di Massimo Marino
Ho smesso di contare
ma negli ultimi anni nel nostro paese gli appuntamenti elettorali ( Comuni, Regioni,
Politiche, Europee, più eventuali Ballottaggi
e Referendum ) si sono ormai assestati a
10-12 all’anno. E’ proprio così, anche se sembra incredibile non esiste una
sola nazione nel pianeta che si avvicini a questo proliferare di piccoli e
grandi appuntamenti elettorali che con una leggina di due paginette potrebbero
essere concentrati facilmente in un'unica scadenza annuale o biennale in una
data prestabilita: ad esempio fra la fine di aprile e l’inizio di maggio oppure
all’inizio di novembre copiando una delle poche cose che val la pena di copiare
dagli USA. Poche differenze di
atteggiamento sul tema fra destre e
sinistre, se non qualche modesta prova per rendere possibile il voto, per studenti e non, fuori dalla propria residenza elettorale o
all’estero. Abbastanza difficoltosa da avere comunque risultati modesti. In
via sperimentale alle ultime europee si ebbero 24 mila richieste di fuori sede,
per i referendum di oggi 67mila ma i fuori sede momentanei stimati sono circa 5 milioni. Si potrebbe comunque
facilitare la partecipazione aprendo e chiudendo un seggio polivalente in tutti i Comuni ( o
almeno uno per provincia ) un giorno
prima, con uno scrutinio regionale anticipato di 24 ore. La verità però
è che molti elettori percepiscono la mancanza di progetti e di leader che li
portino avanti. Vanno al mare da tempo e forse per i partiti è meglio così .
Serve un progetto di cambiamento che nessuno sembra in grado di avviare, una
alleanza di alternativa i cui punti principali trovino consenso in una parte
larga della società e riporti in campo milioni di cittadini, giovani e anziani,
che oggi nessuno è in grado di coinvolgere. Non so se serviranno 500 pagine o 500 giorni ma senza un progetto
vero nessun cambiamento mi sembra probabile. Provo ad accennare il mio punto di
vista.
Il primo punto di una alleanza di
alternativa
Serve un vero election
day annuale o biennale che è la soluzione più razionale per
facilitare la presenza ai seggi: votare una volta sola all’anno o ogni due anni
favorirebbe di molto la partecipazione ( io stimo da 4 a 8 mil. di votanti in
più), ridurrebbe i costi, costringerebbe i partiti ad un salto di qualità e di
serietà presentando annualmente un chiaro
aggiornamento del progetto politico offerto agli elettori. Probabilmente
favorirebbe anche la riduzione della frammentazione in mille listarelle
“civiche” locali più o meno vere o
inventate, spesso cespuglietti dei vecchi partiti maggiori, ma a volte facili
vettori di infiltrazione clientelare o mafiosa attraverso le preferenze.
Dal 1991 ad oggi sono 401 i decreti di
scioglimento di Comuni per infiltrazioni mafiose, in media uno al mese, in prevalenza in quattro
regioni: Calabria, Campania, Sicilia, Puglia.
Le listarelle sono
comunque frequente causa di voti a perdere di tanti elettori inconsapevoli. Il
meccanismo delle coalizioni prevoto (in particolare per i Sindaci e i
Presidenti di Regione) e il
moltiplicarsi di sistemi elettorali sgangherati, ci fa trovare sulla scheda
anche 20-25 liste, che per la gran parte non eleggono nessuno e neppure
superano l’1% .
Per fare solo l’ultimo
esempio, neppure fra i peggiori, le recente
elezioni comunali di Genova: sono state 17 le liste presentate delle
quali 7 non hanno eletto nessuno. L’affluenza al voto ( quella vera, sottraendo
anche nulle e bianche ), che a Genova aveva raggiunto il minimo storico nelle
comunali del 2022 con il 43%, è arrivata appena sotto il 50% ormai considerato
dato normale. Per qualche ora si è parlato della vincitrice Salis come di un’
ottima candidata e addirittura di un grande risultato del cosiddetto
centrosinistra in versione extra-large, con qualche renziano e calendiano
infilati in due liste, quindi “uniti si vince”. Invece già alle regionali della
Liguria del 2024 ( perse per qualche decimale dal csx alleato ai 5stelle con
Orlando contro Bucci) nel Comune di Genova l’affluenza era già risalita un po' sopra
il 50% e in città la coalizione di Orlando aveva prevalso, senza renziani, calendiani e magiani. Anzi
aveva preso un risultato più alto della Salis di oggi ( 52,3 % vs 51,5 %). Il
generale Gruber e la fila di sponsor del campo largo e larghissimo, in funzione
anti 5stelle ci hanno ripetuto per qualche giorno che Genova dimostrava che, appunto, uniti si vince. Niente di meno vero
ma chi ci fa caso ..?
Quanti voti acquista e
quanti ne perde la santa alleanza con la presenza o l’assenza di Renzi, Calenda
e Magi è questione ardua da valutare ma certi sono invece gli innumerevoli
disastri che costoro hanno provocato.
Cosa farà la nuova giunta
Salis dipenderà quindi dalla sua composizione, dalla sua volontà di resistere
alle lobby e dalla sua capacità di costruire davvero qualcosa di alternativo
per la città, cosa che al momento è del tutto imprevedibile per chiunque,
probabilmente per la stessa Salis. Che metà degli elettori sia rimasto a
casa non desta particolare preoccupazione.
A tre anni dalle
elezioni politiche del 2022 la situazione italiana, che non va confusa con
quella di altri paesi dell’Europa e dell’Occidente, sembra chiarissima. Siamo
governati da una anomala e solida alleanza minoritaria di
destra-centro, al momento senza eguali in altri paesi dell’Occidente, che
governa solo grazie a sistemi elettorali farlocchi e all’assenza di progetti e alternative
credibili. Non ha vinto la Meloni e soci ma una legge elettorale inventata dal csx
in accordo con il cdx per tentare di fermare nel 2018 il M5Stelle.
Senza il Rosatellum ( Rosato era il
relatore PD originario del testo della legge), con la sua logica maggioritaria
che dalla metà degli anni ’90 riduce democrazia e rappresentanza popolare e in
particolare senza la quota di collegi uninominali, il cdx con i suoi 12,5 mil.
di voti su 50 non avrebbe governato. L’astensionismo, che ha in parte un carattere militante, è così arrivato
a 22 mil. di voti mancati, diventati 26 mil. alle europee del 2024.
Il secondo punto di una alleanza di
alternativa
Riguarda la proposta
di una legge elettorale proporzionale con quorum, senza premi,
coalizioni pre-voto, collegi uninominali. La legge per le europee e quella
della Germania, il paese più grande e
più stabile d’Europa, sono ottime. Del tutto irrilevante la questione
preferenze: in Italia rischia però di aprire la strada alle infiltrazioni nelle
liste ma si può trovare un compromesso
lasciando ai partiti la scelta dei primi due eletti.
Destra e sinistra,
soprattutto FdI e PD, tacitamente d’accordo, fanno muro a qualunque possibilità
di voto proporzionale con quorum: una proposta è emersa invece circa otto anni
fa dal M5Stelle dopo un faticoso percorso interno con sette votazioni degli
iscritti, ed è simile appunto al sistema di voto delle europee e a quello
tedesco. E’ una proposta che terrorizza
i vecchi partiti perché può evitare forzati accordi pre-voto e ristabilirebbe la
giusta proporzione fra voti ricevuti e
seggi ottenuti, lasciando gli elettori più liberi nella scelta. Oggi sembra quasi
dimenticata dagli stessi 5stelle “progressisti” la cui propensione all’autolesionismo
continua ad albergare fra parecchi eletti anche dopo il suicidio politico di Di
Maio e tanti altri.
Un rosatellum in
Germania avrebbe portato alla impossibilità di formare un governo se non con la
presenza della destra nazistoide di AFD anche se lontana da essere maggioranza
nel paese. Ricordo che le garanzie di rappresentanza e di equilibrio del
sistema proporzionale tedesco con il sacrosanto limite del 5% porta fra l’altro
al fatto che fra i 25 principali paesi dell’UE la Germania ha la più alta
partecipazione al voto sia alle politiche che alle europee.
Se almeno la metà
degli elettori sceglie ormai di non votare trovo davvero azzardato il modo e la
scelta dei temi su cui si sono lanciati 5 referendum che, lo si voglia o no,
vengono inevitabilmente e scorrettamente letti come una prova di forza fra due soggetti di un sistema bipolare che in
Italia non esiste da tempo snaturando il ruolo “popolare” dello
strumento referendario.
Che l’astensionismo
italiano sia il prodotto della delusione verso l’intero sistema politico senza
grandi entusiasmi per la destra o la sinistra e per la mancanza di una
credibile alternativa lo confermano le tre eccezioni degli ultimi anni.
Le aspettative e il grande
consenso verso le proposte del M5Stelle avviate nel 2013 portarono alle
politiche del 2018 ad un deciso aumento dei votanti ( quasi 33 mil. di voti su
50,7).
Lo stesso vale per i
referendum. Si inventano strampalate analisi per giustificare il mancato quorum
del 50+1 % negli ultimi decenni e ventilare pessime e pericolosissime proposte
per abbassare o addirittura togliere il quorum, una vera follia. Invece i quattro
referendum del 2011 con al centro l’Acqua pubblica e per la seconda volta il NO
al nucleare ( dopo quello del 1987) superarono tutti il quorum con il
voto del 55,8%, quasi 28 mil. dei 50,4 mil. di elettori. I temi evidentemente interessavano e preoccupavano una parte consistente del paese.
Anche il referendum
costituzionale di fatto voluto da Renzi nel 2016 (all’epoca segretario del PD)
per modificare in vari punti la seconda
parte della Costituzione e ridurre di fatto il ruolo del Parlamento pur non
richiedendo quorum fu vinto nettamente dai contrari e con quasi 33 mil. di
votanti totali fù respinta la proposta con il 60%.
Ne traggo senza
esitazioni la conclusione che su quella metà di elettori che nell’ultimo
decennio tende ad astenersi dal voto all’incirca un terzo (forse 7-8 mil.) si
astiene non condividendo le proposte che la destra e la sinistra
nelle varie tradizionali sfumature, gli offre. La crisi lacerante e deludente del M5S ha
infine consolidato quest’area di astensione. Non si tratta di assenteisti
distratti. Quando a torto o a ragione si presenta l’occasione di scorgere
la possibilità di un vero cambiamento o di difendere principi fondamentali
costituzionali e democratici questo “partito dell’astensione”, al momento il
partito più grande del paese, si riaffaccia alle urne.
La consistenza
dell’attuale proposta referendaria, che nelle prossime ore potremo misurare, è davvero
in grado di rimettere in campo almeno una parte di questo partito “ esigente”
per superare i 25 milioni di votanti ?
Il terzo punto di una alleanza di
alternativa
I quattro referendum
“sul lavoro” sfiorano, ma non toccano per nulla, il cuore della questione del lavoro e
dei diritti di cittadinanza nei tre punti centrali: 1) un nuovo reddito
di cittadinanza opportunamente riformato, come patto per la sopravvivenza fra la parte più debole del paese e lo Stato 2)
un salario minimo orario
universale che allontani qualsiasi tipo di lavoratore dalla indigenza 3) un progressivo riallineamento dei salari
a quelli medi europei, anche attraverso una riforma delle regole che
governano la rappresentanza delle sigle sindacali che oggi sono alcune
centinaia e possono essere ridotte a meno di una decina, con il rafforzamento del
loro ruolo nella contrattazione nazionale. E’ singolare che di fatto i referendum richiedano l’abrogazione di norme nate in parte dal
centro-sinistra e non comprenda aperture al salario minimo, possibili anche su testi
abrogrativi. Buona parte della sinistra e Landini lo hanno osteggiato fino all’altro
ieri, quando era possibile provare a ottenerlo e oggi sembrano sostenerlo
quando senza un referendum è impossibile averlo. E’ altrettanto singolare trasformare
i referendum (che nella forma hanno solo un carattere abrogativo), in un
sondaggio per misurare a che punto è l’alleanza anti governo, tanto più che le
posizioni nel cosiddetto centrosinistra, che non ha ad oggi alcun progetto
unitario per proporre una alternativa, non sono affatto univoche. Secondo
questa logica, che trovo insostenibile,
superando di un pò i 12,5 mil di votanti i referendum sarebbero un indiretta
bocciatura del governo … anche se non cambierebbero assolutamente nulla ma anzi ne cosoliderebbero la tenuta.
Il quarto punto di una alleanza di
alternativa
Ancora meno sembra
attrattivo il quinto referendum sulla cittadinanza. La questione dei migranti e
della loro possibile cittadinanza, che le destre di tutte le sfumature utilizzano per ottenere consensi in tutto l’Occidente e
le varie sinistre europee subiscono senza avere proposte da opporre, è
questione davvero complessa che richiede una doppia capacità: regolare e gestire una corretta accoglienza e
integrazione di milioni di persone che sono in fuga da crisi climatiche ed
economiche o si trovano in aree di guerra civile o di scontro etnico o
religioso ma insieme garantire una loro reale integrazione, la convivenza e la sicurezza che una buona parte
del paese percepisce come messe in discussione dalla immigrazione irregolare.
L’integrazione attraverso
canali legali e corridoi umanitari efficaci è l’unica strada per tentare
di gestire con l’intervento diretto dello Stato un fenomeno che provoca allarme
sociale e alimenta un conflitto politico in cui a destra e a sinistra in realtà scarseggiano le proposte. Ai due estremi le diverse forme di xenofobia e
razzismo da una parte e la teoria delle porte aperte a tutti dall'altra, si mostrano come non accettabili e comunque inefficaci. Attivando corridoi umanitari e la gestione
totale dei flussi direttamente da parte dello Stato atraverso ambasciate,
consolati, ong ed enti sovranazionali si
deve svuotare la migrazione irregolare o clandestina togliendola dalle mani
della criminalità che oggi regola con lo sfruttamento e la violenza la
provenienza, i costi e i luoghi di
ingresso e a volte esercita il
successivo controllo degli immigrati irregolari entrati. Il percorso di
integrazione deve essere univoco per tutti, basato su un patto di reciproca
collaborazione fra lo Stato e il migrante con ingresso regolare, patto che va
rispettato da entrambi e può portare fino alla acquisizione dei diritti di cittadinanza o al rimpatrio. E’ un progetto
praticabile da costruire con fermezza lontano sia dalla
intolleranza xenofoba sia dalle semplificazioni inefficaci di molte ong.
Il quinto punto di una alleanza di
alternativa
L’avanzare della
crisi ambientale e in particolare della crisi climatica ha portato ormai allo
scontro aperto in tutto il pianeta fra i gruppi che controllano le risorse
energetiche, alcune grandi società multinazionali dell’economia e della finanza e le aziende dell’
automotive verso quelle parti della società che pur con grandi limiti e
incertezze sollecitano la necessità di avviare una conversione ecologica
dell’economia e in particolare delle fonti energetiche, della mobilità, delle
abitazioni. La sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili, che sono
ormai tecnologicamente ed economicamente prevalenti, il declino dell’auto come
vettore principale della mobilità nelle grandi e piccole concentrazioni urbane, il necessario arresto della urbanizzazione indiscriminata e del consumo di suolo, impongono
il superamento dei modelli sociali sviluppatisi nel secolo scorso ed il
ridimensionamento o la conversione dei soggetti economici e finanziari, delle tecnologie e della
cultura dello sviluppo senza limiti. Movimenti e partiti ecologisti negli
ultimi anni non hanno retto allo scontro
con forze imponenti che, a partire dalla neutralizzazione delle COP ed il
boicottaggio degli obiettivi stabiliti per i prossimi decenni, tendono a
riportarci indietro. Qualunque alleanza di alternativa non ha alcun futuro
senza mettere in primo piano un progetto locale di transizione ecologica da
definire per i prossimi decenni, che troverebbe un nuovo consenso in settori attualmente immobili della società italiana.
( intervento scritto sabato 7 e domenica 8 giugno e pubblicato dopo le ore 15 di
lunedì 9 giugno 2025 )