello.

DOV'È LA LOGICA ECONOMICA?

Non sono peraltro emerse negli ultimi tempi novità significative in merito alla opportunità di realizzazione dell’opera. Ai ripetuti interventi critici ospitati negli scorsi anni da lavoce.info non ha fatto seguito alcuna replica “quantitativa”; probabilmente in mancanza di argomenti migliori, si è continuato a ripetere slogan relativi a una presunta “strategicità del progetto”, all’isolamento dall’Europa o alla interruzione in Val Susa di un improbabile (ora e nel futuro) Corridoio V.
Negli ultimi giorni sono emerse alcune indiscrezioni in merito a una possibile realizzazione per fasi del progetto, che prevederebbe l’immediato inizio dei lavori per il tunnel di base fra Italia e Francia e il rinvio a dopo il 2030 dell’adeguamento della tratta nazionale a ovest di Torino. In questo modo si arriverebbe a un abbattimento significativo dei costi nel medio periodo.
Tale decisione sembra peraltro rispondere più a ragioni di cassa che non a una logica economica e trasportistica.

Come spesso ripetuto, la tratta ferroviaria transfrontaliera, oggetto di un importante intervento di ammodernamento nell’ultimo decennio, sarebbe in grado di soddisfare flussi di traffico da due a tre volte superiori al massimo raggiunto nei primi anni Duemila (da quando, invece, il traffico è in diminuzione). Assai più elevato è il numero di treni sulla tratta verso il nodo di Torino interessata sia dal traffico merci che dal trasporto locale, sebbene anche questa tratta sia ancora lontana dalla saturazione. Molti riconoscono che la tratta tra Avigliana e Bussoleno sia il collo di bottiglia dell’intero itinerario. Da qui, se partire si vuole, occorrerebbe iniziare per velocizzare il traffico ferroviario tra Torino e Lione. Se si parte dal tunnel di base, è solo per non perdere il contributo europeo, visto che la Commissione finanzia (molto parzialmente) esclusivamente la tratta internazionale? Viene allora anche da chiedersi se la logica con cui la Commissione europea decide l’allocazione delle risorse sia quella economica, volta a risolvere nel modo più efficace e meno costoso possibile i problemi di trasporto del continente, o quella formale di finanziare esclusivamente tratte internazionali, indipendentemente dalla loro utilità.
In attesa che il nuovo progetto “low cost” sia ufficialmente definito e sia possibile una sua analisi approfondita sotto il profilo economico, riproponiamo i contributi che in materia di Tav lavoce.info ha pubblicato negli ultimi anni. Serviranno comunque a riannodare i fili di un ragionamento non emotivo su un progetto di investimento che potrebbe costare nei prossimi quindici anni come un terzo della manovra che il governo vorrebbe varare per decreto in pochi giorni.

* www.lavoce.info 5 luglio 2011


appuntamenti: Carignano (TO): 14 luglio 2011 ore 21 “ La TAV fa male anche alla pianura…”

con: Marina Clerico, Massimo Marino, Chiara Sasso

http://eco-piemonte.blogspot.com/2011/07/carignano-to-la-tav-fa-male-anche-alla.html

1 luglio 2011

I Premi Nobel: 'Stiamo violando confini che ci hanno assicurato gli ultimi 10 mila anni'

Mentre gli italiani si apprestavano a votare i referendum sui beni comuni e sulla gestione delle risorse, dai Premi Nobel arrivava un messaggio inequivoco: la pressione umana sulla natura sta superando il limite. "non possiamo più continuare su questo percorso" sostengono gli scienziati. Il Nobel Laureates Symposium on Global Sustainability tenutosi a Stoccolma ha divulgato un documento firmato dai Premi Nobel che richiede azioni urgenti per affrontare la pressioni umane sull'ambiente terrestre, garantendo nel al tempo stesso un mondo più equo e giusto. Il voto degli italiani, forse senza saperlo, ha seguito il loro consiglio.

"La scienza ci avverte che siamo passando i confini planetari che hanno protetto la civiltà umana negli ultimi 10.000 anni. Aumentano le prove del fatto che la pressione umana supera ormai la capacità di recupera da parte della Terra", spiega la nota. "Gli esseri umani sono il motore più significativo di un cambiamento globale, che sta spingendo il pianeta in una nuova epoca geologica, l'Antropocene".

Un senso di urgenza pervade l'intero documento, che dichiara senza mezzi termini, "Il tempo dei rimandi è finito. Non possiamo permetterci il lusso di negare".

Il documento delinea otto aspetti che devono essere affrontati e due ordini di azioni: di emergenza e di lungo periodo, far avanzare l'umanità verso 'una civiltà globale, equa e sostenibile'

Tra le misure da intraprendere la riduzione della povertà, un forte accordo sul clima, il disaccoppiamento della crescita economica dal consumo di risorse e di energia, la garanzia di cibo per tutti, la ridefinizione dell'economia globale, sulla base del riconoscimento dei servizi ecosistemici, aumentando la consapevolezza riguardo il consumo eccessivo e la crescita della popolazione, il rafforzamento della governance globale, e la creazione di un centro di ricerca dedicato allo studio di problemi di sostenibilità globale.

"Il nostro invito è fondamentale per la trasformazione e l'innovazione in tutti i settori e in tutte le scale, al fine di fermare e invertire cambiamenti ambientali globali e muoverci verso una prosperità equa e duratura per le generazioni presenti e future", si legge nel documento.

Tra le raccomandazioni specifiche, stabilire un alto prezzo per il carbonio, la progressiva eliminazione di sussidi ai combustibili fossili, la creazione di rigorosi standard di efficienza delle risorse, superando il PIL come standard di successo di una società, potenziare l'educazione delle donne in tutto il mondo, e aumentare l'educazione scientifica.

"Siamo la prima generazione che affronta la prova del cambiamento globale - conclude il documento - Spetta quindi a noi di cambiare il nostro rapporto con il pianeta, per far pendere la bilancia verso un mondo sostenibile per le generazioni future".

da: www.salvaleforeste.it 15 giugno 2011