23 marzo 2018

Grossi guai per l’Accordo di Parigi: nel 2017 le emissioni globali di CO2 sono cresciute


Lo strano caso degli Usa dove Trump vuole il carbone ma crescono le rinnovabili


«Nel 2017, le emissioni globali di CO2 legate all’energia sono cresciute dell’1,4%, raggiungendo un massimo storico di 32,5 gigatonnellate, una ripresa della crescita dopo tre anni di emissioni globali piatte». A dare questa brutta notizia per il clima e per l’Accordo di Parigi è il “Global Energy & CO 2 Status Report” dell’Internationale Energy agancy (Iea) che però aggiunge che l’aumento delle emissioni di CO2 non riguarda tutte le aree del mondo: «Mentre la maggior parte delle principali economie ha visto un aumento, alcune altre hanno registrato cali, tra le quali Stati Uniti, Regno Unito, Messico e Giappone». E la cosa singolare è che il calo più consistente viene proprio dagli Usa di Donald Trump che vuole più carbone mentre vengono installati sempre più impianti per produrre energia rinnovabile.


Il rapporto Iea evidenzia che «Nel 2017, la CO2 globale legata all’energia è aumentata dell’1,4% , con un aumento di 460 milioni di tonnellate (Mt), e ha raggiunto un massimo storico di 32,5 gigatonnellate (Gt). La crescita dello scorso anno è arrivata dopo tre anni di emissioni piatte e contrasta con la forte riduzione necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici». E’ come se in un anno fossero state messe in strada 170 milioni di auto in più e l’amento delle emissioni di carbonio è il frutto di una crescita  economica globale del 3,7%, di prezzi più bassi dei combustibili fossili e di una diminuzione degli sforzi per l’efficienza energetica più deboli. «Questi tre fattori hanno contribuito a far salire la domanda globale di energia del 2,1% nel 2017», dice il rapporto.
Ma non dappertutto: negli Usa le emissioni sono diminuite dello 0,5%, o 25 Mt, calando a 4.810 Mt di CO2 , segnando il terzo anno di calo consecutivo. Ma c’è una novità: mentre negli anni precedenti nella riduzione delle emissioni  ha svolto un ruolo importante la conversione da carbone a gas delle centrali elettriche, nel 2017 il calo è stato il risultato di una maggiore produzione di elettricità da fonti rinnovabili e da un calo della domanda di elettricità. Negli Usa la quota di energie rinnovabili nella produzione di energia elettrica ha raggiunto un livello record del 17%, mentre la quota di energia nucleare si è mantenuta stabile al 20%.

Anche nel Regno Unito, le emissioni sono diminuite del 3,8%, o di 15 Mt, calando a 350 Mt di CO2, il livello più basso registrato dal 1960. La Gran Bretagna sta continuando la transizione dal carbone al gas e alle fonti rinnovabili che ha portato a un calo del 19% della domanda di carbone . In Messico, le emissioni sono calate addirittura del 4%, grazie al calo dell’utilizzo di petrolio e carbone, all’aumento dell’efficienza nel sistema energetico, alla forte crescita delle energie rinnovabili e da un lieve aumento dell’utilizzo complessivo del  gas. In Giappone, le emissioni di CO2 sono diminuite dello 0,5% grazie all’aumento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili e al calo di utilizzo di petrolio combustibili fossili, in particolare petrolio, da parte delle popolazioni sfollate dopo la catastrofe nucleare di Fukushima Daiichi.

Ma la situazione resta preoccupante perché sono le economie asiatiche a rappresentare i due terzi dell’aumento globale delle emissioni di carbonio. Nel 2017 l’economia cinese è cresciuta “solo” del 7%  e anche se le sue emissioni  sono aumentate solo dell’1,7% (150 Mt) grazie al continuo dispiegamento di energie rinnovabili e al passaggio più veloce dal carbone al gas, hanno raggiunto le 9,1 Gt, quasi l’1% in più rispetto al livello del 2014. Anche se la domanda di carbone della Cina ha raggiunto il picco nel 2013, le emissioni legate all’energia continuano ad aumentare  a causa dell’aumento della domanda di petrolio e gas.

Anche nell’altra superpotenza asiatica e planetaria, l’India, la crescita economica spinge verso l’alto la domanda di energia e le emissioni, ma a metà del tasso osservato negli ultimi 10 anni. Nel 2017 le emissioni pro-capite dell’India erano1,7 t CO2 , ben al di sotto della media globale pro capite di 4,3 tCO2.
Cattive notizie anche dalla “virtuosa” Unione Europea, dove, nonostante impegni solenni e Direttive vincolanti, le emissioni sono cresciute dell’1,5%, aggiungendo quasi 50 Mt di CO2, invertendo parte dei progressi compiuti negli ultimi anni, soprattutto a causa della robusta crescita del consumo di petrolio e gas. il rapporto Iea evidenzia che nell’Unione europea «Il tasso di miglioramento dell’intensità energetica è sceso dello 0,5% rispetto all’1,3% dell’anno precedente».

Anche le economie del Sud-est asiatico hanno contribuito all’aumento delle emissioni, con l’Indonesia in testa con un aumento del 4,5% rispetto al 2016. Ma è noto che Jakarta non sta rispettando l’impegni per fermare la deforestazione.
Il “Global Energy & CO 2 Status Report”  sottolinea che «La crescita delle emissioni di biossido di carbonio legate al settore energetico nel 2017 è un forte avvertimento per gli sforzi globali volti a combattere i cambiamenti climatici e dimostra che gli attuali sforzi non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi».

Il Sustainable Development Scenario  dell’’International Energy agency  traccia un percorso verso la realizzazione di obiettivi climatici a lungo termine de dice che «Le emissioni globali devono raggiungere il picco a breve e diminuire drasticamente fino al 2020». I dati del Global Energy & CO 2 Status Report”   dimostrano che «questo calo ora dovrà essere ancora maggiore dato l’aumento delle emissioni nel 2017. Per raggiungere gli obiettivi di questo scenario, la quota di fonti energetiche low-carbon dovrebbe aumentare di 1,1 punti percentuali ogni anno, oltre cinque volte la crescita registrati nel 2017. Nel settore energetico, in particolare, la generazione da fonti rinnovabili dovrebbe aumentare di circa 700 TWh all’anno in questo scenario, l’80% in più rispetto all’aumento di 380 TWh registrato nel 2017».

da greenreport.it  - 23 marzo 2018

20 marzo 2018

Elezioni: Come uscire dalla seconda Repubblica ?



di Massimo Marino 

Si dice che con il voto del 4 marzo siamo entrati nella Terza Repubblica. Quella dei Cittadini, aggiungono alcuni di area 5Stelle, quella dei Populismi, sibilano preoccupati i sostenitori dei perdenti, quella degli Italiani sostiene la destra postfascista. 

Per adesso non siamo entrati da nessuna parte, sostengo io, perchè l’unica cosa chiara è che è saltata non solo la possibilità di avere una coalizione vincente ( in realtà mai esistita) ma anche il piano B, l’accordo Renzi-Berlusconi, tenuto di riserva in nome della governabilità e dei barbari alle porte.  PD e Forza Italia, per giunta senza gregari disponibili, non sono in grado di inventare un governo. Con un sistema in buona parte proporzionale semplicemente gli elettori gli hanno tolto i voti necessari.  Non è solo il fatto, di per sé di scarso rilievo, che si è conclusa l’epoca di Berlusconi e di Renzi. Si trovano sempre nuovi attori per la prima fila. È l’alleanza sociale che occupava il centro della scena, che ho chiamato la palude di centro, che di fatto li esprimeva, che sta dando segni di disgregazione. In quale direzione però è tutto da vedere. Per capire meglio è necessario conoscere esattamente come, dopo il preavviso del referendum costituzionale del dicembre 2016, il voto del 4 marzo 2018 ha chiuso un’epoca.  E capire quali scenari, belli o brutti, si possono aprire. 

I risultati del 4 marzo
Per cominciare: nessuno ha sedotto il partito più forte, quello dell’astensione, che al contrario di quanto si crede è ancora aumentato rispetto al 2013. Nel 2018 gli aventi diritto al voto sono lievemente aumentati a 50,8 milioni totali di cui circa 4,2 all’estero. Con riferimento alla Camera hanno espresso una scelta per una delle liste presenti 33,9 milioni di elettori pari al 66,7% contro il 72% circa del 2013 ( i dati ufficiali sono più alti perché conteggiano sempre  bianche e nulle e saltano il voto estero ).  Partendo dal 2001 si tratta della quinta scadenza nazionale consecutiva dove il numero di votanti scende di almeno 3-4 punti ad ogni elezione. Siamo a quasi 17 milioni di astenuti. Che fino ad oggi sono stati la vera quinta colonna del sistema.

La coalizione di CDX ( 4 liste) è passata da 10 a 12,1 milioni di voti ( circa il 37%). La coalizione di CSX ( 4 liste) è passata da 10 a 7,5 milioni di voti ( circa il 22,8%) . Il M5Stelle è passato da quasi 8,7 a 10,7 milioni di voti (quasi il 32,7% ). E’ bene ricordare che era assente una coalizione “di centro” che nel 2013, molto sostenuta dai media , in nome dell’austerità aveva ottenuto 3,6 milioni di voti ( i montiani di Scelta civica) e poi era rapidamente scomparsa. Era un megafono del momento utile alla burocrazia europea, con la faccia di Monti e della Fornero. In qualche modo è stato 5 anni dopo riproposto frettolosamente  con la lista +Europa della Bonino che si è guadagnata per la dodicesima volta un seggio in un Parlamento in cambio del regalo, non avendo raggiunto il quorum,  di  830mila voti al PD alla Camera e 700mila al Senato. Resta il mistero di chi ne abbia finanziato la costosa campagna elettorale.

Nessuno dei tre poli ha raggiunto il 51% degli eletti per il quale, come avevo già indicato nell’articolo citato servivano almeno 13-14 milioni di voti. Fuori dai 3 poli solo LeU ha superato, seppure di poco, il quorum del 3% ( ma  l’obiettivo dichiarato da alcuni era il 10% ) con 1,1 milioni di voti.  Potere al Popolo, come previsto, ha buttato al vento circa 700 mila voti totali nelle due Camere. Pochi di più di Casapaund rimasta al di sotto dell’ 1 %. 
Il Rosatellum, congeniato per permettere qualunque risultato  tranne che il successo del M5S,  in particolare utile per un nuovo patto di centro fra PD e Forza Italia, non è riuscito a sconfiggere le leggi della matematica. Nel 2013 la somma di PD e Forza Italia alla Camera era di 16 milioni di voti ( 8,6 + 7,4) , ai quali secondo logica andrebbero sommati gran parte di quelli del centro montiano ( 3,6 mil ) . Nel 2018 i due partiti, pur in assenza di una coalizione di centro,  sono crollati a 10,7 mil ( 6,1 + 4,6) cancellando qualunque ipotesi di rilancio del patto, ma soprattutto indicando  che il cuore  della vecchia alleanza sociale, con il conflitto simulato del bipolarismo CDX contro CSX, sembra essere stato rottamato dagli elettori attivi. 

Le cose andranno per le lunghe. La scemenza che il giorno dopo il voto bisogna sapere chi governa, una delle battute preferite di Renzi, può andare nel paese dell’islamofascismo di Erdogan o in un sistema peronista, non in una società complessa dell’occidente europeo. In Germania ci hanno messo sei mesi e non hanno discusso solo di poltrone. Il programma del nuovo governo è di 180 pagine e punto per punto tocca tutti gli aspetti della società tedesca.

I tre poli di cui i media ci presentano i risultati sono il risultato di leggi elettorali del passato, non una  proiezione della società italiana dove non esistono affatto. Infatti la vera governance era da tempo “ la palude di centro”.
Il CDX si compone di tre pezzi tenuti insieme da un calcolo di matematica elettorale, siglato da qualche frettolosa paginetta di programma, dove i diversi contraenti rappresentano strati sociali e culture anche divergenti. Il cosiddetto CSX è una cooperativa di interessi, non di idee, accomunati ormai solo dalla necessità di continuare a occupare lo stato per spartirsi i benefits possibili. Dopo il voto questi due poli non si sono formalmente disfatti solo perché fra tre mesi potrebbe esserci il bis. 
I 5stelle rappresentano segmenti i più diversi della società, si portano dietro un sacco di limiti, errori, ingenuità, ma in questo momento politico sono uniti e sostenuti in quanto aprono il varco per passare dalla seconda alla terza repubblica. Non è indispensabile amarli alla follia per sostenerli.

Il risultato del 4 marzo potrebbe chiudere davvero la seconda Repubblica, iniziata con Mani Pulite nel 1992, con l’imposizione del sistema maggioritario nel ‘94, con le leggi che hanno smantellato i diritti del lavoro ( Treu ’97, Biagi ‘02, Fornero ’11, Renzi ’15 ) e con le leggi più recenti che hanno impedito l’avvio di una possibile conversione ecologica: potenziamento degli inceneritori, sviluppo delle trivellazioni petrolifere, ridimensionamento del settore delle rinnovabili a favore dei fossili, tutela del vettore auto nella mobilità e abbandono delle reti pubbliche, avvio della TAV e rilancio dell’ipotesi del Ponte dello Stretto.

Vizi privati e pubbliche virtù del Rosatellum
Che nessuno, lista o coalizione, abbia vinto le elezioni, nel senso di avere la maggioranza per governare, era abbastanza ovvio. E’ chiaro però chi ha clamorosamente perso (PD e Forza Italia), chi ha avuto un successo maggiore del previsto ( M5S e Lega), chi ha avuto un risultato deludente ( LeU e lista della Bonino ). Gli altri, da Potere al Popolo alla Lorenzin, dai socialisti-verdi-postdipietristi di Insieme fino alla quarta gamba del centrodestra di Italia-UDC erano fuori gioco dall’inizio. Perfino la Meloni, per quanto sovraesposta sui media in funzione anti5stelle, è stata ridimensionata. 

Per quanto proporzionale solo per due terzi il Rosatellum ha funzionato abbastanza bene, mostrando con chiarezza cosa hanno scelto gli elettori.

Anche l’assenza delle preferenze, che continuo a pensare sia il male minore da scegliere, ha colto di sorpresa le cosche mafiose e ndranghetiste e in genere i venditori di clientele che non hanno potuto più di tanto organizzare pacchetti di voti e di preferenze. L’assenza delle preferenze al Sud è stata fondamentale nel depotenziare il voto di clientela. Ne è uscito un Parlamento un po’ più pulito. Con le preferenze sarebbe stato molto ma molto peggio. Non comprendo quei bontemponi presenti nella sinistra, compresi alcuni del fatto quotidiano e dei comitati referendari che continuano a dire che se si potesse scegliere con le preferenze fra 4 cloni scelti da Renzi, Berlusconi o Salvini invece delle liste bloccate, gli elettori “potrebbero scegliere.. “. Scegliere cosa ?  

Mi sembra positiva anche la impossibilità di esercitare il voto disgiunto, altro meccanismo strampalato inventato qualche anno fa per poter scegliere di qua e di là liste e candidati divergenti fra loro. 
 
Confermo più che mai la mia opinione che il limite del 3% è troppo basso e sono convinto che con il 5% ci sarebbe stato un ben più serio percorso a sinistra e alla fine maggiori possibilità di successo con un'unica lista, sempre che non sia il solito cartello elettorale degli ultimi tre mesi.... Adesso invece ci trascineremo LeU e PaP per un bel po’ di mesi o magari 1-2 anni ( si vota ancora  in 5 regioni nel 2018 e alle europee nel 2019 ) fino alla prossima invenzione pre-elettorale ( arriva De Magistris, poi Pizzarotti e chissà chi altri.. ) . Magari di una nuova sinistra ne riparliamo fra un po’ di anni...

Per intanto il Rosatellum ha dato il più giovane Parlamento mai avuto (media 44 anni alla Camera ) e con il più alto numero di donne elette ( 35% ). Da alcuni punti di vista il Rosatellum ha mostrato le sue pubbliche virtù e necessiterebbe quindi di poche correzioni: ridurre al 25% o eliminare la parte uninominale, alzare al 5% il quorum, eliminare le pluricandidature, allungare un po’ le liste delle  singole circoscrizioni  proporzionali, limare  le ingiuste regole speciali per le province autonome e quelle del voto all’estero.

L’imbroglio del Rosatellum invece sta nel meccanismo delle coalizioni prevoto, che andrebbero semplicemente abolite. Sono una truffa verso gli elettori i quali pensano di scegliere all’interno di una coalizione che invece dalla sera del voto di fatto  non esiste più o comunque i coalizzati non hanno alcunché che li costringa a restare insieme
La logica delle coalizioni prevoto è simile a quella di una cosca malavitosa: tu vieni con me che sono il più forte e in cambio ti do o ti prometto qualcosa. Concluso l’affare e incassato il malloppo, ognuno va per conto suo e fa quello che gli pare. 

Dubito che si riconosceranno le virtù e si correggeranno i vizi del Rosatellum. E’ da sperare che il M5Stelle mantenga la sua originaria posizione proporzionalista con gli opportuni correttivi, che è chiarissima, e non si faccia ammaliare dalle affascinanti  sirene del premio maggioritario, tantomeno del doppio turno.
Perché è  possibile che si rilanci il pericoloso ricatto della governabilità ritornando al peggio: premi di maggioranza, doppi turni, voti disgiunti, preferenze.  Tutti i meccanismi della casta saltellante fra destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni. Per altro si tratta proprio di un’illusione, nella più totale incertezza su chi alla fine nello scenario di oggi ci guadagnerebbe davvero. 
 
Superato il voto per i presidenti delle due Camere inizieranno le trattative per trovare un governo. I partiti sono costretti a fare in fretta, meno lo sono i 5stelle. E’ bene chiarire che il governo Gentiloni resta in piedi. E se qualcuno proponesse di portare al voto delle Camere o degli Uffici di Presidenza  nascenti il dimezzamento dello stipendio dei parlamentari o un taglio dei vitalizi e magari qualche norma di emergenza anticorruzione? Un simulacro di attività parlamentare sotto gli occhi dei cittadini: reggerebbero i vecchi poli ? 
  
Quando si tornerà al voto, che ritengo probabile a giugno o a ottobre, comunque tutti riconosceranno che rispettando il voto degli elettori è fattibile dopo le elezioni  formare le maggioranze possibili costruendo alleanze serie. Dove ci si confronta e si cerca una convergenza sul programma delle cose da fare, sulle riforme vere che servono al paese. Lo fanno normalmente in altri paesi. Gli elettori saranno liberi di scegliere. Il sistema politico si adeguerà. O verrà definitivamente travolto.  

La terza Repubblica  può essere sorprendente o deprimente
I risultati a sorpresa  del voto sono una conferma della incapacità di tutti noi di comprendere cosa avviene nel profondo della società italiana. Dei sondaggi non dico nulla per pietà.  Nella campagna elettorale i media hanno sottolineato il ritorno trionfale di Berlusconi come leader indiscusso del CDX ( invece, superato da Salvini, Forza Italia ha perso altri 2,8 milioni di voti ). Si sosteneva la possibile tenuta del PD renziano dato sempre di qualche punto appena sotto i 5stelle ( è finita 18 a 32 ). Hanno massacrato per un mese i grillini per le mancate donazioni di alcuni, per i candidati massoni, per la supposta insostenibilità del reddito di cittadinanza etc... ma parte degli elettori ha letto, per fortuna, il messaggio esattamente al contrario: i grillini fanno subito fuori quelli non in regola mentre gli altri se li tengono stretti, propongono un reddito-salvagente per quei 5-10 milioni di persone che, specie al sud, non sono in grado di galleggiare invece dei bonus preelettorali, non rubano e comunque fanno rispettare le norme etiche che si sono dati, etc. ... 

E così hanno votato di conseguenza. In 8 regioni del Sud il M5S ha superato il 40% (Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Campania, Basilicata, Molise, Abruzzo) e stravinto nella gran parte dei corrispondenti collegi uninominali. In 5 regioni ha superato comunque il 25% (Lazio, Marche, Emilia R., Liguria, Piemonte). E’ stato appena al di sotto del 25% in 4 (Toscana, Veneto, Friuli, Val d’Aosta  ).  Soltanto in Lombardia e Trentino AAST si è fermato intorno al 20%. Al contrario del 2013 si tratta di un voto molto differenziato fra sud e nord del paese, sovrapponibile in pieno ai livelli differenziati di reddito da sempre noti.

Il successo del CDX, sopra il 40%, si è confermato nelle tre regioni del nordest (Lombardia, Veneto, Friuli) ma l’espansione della Lega è arrivata inaspettata anche in Piemonte. La proposta della flat tax, nella versione della tassa unica al 23% (Forza Italia) o al 15% ( Lega) al posto dell’IRPEF, per quanto confusa è di fatto l’esatto contrario del reddito di cittadinanza: tutela ricchi e  ceti medio alti, ma insieme al leghismo intollerante contro l’immigrazione, ha trovato nuovi, provvisori, sostenitori.

Il PD ha superato il 30% soltanto in Toscana ed Emila R. Al governo ha prodotto numeri incerti sull’occupazione e una manciata di bonus preelettorali ( dal bebè all’anziano d’annata). Uno studio della UIL ne ha identificati 19 per un totale di 12,2 mld cioè circa i due terzi del costo della proposta dei 5stelle ma tutti provvisori in funzione platealmente preelettorale.

Alla Camera il M5S ha ottenuto il 36% dei seggi, poco meno al Senato. E’ un fatto che, al di là del risultato, i grillini hanno imposto di gran lunga tutti i propri temi all’attenzione sia durante la campagna elettorale sia dopo il voto. 

Il reddito di cittadinanza visto come  soglia minima  di sopravvivenza dignitosa, a cui si affiancano inevitabilmente e non si contrappongono le problematiche del lavoro ( precarietà dei contratti, salario minimo orario, automazione e orario di lavoro) può riaprire dopo 25 anni una stagione di dibattito sulle riforme ( quelle vere, non le controriforme delle ultime 6 -7 legislature).  E’ evidente che la riforma per un reddito minimo ( 20 mld almeno all’anno) presuppone una diversa ridistribuzione della ricchezza prodotta nel paese, una nuova concezione dei centri per l’impiego, la cancellazione del clientelismo, del lavoro nero, di quello schiavizzato e sottopagato. Per le risorse necessarie, circa l’1% di quelle totali,  non si tratta di appellarsi al taglio degli sprechi, che non esistono nel bilancio dello Stato.  Gli sprechi da usare sono in realtà risorse distribuite malamente per tenere insieme un sistema di alleanze sociali attraverso una ingiustificata distribuzione di reddito o di progetti e investimenti per regalarlo.

Nella scia degli altri partiti purtroppo minore è stata l’attenzione dei 5stelle ai temi ambientali, in particolare alla crisi del traffico e dell’inquinamento nelle aree del Nord. Che presuppone una elaborazione chiara di proposte di lungo periodo su mobilità e fonti energetiche che metterebbe inevitabilmente in discussione tutto il ciclo dell’auto, la qualità dell’urbanistica e degli stili di vita. Questioni su cui il Movimento 5Stelle è incerto e decisamente indietro pur avendole nei titoli principali del proprio programma. A me sembra una delle cause della “assenza” nella campagna elettorale in vaste aree del Nord e del conseguente risultato.  

Sempre più si chiarisce che il M5Stelle nella nuova versione Di Maio si colloca al centro dello schieramento politico, esprime un riformismo radicale incerto ma sincero ed al momento resiste alle aggressioni ed ai tentativi di normalizzarlo per renderlo “uguale agli altri”. E’ quello di cui abbiamo bisogno ma non è affatto detto che riesca e non fallisca . Se dalle trattative dei prossimi mesi ne uscisse malamente, con l’idea di un governo con chiunque ed a tutti i costi dove contenuti e spirito riformatore vengono un po’ alla volta messi da parte, si tornerebbe al voto in autunno lasciando il varco al radicalismo sovranista nella versione Lega. La terza Repubblica invece che sorprendente potrebbe diventare deprimente

La questione è stata perfettamente sintetizzata da Grillo: “Adesso la responsabilità di tutti è dare all’Italia una visione per i prossimi vent’anni. Governare è affrontare il futuro con chi condivide una visione, non dividere le poltrone e poi scoprire di non avere una visione, tantomeno comune... l’Europa deve rimettersi insieme, ma in modo nuovo. Il problema non è lo spazio comune, ma il modo in cui viene interpretato. Noi siamo un po' democristiani, un po' di destra, un po' di sinistra, un po' di centro. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa. A patto che si affermino le nostre idee... “
  
18 marzo 2018