Dopo aver presentato sul blog il suo programma,
l’economista indicato come ministro del Lavoro risponde ai critici
di Pasquale
Tridico *
Il reddito di cittadinanza è tecnicamente un reddito
minimo condizionato alla formazione e al reinserimento nel
mercato del lavoro. Ha una duplice funzione: sradicare gli elevati livelli di
povertà che negli ultimi anni sono cresciuti di molto in Italia e formare gli
individui al momento fuori dal mercato. Lo Stato sosterrà chi oggi non
raggiunge la soglia di povertà indicata da Eurostat, in cambio
dell’impegno a formarsi e accettare una delle prime tre proposte di lavoro,
purché eque e non lontane dal luogo di residenza. Quindi è uno strumento di
welfare ma può anche rilanciare l’economia attraverso i nuovi consumi derivanti
da quel reddito garantito. Come dice Papa Francesco, “il welfare non è
un costo, ma un mezzo per lo sviluppo”. La misura costa circa 17 miliardi di
euro, compresi 2,1 miliardi per riorganizzazione e potenziamento dei Centri
per l’Impiego (CpI).
DEFICIT. Questa politica può essere finanziata con maggior
deficit in termini assoluti ma senza aumentare il rapporto deficit/Pil
e la soglia del 3%. Grazie alla nostra misura, almeno 1 milione di
persone che ora non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare
(inattivi “scoraggiati”) verranno incentivati alla ricerca del lavoro con
l’iscrizione ai CpI, e andranno ad aumentare il tasso di partecipazione alla forza
lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, cioè la
distanza tra il Pil potenziale dell’Italia e quello effettivo, perché 1 milione
di potenziali lavoratori saranno di nuovo conteggiati come disoccupati.
Se aumenta il Pil potenziale possiamo mantenere il rapporto tra deficit e Pil potenziale,
cioè il “deficit strutturale”, spendendo circa 19 miliardi di euro in
più di oggi, più dei 17 miliardi necessari.
Alcuni
colleghi e commentatori nei giorni scorsi lo hanno definito un “trucchetto
statistico”. Il calcolo del deficit strutturale e le regole connesse sono
state fissate dalla Commissione europea. Nelle nostre stime stiamo
misurando il Pil potenziale sulla base delle regole che la Ue ci ha dato,
regole che anche precedenti governi (e molti economisti) hanno criticato. Ma
queste abbiamo. Se invece la proposta è difficilmente ammissibile da un punto
di vista politico, si deve spiegare perché.
DISOCCUPATI. Qualche critico inoltre sostiene che l’aumento del
tasso di disoccupazione derivante dall’attivazione degli scoraggiati avrebbe
effetti immediati sulla stima del Nawru (ovvero sul tasso di
disoccupazione che non accelera l’inflazione) che a sua volta influenzerebbe al
ribasso l’occupazione potenziale. Ciò è in contrasto con la teoria economica di
riferimento, è il Nawru che funge da ‘attrattore’ del tasso di disoccupazione
effettivo e non il contrario. Il riallineamento non avviene immediatamente e
lascia quindi la possibilità di un aumento iniziale del Pil potenziale.
Molti
inattivi non sono persone che non vogliono lavorare, ma nella maggior parte dei
casi sono soltanto scoraggiati dal difficile contesto economico. La distinzione
tra inattivi e disoccupati è importante per gli istituti di rilevazione
statistica. Ma per le persone lo status di inattivo o di disoccupato comporta
la stessa sofferenza. E di questa sofferenza un governo deve tener conto. Il
deficit in più creato azionerebbe una domanda aggregata aggiuntiva che
stimolerebbe anche l’occupazione effettiva: il deficit crescerebbe solo
in termini assoluti ma non in termini percentuali rispetto al Pil, continuando
a rispettare i vincoli di bilancio fissati.
Alcuni
critici dicono inoltre che la proposta fa aumentare la disoccupazione. Se con
questo si intende il fatto che il sussidio possa scoraggiare i
lavoratori a trovare lavoro, rispondo che ciò non è assolutamente vero.
Esiste una sterminata letteratura teorica ed evidenza empirica che confuta
questa idea. Inoltre i Paesi più generosi da un punto di vista del welfare sono
anche quelli con i tassi di occupazione più alti.
GLI IMPEGNI. Qualcuno critica la misura perché non è universale e
incondizionata. Ma non lo è mai stata: la proposta depositata in Senato
(ddl 1148 a firma Catalfo del M5S nel 2014) è un reddito minimo condizionato.
Non è sostitutivo del sussidio di disoccupazione (Naspi) ed è inferiore
a esso in termini quantitativi. Non è però legato (a differenza della Naspi) ad
aver lavorato precedentemente, ma allo stato di bisogno. Si abbina, nella
proposta, a un salario minimo per le categorie non coperte da contrattazione nazionale
minima, in modo da non diventare una integrazione per lavoratori precari
(i quali invece saranno pagati nel rispetto di un salario minimo di equo
compenso appunto) e non può comprimere i salari verso il basso. Proprio perché
aggredisce la povertà si applica anche ai pensionati integrando la pensione
minima fino a 780 euro a persona.
Infine, è
una misura, così come descritta, esistente in tutti i Paesi europei, dalla Francia
alla Germania, dalla Svezia alla Finlandia, dalla Spagna
al Portogallo, Cipro, Malta etc. Non esiste in Italia e Grecia.
L’ammontare individuale va dai circa 1.400 euro a persona in Danimarca,
ai 100 euro in Paesi a redditi più bassi come Romania e Bulgaria. Il Rei
(reddito di inclusione) vale circa 187 euro a persona, una cifra inappropriata
per l’Italia.
Investimenti.
Una precisazione è necessaria sugli investimenti al Sud che risponda ai critici
che ignorano che tale misura è già prevista ma non è attuata. L’idea è
destinare almeno il 34% di questi investimenti nel Sud Italia, intendendo
ovviamente le risorse ordinarie (e non anche quelle dei fondi strutturali e
dell’ex FAS oggi Fondo di sviluppo e coesione) che sono ferme al 28% (secondo
lo Svimez e i Conti Pubblici Territoriali 2017). Visto che
l’incidenza della popolazione è del 34,4%, questo principio richiederebbe un
aumento nel Sud di circa 4,5 miliardi all’anno, secondo lo Svimez.
Non discuto
che gli esperti che nei precedenti due decenni si sono succeduti ai ministeri
economici e al lavoro in Italia fossero in buona fede; ma avevano una visione
dell’economia che riponeva fiducia nella famosa frase thatcheriana “There Is
No Alternative”. Questo io contesto.
* professore di Economia indicato dal Movimento 5 Stelle
come ministro del Lavoro
da ilfattoquotidiano
- 17 marzo 2018
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