30 ottobre 2019

Mangiare meno carne per salvare il pianeta


Una radicale modifica dei regimi alimentari, con una sostanziale riduzione del consumo di carni, deve essere parte integrante dell'impegno contro la crisi climatica: a sostenerlo è l'ultimo rapporto dell'IPCC su clima e suolo


Gli sforzi per contenere le emissioni di gas serra e l'impatto del riscaldamento globale saranno largamente insufficienti se non comprenderanno drastici cambiamenti nell'uso globale del suolo, nell'agricoltura e nella dieta degli esseri umani, avvertono alcuni ricercatori di spicco in un importante rapporto commissionato dalle Nazioni Unite.
Il Rapporto speciale su clima e suolo dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) indica le diete basate sul consumo di vegetali come un'importante opportunità per mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi a essi, e include una raccomandazione politica per la riduzione del consumo di carne. L'8 agosto, l'IPCC ha pubblicato una sintesi del rapporto, destinato a fornire una base di informazioni per i prossimi negoziati sul clima nel contesto dell'aggravarsi della crisi climatica globale. La compilazione del rapporto ha visto impegnato negli ultimi mesi più di 100 esperti, circa metà dei quali proviene da paesi in via di sviluppo. "Non vogliamo dire alla gente cosa mangiare", afferma Hans-Otto Pörtner, ecologo e codirettore del gruppo di lavoro dell'IPCC su impatti, adattamento e vulnerabilità. "Ma sarebbe davvero utile, sia per il clima sia per la salute umana, se le persone di molti paesi ricchi consumassero meno carne e se i politici creassero incentivi adeguati in questo senso".
I ricercatori sottolineano anche la rilevanza data dal rapporto alle foreste pluviali tropicali, poiché crescono i timori per l'accelerazione dei tassi di deforestazione. Le foreste pluviali amazzoniche sono un enorme pozzo di carbonio che agisce abbassando la temperatura globale, ma i tassi di deforestazione sono in aumento, in parte a causa delle politiche e delle azioni del governo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Se non fosse fermata, la deforestazione potrebbe trasformare gran parte delle restanti foreste amazzoniche in un deserto degradato, rilasciando nell'atmosfera più di 50 miliardi di tonnellate di carbonio in 30-50 anni, afferma Carlos Nobre, climatologo dell'Università di San Paolo, in Brasile. "È molto preoccupante", dice. "Sfortunatamente, alcuni paesi non sembrano capire l'estrema necessità di fermare la deforestazione nei tropici", afferma Pörtner. “Non possiamo obbligare alcun governo a interferire. Ma speriamo che il nostro rapporto influenzerà sufficientemente l'opinione pubblica a tal fine".

Gli obiettivi di Parigi
Anche se il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia e per i trasporti attira maggiormente l'attenzione, le attività legate alla gestione del territorio, tra cui l'agricoltura e la silvicoltura, producono quasi un quarto dei gas che intrappolano il calore. La corsa per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali – obiettivo dell'accordo internazionale di Parigi sul clima del 2015 – potrebbe essere una battaglia persa se il suolo non sarà utilizzato in modo più sostenibile e rispettoso del clima, sostiene l'ultimo rapporto dell'IPCC.
 Il rapporto sottolinea la necessità di preservare e ripristinare le foreste, che assorbono il carbonio dall'aria, e le torbiere, che rilasciano carbonio se vengono sfruttate. Il bestiame allevato in pascoli ottenuti da aree disboscate è a intensità di emissioni particolarmente alta, afferma. Questa pratica si accompagna spesso alla deforestazione su larga scala, come in Brasile o in Colombia. Inoltre, digerendo il cibo le mucche producono una grande quantità di metano.
Il rapporto afferma con elevato grado di sicurezza che le diete bilanciate a base di alimenti di origine vegetale e di origine animale prodotti in modo sostenibile "presentano importanti opportunità di adattamento e mitigazione, producendo al tempo stesso significativi vantaggi per la salute umana".
Entro il 2050, i cambiamenti di regime alimentare potrebbero liberare milioni di chilometri quadrati di terreno e ridurre le emissioni globali di CO2 fino a otto miliardi di tonnellate all'anno, secondo gli scienziati.
"È davvero entusiasmante che l'IPCC stia diffondendo un messaggio così forte", afferma Ruth Richardson, direttore esecutivo della Global Alliance for the Future of Food, una coalizione di associazioni filantropiche. "Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale, non di piccoli cambiamenti, verso un uso globale dei terreni e un sistema alimentare che soddisfi le nostre esigenze climatiche".

Una gestione attenta
Il rapporto avverte che per nutrire una popolazione mondiale in aumento i terreni devono rimanere produttivi. Il riscaldamento migliora la crescita delle piante in alcune regioni, ma in altre – tra cui l'Eurasia settentrionale, parti del Nord America, dell'Asia centrale e dell'Africa tropicale – l'aumento dello stress idrico sembra ridurre il tasso di fotosintesi. Pertanto, afferma il documento, l'uso di colture per biocarburanti e la creazione di nuove foreste – viste come misure che potrebbero potenzialmente mitigare il riscaldamento globale – devono essere attentamente gestiti per evitare il rischio di carenza di cibo e perdita di biodiversità.

Gli agricoltori e le comunità di tutto il mondo devono anche fare i conti con piogge più intense, inondazioni e siccità derivanti dai cambiamenti climatici, avverte l'IPCC. Il degrado del suolo e i deserti in espansione minacciano di compromettere la sicurezza alimentare, aumentare la povertà e spingere all'emigrazione, afferma il rapporto. Circa un quarto della superficie delle terre emerse del globo sembra già subire un degrado del suolo – e si prevede che i cambiamenti climatici peggioreranno le cose, in particolare nelle zone costiere basse, nei delta fluviali, nelle terre aride e nelle aree di permafrost. Inoltre, in alcune regioni l'aumento del livello del mare va a sommarsi all'erosione costiera, afferma il rapporto.

L'agricoltura industriale è responsabili di gran parte dell'erosione del suolo e dell'inquinamento osservati, dice Andre Laperrière, direttore esecutivo di Global Open Data for Agriculture and Nutrition, con sede a Oxford, nel Regno Unito, un'iniziativa per rendere accessibili in tutto il mondo le informazioni scientifiche rilevanti. Il rapporto potrebbe fornire un invito all'azione assolutamente necessario e autorevole, afferma Laperrière. "Il più grande ostacolo che dobbiamo affrontare è cercare di insegnare a circa mezzo miliardo di agricoltori in tutto il mondo a rielaborare il loro modello di coltivazione in modo che sia a basse emissioni di carbonio". Anche Nobre spera che la voce dell'IPCC darà maggiore risalto alle questioni relative all'uso del suolo nei prossimi colloqui sul clima. "Penso che le implicazioni politiche del rapporto avranno effetti positivi poiché spingeranno tutti i paesi tropicali a mirare alla riduzione dei tassi di deforestazione", dice.

Valutazioni regolari
Dal 1990, l'IPCC valuta con regolarità la letteratura scientifica, producendo rapporti completi ogni sei anni e, a intervalli irregolari, rapporti speciali su aspetti specifici dei cambiamenti climatici, come quelli di oggi.
Un rapporto speciale pubblicato lo scorso anno ha concluso che le emissioni globali di gas serra, che hanno toccato il massimo storico di oltre 37 miliardi di tonnellate nel 2018, devono diminuire drasticamente nel prossimo futuro per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, e che ciò richiederà interventi drastici senza ulteriori rinvii. Il prossimo rapporto speciale dell'IPCC, dedicato all'oceano e alle calotte glaciali in un clima che cambia, è previsto per il mese prossimo.
I governi di tutto il mondo prenderanno in considerazione le ultime scoperte dell'IPCC al vertice delle Nazioni Unite sul clima il prossimo mese a New York. La prossima tornata di colloqui sul clima tra le parti dell'accordo di Parigi avrà luogo a dicembre a Santiago del Cile. António Guterres, segretario delle Nazioni Unite per il clima, ha dichiarato la scorsa settimana che è "assolutamente essenziale" attuare quell'accordo storico e "farlo con maggiore ambizione. Dobbiamo integrare i rischi dei cambiamenti climatici in tutte le decisioni", ha affermato. "Per questo sto dicendo ai leader di non venire al vertice con dei bei discorsi".

da  www.lescienze.it – 9 agosto 2019

L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Nature" l'8 agosto 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze

leggi anche: L'impatto ambientale della produzione di alimenti

29 ottobre 2019

La crescita del potere delle multinazionali



Per il decimo anno consecutivo Wal-Mart mantiene il primo posto, per fatturato, nella graduatoria mondiale delle multinazionali. Lo rende noto Top 200, edizione 2019, il dossier curato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sulle prime 200 multinazionali del mondo. Wal-Mart è la più grande catena di supermercati: 11.200 in tutto il mondo sparsi nei cinque continenti. Con 2 milioni e 200mila dipendenti, di cui 1 milione e mezzo negli Stati Uniti, Wal-Mart è anche ai primi posti in termini di multe per violazione dei diritti dei lavoratori. Dal 2000 ad oggi, solo negli Stati Uniti, ha collezionato multe per un miliardo e mezzo di dollari. 


Al 13° posto della graduatoria delle multinazionali, troviamo un’altra impresa del commercio, che benché più piccola è senz’altro più nota in Europa. Si tratta di Amazon, il cui patron, Jeff Bezos, per il secondo anno consecutivo si è collocato al primo posto della graduatoria stilata da Forbes sulle persone più ricche della terra. E neanche lui passa per essere un buon datore di lavoro. Nichole Gracely, una giovane statunitense che ha lavorato vari mesi come stagionale in un centro logistico di Amazon, ha detto che è meglio essere disoccupata e senza casa piuttosto che lavorare alle dipendenze di Amazon.
Non sappiamo come se la cavino i lavoratori delle altre catene commerciali, ma di sicuro sappiamo che i supermercati costituiscono il gruppo di imprese più numerose fra le Top 200: ben 35 per un fatturato complessivo di 4 mila miliardi di dollari e 11 milioni di dipendenti. 

Solo il settore energetico (le terribili multinazionali del petrolio) riesce ad andare più su con un fatturato complessivo di 4.192 miliardi. Ma al terzo posto troviamo le imprese finanziarie a confermare come banche, assicurazioni e fondi di investimenti rappresentino la spina dorsale del capitalismo moderno.
 
È proprio a questi soggetti che Top 200 riserva alcuni approfondimenti. In particolare “Banche sporche di catrame”, richiamandosi alla ricerca condotta da Banking on climate change, mette in evidenza che dal 2015, l’anno in cui venne firmato l’accordo di Parigi, le principali 33 banche mondiali hanno impegnato il 7% di risorse in più a vantaggio delle imprese che estraggono combustibili fossili. Poi non c’è da stupirsi se le emissioni di anidride carbonica hanno continuato a crescere: del 1,6% nel 2017 e del 2,7% nel 2018. Al primo posto per finanziamenti concessi c’è JP Morgan Chase, la banca internazionale guidata da Jamie Dimon, anche presidente della Business Roundtable che nell’agosto 2019 ha fatto credere al mondo che d’ora in avanti il capitalismo terrà conto degli interessi sociali e ambientali, non dei profitti degli azionisti.

E sempre parlando di finanza, un altro servizio si concentra sulle banche con l’elmetto, quelle, cioè, che sostengono le imprese di armi. Fra le banche europee al secondo posto troviamo Unicredit con 4 miliardi di finanziamenti, superata solo da Lloyds Bank. Fra i clienti di Unicredit c’è Northrop Grumman, che è coinvolta nella produzione di armi nucleari. Fra i clienti di Lloyds, c’è General Dynamics, anch’essa coinvolta nella produzione di armi nucleari e fornitrice di armi a Egitto e Arabia Saudita. Armi controverse inviate a Paesi controversi, laddove per armi controverse si intendono sia quelle illegali che quelle che provocano effetti indiscriminati e sproporzionati. Sotto questa categoria sono ricondotte le armi nucleari, le mine antiuomo, le armi incendiarie. Per Paesi controversi si intendono quelli autoritari con un basso tasso di libertà e rispetto per i diritti umani. Un’ulteriore dimostrazione che, al di là delle politiche d’immagine, pur di fare soldi le imprese non si fanno scrupolo a finanziare operazioni di morte e di aggressione contro le persone e la natura. Solo la vigilanza e l’agire critico potranno salvarci.

*  Francesco Gesualdi  - 24 ottobre 2019

28 ottobre 2019

Germania, voto Turingia: Sinistra prima, Afd secondo partito, crollo Cdu-Spd




L'ultradestra di Björn Höcke va oltre il raddoppio. La Comunità ebraica: nel nostro sistema politico qualcosa di fondamentale è finito fuori controllo

Netta affermazione dell'estrema destra Alternative for Germany (AfD) alle elezioni svoltesi ieri nello Stato della Turingia, nella Germania centro-orientale, dove si impone come secondo partito dietro alla sinistra, davanti alla Cdu della cancelliera Angela Merkel. Stando ai risultati definitivi, la Linke ha conquistato il 31% dei consensi, l'AfD il 23,4%, pari a +12,8% rispetto alle elezioni del 2014, mentre il partito di Merkel si ferma al 21,8%, pari a -11,7% rispetto al 2014. Seguono quindi i socialdemocratici (Spd) con l'8,2% (-4,2%), i Verdi con il 5,2% e i Liberi Democratici (Fdp) con il 5%.

L'affluenza alle urne della Turingia è stata piuttosto alta: ha infatti votato quasi il 65% degli elettori, contro il 53% di cinque anni fa.Come sottolinea la Deutsche Welle, il risultato dell'AfD in Turingia conferma il forte sostegno di cui l'estrema destra gode anche in altri Stati dell'Est del Paese, come emerso a settembre quando ha conquistato il 27,5% in Sassonia e il 23,5% nel Brandeburgo.

Turingia unico Land a guida Die Linke
Il primo partito, la sinistra radicale Die Linke avrebbe il 29,5% dei voti, segnando un +1,3% rispetto al 2014. La Turingia è l'unico Land tedesco finora guidato da Die Linke (il governatore uscente è Bodo Ramelow), in coalizione con Spd e Verdi.

Afd: declino partiti tradizionali
 Esulta l'Afd subito dopo la pubblicazione dei primi risultati delle elezioni in Turingia. Parlando all'emittente pubblica Zdf, il leader del partito dell'ultradestra, Joerg Meuthen, ha affermato che "quello cui stiamo assistendo è il chiaro declino dei vecchi partiti popolari". L'esponente dell'Afd fa notare che stando alle prime proiezioni i partiti tradizionali (ossia Cdu, Spd, Fdp) non vanno complessivamente oltre il 30% dei voti.


 L'analisi: ultradestra raddoppia
 L'estrema destra tedesca di Alternativa per la Germania (AfD) va oltre il raddoppio in Turingia e diventa secondo partito dopo la sinistra radicale di Die Linke, a spese della Cdu di Angela Merkel che registra il peggior risultato mai ottenuto nella regione. In questo Land dell'est del Paese, nella ex Ddr, l'ultradestra è guidata da una delle sue figure più radicali, Björn Höcke, accusato di avere alimentato l'antisemitismo con ripetute dichiarazioni mirate a rompere con la cultura del pentimento rispetto ai crimini nazisti. Nella campagna elettorale che ha portato al voto, il candidato della Cdu Mike Mohring lo ha accusato di essere "un nazista". Tuttavia, nonostante il recente attacco antisemita del 9 ottobre compiuto da un neonazista a Halle, nel vicino Land di Sassonia-Anhalt, che ha preso di mira una sinagoga, l'AfD prende il 23,4%, cioè più del doppio rispetto al risultato del 2014. Dalla Turingia, dunque, nuovi grattacapi per i due partiti della Grosse Koalition, cioè i conservatori della Cdu di Angela Merkel e i socialdemocratici della Spd. Queste due formazioni, che hanno dominato la vita politica tedesca dal dopoguerra, hanno già subito pesanti sconfitte nelle elezioni locali in Brandeburgo e in Sassonia a inizio settembre, a vantaggio di AfD e Verdi. In Turingia per la Cdu è un crollo storico: è terzo partito con il 21,8%, in calo di 11 punti rispetto al 2014. La situazione in Turingia è particolare: si tratta del solo Land in Germania guidato da Die Linke (in coalizione con Spd e Verdi). Il governatore Bodo Ramelow nel 2014 era riuscito, dopo 24 anni di potere ininterrotto della Cdu, a conquistare questa regione industriale di 2,1 milioni di abitanti, che economicamente sta meglio rispetto alla media della ex Ddr grazie all'industria elettronica e dell'auto. Ex sindacalista, Ramelow ha optato per una politica pragmatica, non esitando a privilegiare temi cari ai conservatori come la sicurezza e ad allontanare gli slogan più radicali del suo partito. La campagna si è svolta in un'atmosfera molto tesa, con accuse contro l'AfD da una parte e minacce di morte agli oppositori dell'ultradestra dall'altra. Sposato e padre di quattro figli, il leader locale dell'AfD Björn Höcke, ex professore di storia al liceo, nel 2017 aveva definito il memoriale della Shoah a Berlino un "monumento della vergogna". Ha anche difeso l'idea di una "Germania millenaria", un modo di intendere che la storia nazionale va al di là del solo periodo nazista.

La cancelliera Merkel, presa regolarmente di mira dall'ultradestra per la sua politica di accoglienza dei migranti nel 2015 e nel 2016, dopo l'attacco di Halle ha esortato a prestare attenzione alle "parole" che possono "trasformarsi in atti". Il suo partito già a giugno aveva chiamato in causa l'AfD a seguito dell'omicidio, da parte di un neonazista, del politico pro-migranti della Cdu Walter Lübcke. 

Comunità ebraica: sistema fuori controllo
 La comunità ebraica tedesca è sotto shock dopo la pubblicazione dei risultati elettorali della Turingia. A detta dell'ex presidente del Consiglio centrale ebraico, Charlotte Knobloch, "che un partito come Alternative fuer Deutschland abbia potuto ottenere un risultato di questa portata dimostra che nel nostro sistema politico qualcosa di fondamentale è finito fuori controllo". "Laddove un partito del genere festeggia tali successi, c'è un problema", ha concluso Knobloch.

* da www.rainews.it    28 ottobre 2019