di Luca Ricolfi *
Chi si augura che il
centro-sinistra arrivi unito e preparato alle prossime elezioni politiche
(previste per il 2027), forse dovrebbe nutrire qualche preoccupazione per i
silenzi del Pd e dei Cinque Stelle in materia di politiche migratorie. Silenzi
che sono divenuti assordanti nei giorni scorsi, quando Elly Schlein non ha
speso nemmeno una parola sull’incontro fra Giorgia Meloni e Keir Starmer
(premier laburista britannico), dal quale era emersa una notevole e imprevista
convergenza di vedute in fatto di governo dei flussi migratori.
Quella sintonia ha
spiazzato Elly Schlein e Conte, perché la sinistra che Starmer rappresenta,
severa con gli immigrati e aperta alle ipotesi di “esternalizzazione” della
questione migratoria (come il modello Albania di Meloni e Rama), è lontanissima
dalla sinistra che Schlein sta cercando di mettere insieme con Cinque Stelle e
Alleanza Verdi-Sinistra.
Ma il caso di Starmer
non è isolato. La realtà è che in Europa da qualche anno stanno prendendo forma
nuovi tipi di sinistra, fondamentalmente differenti da quella che, per decenni,
è stata egemone nel Vecchio Continente.
Questi tipi inediti di
sinistra si sono palesati poco per volta, a partire dal 2021, quando la
Danimarca (governata dai socialdemocratici) ha cominciato a prendere in seria
considerazione l’idea di affiancare alle norme molto severe già vigenti nuove procedure
di trasferimento dei richiedenti asilo (verso il Ruanda) e dei detenuti
stranieri (verso il Kosovo). Da allora i passaggi più significativi sono stati:
nel Regno Unito, lo spostamento del partito laburista su posizioni legalitarie
per opera di Keir Starmer, successore del massimalista Jeremy Corbyn; in
Germania, la fondazione del partito di sinistra anti-migranti di Sahra
Wagenknecht (BSW), nato da una costola della Linke (formazione di estrema
sinistra); sempre in Germania, la recentissima spettacolare inversione a U
della politica dell’SPD del cancelliere Scholtz che – specie dopo il recente
attentato di Solingen – ha assunto tratti molto severi (promesse di rimpatrio
degli irregolari, ripristino dei controlli alle frontiere); in Spagna, la
sinistra socialista di Pedro Sanchez, che dopo l’esplosione degli arrivi dalla
rotta atlantica (via isole Canarie), appare sempre più impegnata a rallentare
le partenze e rafforzare i rimpatri.
Oltre a questi
sviluppi, è il caso di ricordare la lettera alla Commissione Europea inviata a
maggio di quest’anno dai governi (alcuni progressisti) di ben 15 paesi europei
su 27, in cui si prospetta non solo un rafforzamento della politica dei
rimpatri, ma pure la cosiddetta esternalizzazione delle frontiere (in stile
Italia-Albania), con la creazione di hub in cui rinchiudere parte dei
richiedenti asilo.
Che cosa c’è, alla
base di queste metamorfosi all’interno del campo della sinistra?
Probabilmente non una
cosa sola, e comunque non la medesima nei diversi paesi. Un fattore è
sicuramente il recente (2023) aumento degli arrivi irregolari su specifiche
rotte, un aumento che seguiva altri aumenti nei 3 anni precedenti. Un altro
fattore è il moltiplicarsi di episodi di violenza o terrorismo messi in atto da
stranieri. Ma il fattore cruciale, verosimilmente, sono i crescenti successi
elettorali delle destre anti-immigrati nella maggior parte dei paesi europei,
un trend che non può non preoccupare le forze di sinistra.
In alcuni paesi, i
dirigenti della sinistra si stanno rendendo conto che la questione migratoria
non può più essere elusa con formule – accoglienza, integrazione, diritti umani
– tanto generose quanto incapaci di andare al nocciolo dei problemi. Che sempre
più sovente non sono solo economici, o di sicurezza, ma sono di identità
delle comunità locali, messe a dura prova dalla concentrazione di immigrati
(spesso senza lavoro e senza fissa dimora) in specifiche porzioni del
territorio nazionale, siano esse le grandi stazioni ferroviarie, i parchi
urbani, le periferie delle città, i piccoli centri rurali. Un processo che può
far sì che i nativi, specie se appartengono ai ceti bassi, si sentano
“stranieri in patria”.
E in Italia?
Qui da noi la sinistra
non prova nemmeno ad avviare una riflessione. Ripropone le solite formule, che
aggirano il problema anziché affrontarlo. Non perde occasione per demonizzare
l’unico politico di sinistra – Marco Minniti – che aveva provato a fare qualcosa
(giusta o sbagliata che fosse). Soprattutto, non si chiede come mai, a due anni
dal voto, i partiti di destra sono più forti che mai.
Si potrebbe pensare
che sia solo cecità, o estrema convinzione di essere nel giusto, o che basti
essere nel (presunto) giusto per vincere le elezioni. La mia impressione è che
ci sia anche dell’altro. Forse Schlein e Conte si rendono conto che, ove toccassero
sul serio il tema migratorio, il progetto del campo largo incontrerebbe le
prime difficoltà vere. Tradizionalmente, infatti, le posizioni di Grillo e dei
Cinque Stelle sono state sempre ondivaghe, e meno indulgenti di quelle del Pd
(dopotutto, è a Di Maio che dobbiamo la formula delle ONG come “taxi del
mare”). E questo per una ragione molto semplice: i cinque Stelle, a differenza
del Pd, sono radicati nei ceti popolari, e oggi i partiti a base popolare
tendono a diventare populisti, e in quanto tali ostili all’immigrazione.
Possono adottare ideologie di destra o di sinistra, ma in entrambi i casi
tendono a vedere l’immigrazione come un problema.
Può darsi che non
parlare mai delle preoccupazioni popolari in tema di immigrazione e sicurezza,
o ignorare le idee delle nuove sinistre securitarie in Europa, aiuti a tenere
unito il campo largo. Ma resta il dubbio che, a differenza di quel che potrà succedere
su altri temi (salario minimo legale e sanità), sulla questione migranti gli
elettori progressisti possano non accontentarsi dei soliti slogan e delle
solite formule politiche astratte.
* articolo uscito sul
Messaggero il 23 settembre 2024
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