31 dicembre 2019

"La Balla dell’Anno"


Editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano

Alcuni lettori ci chiedono di premiare la balla più grande dell’anno. Mission impossible: sono troppe, tutte enormi. Però, catalogandole, possiamo premiare la campagna di stampa più demenziale e miserabile del 2019: quella contro il Reddito di cittadinanza. 

Che sia partito fra mille pasticci, con i centri per l’impiego da sistemare, i tanti navigator ancora da assumere e formare, i molti poveri ancora da raggiungere, i ritardi sugli stranieri, il software in odore di conflitto d’interessi e i pochi posti di lavoro a disposizione, lo sappiamo e l’abbiamo scritto. Ma il risultato è comunque buono, soprattutto per un Paese allergico ai cambiamenti come il nostro: 2,5 milioni di italiani che un anno fa non avevano un euro in tasca (oltre la metà dei “poveri assoluti”), da maggio-giugno ricevono in media 520 euro al mese. Così l’Italia, che fino a due anni fa era l’unico Paese europeo a non fare pressoché nulla per i nullatenenti e solo nel 2018 aveva varato il timidissimo Reddito d’inclusione (Rei: pochi spicci ad appena 900 mila persone), da quest’anno ha invertito la rotta con la più robusta misura anti-povertà mai adottata. Naturalmente la cosa non è passata inosservata: l’idea che i 5Stelle abbiano avuto una buona idea e che si investano 5 miliardi pubblici su chi non ha niente, dopo averne gettati a centinaia per chi ha e ruba di tutto e di più, ha letteralmente sconvolto tutti i partiti. Quelli di destra, dalla Lega a FI, da FdI a Italia Viva. E pure quello che dovrebbe essere di sinistra: il Pd. 

Ma la vergogna delle vergogne sono i giornali (a parte il nostro e il manifesto), che da un anno fanno il tiro al bersaglio sul Rdc come mai avevano fatto per le decine di leggi vergogna di B.&Renzi e i massacri sociali di Monti&Renzi. All’inizio dicevano che non c’erano i soldi. Poi, siccome i soldi si son trovati, han detto che non si sarebbe mai fatto: i Caf, le cavallette, le piaghe d’Egitto. Poi, siccome si è fatto, han detto che nessuno lo voleva e tutti facevano la fila per rifiutarlo. Poi, siccome di file a Caf e Poste non se ne vedevano, han detto che c’era l’assalto a Caf e Poste per prenderlo. Poi, siccome l’assalto non c’era, han detto che era un flop. Poi, siccome i dati ufficiali parlano di 900 mila domande familiari accolte pari a 2,5 beneficiari, han detto che sono troppi. Poi, siccome s’è scoperto che 2 milioni ancora non lo prendono, han detto che 2,5 milioni sono pochi. Poi, siccome la copertura in pochi mesi è più alta di quella del Rei, han detto che i navigator sono in ritardo. Poi, siccome a boicottarli sono le Regioni governate dagli stessi partiti che li invocano, han detto che il Rdc serve al M5S per comprare voti al Sud.

Poi, siccome il M5S ha dimezzato i voti e le richieste arrivano tanto dal Nord quanto dal Centro e dal Sud, han detto che il Rdc è troppo alto, perché c’è chi lavora e guadagna altrettanto. Poi, siccome i 5Stelle han detto che pagare un lavoratore 800 euro al mese è una vergogna e han proposto il salario minimo, han detto che il Rdc va ai falsi poveri e ai delinquenti e non ci sono controlli per scoprirli. Poi, siccome il governo ha portato le pene fino a 6 anni per quanti truffano col Rdc e Di Maio ha invitato i cittadini a denunciarli, han detto che questi giustizialisti manettari vogliono spiare e arrestare pure i poveri. Poi, siccome i controlli scoprono ogni giorno delinquenti e finti poveri col Reddito, hanno detto che bisogna abolirlo. Come se gli stessi delinquenti e finti poveri non fregassero già lo Stato intascando indebitamente 80 euro, Rei, cassa integrazione, sussidio di disoccupazione, pensione d’invalidità, sgravi e bonus ed esenzioni famigliari, scolastici, sanitari e universitari, e usufruendo di tutti i servizi pubblici senza pagare le tasse per finanziarli, senza che nessuno si sia mai sognato di abolire il Welfare perché molti ne abusano. Nel giro di un mese, il Corriere ha pubblicato ben due “inchieste” a piena pagina degne del Giornale e di Libero, con un florilegio di abusivi: “Chi guida Porsche, chi ha alberghi: ecco i furbetti del reddito. Cantanti neomelodici, fotografi, imprenditori, venditori ambulanti, negozianti, pasticceri, pregiudicati e lavoratori in nero”. Ma tu pensa: non saranno mica gli stessi che evadono le tasse e intascano indebitamente tutti gli altri strumenti di Welfare? E quando mai si son fatte campagne per abolire pure quelli solo perché qualcuno fa il furbo? “Per colpa di qualcuno, non si fa più credito a nessuno” possono dirlo certi negozianti, non lo Stato. E il fatto che fiocchino tante denunce non dimostra che il Reddito non funziona, ma che i controlli funzionano. E aiutano a far emergere non solo i “furbetti del Reddito”, ma anche un’altra fetta dell’economia nera che è la vera tara dell’Italia. Ben protetta da chi s’indigna per il ladruncolo che ruba 500 euro al mese e tace sui ladroni che evadono 120 miliardi all’anno. Infatti strillano contro le manette agli evasori e la blocca-prescrizione.

Tra le mille balle “a grappolo” contro il Reddito, svetta quella sparata da La Stampa il 3 novembre, nell’ansia di dimostrare che Di Maio ha sistemato uno su tre degli elettori del suo collegio: “I delusi del reddito di cittadinanza: ‘Stanchi di non avere nulla da fare’. A Pomigliano d’Arco, il paese natale di Luigi Di Maio, su 39 mila abitanti in 12 mila ricevono un sostegno economico”. Poi s’è scoperto che il dato dei 12 mila percettori del Reddito citato dall’house organ di casa Agnelli-Elkann non si riferisce alla sola Pomigliano, ma a tutti e sei i comuni circostanti che fanno capo al Centro per l’Impiego di Pomigliano: 208 mila abitanti in tutto, non solo i 39 mila di Pomigliano. Dunque il Rdc non va al 33% della popolazione, ma ad appena il 6%. A riprova del fatto che neppure la peggior politica riuscirà mai a eguagliare la migliore informazione.

31 Dicembre 2019

29 dicembre 2019

Quattordicenne camerunense Premio per la Pace per l’impegno contro Boko Haram



La giovanissima Divina Maloum, camerunense di soli 14 anni, ha ricevuto il Premio Internazionale per la Pace per il lavoro svolto con i suoi coetanei, vittime di violenze degli estremisti nel nord del Paese, dove da anni la popolazione subisce feroci attacchi dei terroristi Boko Haram. Il prestigioso premio è stato conferito alla ragazza dall’organizzazione olandese KidsRights (Diritti dei bambini), che lotta perché vengano riconosciuti gli sforzi messi in campo dai giovanissimi per migliorare la propria situazione e quella degli altri. Insieme a Divina è stata premiata anche la militante ecologista Greta Thunberg.



Nel 2014 la ragazzina africana ha fondato il movimento: “Bambini per la Pace” per poter svolgere attività con i piccoli vittime di terrorismo. Da allora non ha mai smesso di recarsi nelle comunità per parlare con i suoi coetanei  dei propri diritti e che si può remare contro la violenza e non farsi trascinare da essa. Dopo una breve pausa – durata ben poco – gli attacchi dei terroristi sono ricominciati quasi giornalmente nella provincia dell’Estremo Nord, al confine con la Nigeria. La popolazione si sente abbandonata dal governo centrale, ha paura. E il 9 novembre i residenti di Moskota  sono scesi in piazza e hanno urlato tutto il loro disappunto, la loro paura: “Basta con le uccisioni, basta con il silenzio dello Stato”.

“I miliziani di Boko Haram bruciano le nostre case, le nostre moschee, le nostre chiese. I soldati vengono, controllano, ripartono e noi seppelliamo i nostri morti nell’indifferenza e nel silenzio”, ha detto un coltivatore di cereali. Tutte le sere alle 18.00, quest’uomo, la sua famiglia e i suoi vicini, armati di stuoie, vanno a passare la notte nella vicina foresta per non essere sorpresi e ammazzati dai terroristi nigeriani. Altri si nascondono dietro grandi rocce o passano la notte sopra gli alberi, mentre i più abbienti si recano in villaggi sicuri, che distano una decina di chilometri. All’alba ritornano tutti, per occuparsi dei campi e del bestiame. Chi resta a casa durante la notte, rischia di essere ucciso. E’ successo al pastore David Mokoni, trucidato durante la notte del 6 novembre nella sua casa. E’ stato ingenuo, era rimasto nel villaggio, convinto che ci fosse una maggiore sorveglianza quella notte, visto che un ministro si trovava nella zona. La stessa sera è morto un altro residente e decine di case sono state saccheggiate. Cinque giorni più tardi un contadino è stato ucciso e un centinaio di mucche sono state portate via.

Le incursioni ora sono più frequenti, anche perchè i comitati di vigilanza, generalmente composti da anziani che conoscono bene il territorio, hanno abbandonato questo tipo di servizio. Riuscivano a dare l’allarme alla popolazione quando stavano per arrivare i sanguinari miliziani dalla vicina Nigeria. Il presidente Paul Biya aveva stanziato oltre 300mila euro per questi preziosi collaboratori, ma la maggior parte di loro non ha visto più di 15 euro a testa per tutto il periodo. “Che fine hanno fatto tutti questi soldi?” ha riferito Jean Areguema, capo ufficio nell’Estermo Nord del trisettimanale L’Œil du Sahel, ai giornalisti di Le Monde Afrique. E ha aggiunto: “ Le ragioni dei continui attacchi sono molteplici, una è certamente la pressione esercitata dell’esercito nigeriano e Boko Haram ha problemi di approvvigionamento, dunque cerca di procurarsi quanto serve nel Camerun. Inoltre, molti posti di blocco dell’esercito sono stati eliminati nei nostri villaggi. Non si capisce per quale ragione”.  

Ovviamente le autorità camerunensi smentiscono, l’esercito non avrebbe mai abbandonato i residenti. “Boko Haram è ormai stato annientato militarmente in Camerun”, hanno spiegato alcune fonti della Sicurezza. E, secondo loro, le incursioni degli ultimi tempi sarebbero opera di miliziani isolati che cercherebbero di sopravvivere. Peccato che le fonti della Sicurezza abbiano omesso di citare le esecuzioni extragiudiziali, commesse dai militari stessi nel recente passato. Crimini venuti alla luce grazie a Amnesty International.

* da  www.africa-express.info - 23 Novembre, 2019

Decreto Clima, doveva essere il pilastro del Green new deal. Ma di concreto non c’è niente


di Gianfranco Amendola *


Ci aspetta un 2020 così verde che più verde non si può. La migliore conferma, come apprendiamo dai comunicati del Ministero dell’Ambiente, viene dal “decreto clima” che è appena diventato legge. Un’apoteosi per il ministro “che ha fortemente voluto questa norma per rendere più efficace l’azione di contrasto ai cambiamenti climatici”, riuscendo a far passare “misure urgenti, positive e concrete in tutti i settori considerati vulnerabili ai cambiamenti climatici: acqua, agricoltura, biodiversità, costruzioni ed infrastrutture, energia, preven­zione dei rischi industriali rilevanti, salute umana, suolo ed usi correlati, trasporti”. Insomma, per dirla tutta con legittimo orgoglio, “il primo pilastro del Green New Deal”.



E, infatti, se lo andiamo a leggere vediamo che esordisce subito con “misure urgenti per la definizione di una politica strategica nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria”. Solo che, per adesso, queste misure non ci sono perché dovranno essere stabilite entro 90 giorni con “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, sentiti il ministro della Salute e gli altri ministri interessati, nonché sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”, che stanzierà anche “le risorse economiche disponibili a legislazione vigente per ciascuna misura con la relativa tempistica attuativa”.

Così come, anche per avere “campagne di informazione e formazione ambientale nelle scuole” dovremo aspettare le proposte che verranno dalle scuole sulla base di un regolamento interministeriale che dovrà determinare “i criteri di presentazione e di selezione dei progetti nonché le modalità di ripartizione e assegnazione del finanziamento” di 2 milioni per i prossimi tre anni.


Per fortuna che, invece, non dobbiamo aspettare per avere un auspicabile “coordinamento delle politiche pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile”, che si ottiene in un modo semplicissimo e geniale: dal 1° gennaio 2021 il Comitato interministeriale per la programmazione economica cambierà nome e si chiamerà Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess): insomma dal Cipe al Cipess.

Seguono diverse iniziative “sperimentali” con finanziamenti, appunto, sperimentali: in primo luogo “misure per incentivare la mobilità sostenibile nelle aree metropolitane”: e cioè, nei limiti delle risorse disponibili, un buono mobilità fino a 1500 euro per la rottamazione dell’auto sino alla classe euro 3 e fino a 500 euro per i motocicli sino agli euro 2 e 3 a due tempi; che però deve essere utilizzato “entro i successivi tre anni, per l’acquisto, anche a favore di persone conviventi, di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale nonché di biciclette anche a pedalata assistita o per l’utilizzo dei servizi di mobilità condivisa a uso individuale”. Infatti, se pure non ce ne eravamo accorti, l’Italia inquinata è piena di gente che aspettava questo cospicuo contributo per liberarsi della vecchia auto inquinante e servirsi finalmente del servizio pubblico; oppure per comprarsi una bella bicicletta a pedalata assistita senza correre il rischio di intossicarsi per le strade, visto che – grazie all’effetto del bonus mobilità – lo smog scomparirà da un giorno all’altro.


E poi si stanziano 20 milioni per i prossimi due anni da destinare ai Comuni per progetti sperimentali per la “promozione del trasporto scolastico sostenibile con mezzi ibridi o elettrici” nelle città sottoposte a procedure di infrazione per lo smog, visto che evidentemente gli scuolabus oggi esistenti sono i maggiori responsabili.

E poi c’è il programma sperimentale per la “messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle città metropolitane, la piantumazione e il reimpianto di alberi, di silvicoltura, creazione di foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane” che, con 15 milioni complessivi l’anno ci insegnerà come avere delle foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane.

E ci sarà anche un decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali che ci farà capire come sarà possibile, “contrastare il dissesto idrogeologico nelle aree interne e marginali del Paese”, con un fondo di 1 milione per il 2020 e 2 milioni per il 2021.

E intanto si inventano nuove sigle ecologiche: il territorio di ciascuno dei parchi nazionali diventa una Zea (zona economica ambientale) dove si darà sostegno a imprese ecocompatibili con risorse che dovranno essere ricavate come “una quota dei proventi delle aste di competenza del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare per gli anni 2020, 2021 e 2022”.


Arriva Italia Verde, un premio per le città che presenteranno un “dossier di candidatura che raccoglie progetti cantierabili volti a incrementare la sostenibilità delle attività urbane, migliorare la qualità dell’aria e della salute pubblica, promuovere la mobilità sostenibile e l’economia circolare, con l’obiettivo di favorire la transizione ecologica”.

Arriva il programma, sempre sperimentale, Mangiaplastica con 27 milioni complessivi per cinque anni a quei Comuni che vorranno installare ecocompattatori “al fine di contenere la produzione di rifiuti in plastica… nel limite di uno per Comune ovvero di uno ogni 100.000 abitanti”.

Né potevano mancare i caschi verdi per l’ambiente, un programma sperimentale “con lo scopo di realizzare, d’intesa con il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, iniziative di collaborazione internazionale volte alla tutela e salvaguardia ambientale delle aree nazionali protette e delle altre aree riconosciute in ambito internazionale per il particolare pregio naturalistico, anche rientranti nelle riserve di cui al programma “L’uomo e la biosfera” – Mab dell’Unesco, e di contrastare gli effetti derivanti dai cambiamenti climatici”. Tutto con la modica spesa di 6 milioni per i prossimi 3 anni.


Dulcis in fundo, per combattere i cambiamenti climatici, si stanzia un contributo a fondo perduto “pari alla spesa sostenuta e documentata per un importo massimo di euro 5.000 ciascuno, corrisposto secondo l’ordine di presentazione delle domande ammissibili, nel limite complessivo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, sino ad esaurimento delle predette risorse” a favore di esercenti commerciali per incentivare la vendita di detergenti o prodotti alimentari, sfusi o alla spina.


E qui finisce “il primo pilastro del Green New Deal” all’italiana che, a dire il vero, era partito un po’ più seriamente, prevedendo la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili che, secondo Legambiente, solo nel 2018 sono stati 18,8 miliardi di euro (altro che programmi sperimentali). Ma poi non si è cancellato niente e questo è quello che è rimasto.

Meno male che Greta c’è.


* da Il Fatto Quotidiano - 29 dicembre 2019.