Intervista.
Antonio Pratesi, direttore de Il fatto alimentare: «La proposta del ministro è
virtuosa. Ma i partiti hanno delle fondazioni che ricevono soldi anche da
industrie alimentari»
di Daniela Passeri *
Antonio
Pratesi, medico nutrizionista e divulgatore scientifico de ilfattoalimentare.it
non usa giri di parole. «Perché l’Italia è ostile alla sugar-tax? Forse perché
mancano dei nutrizionisti autorevoli e indipendenti dall’industria alimentare
che abbiano una visione ad ampio respiro del problema obesità».
La nostra
industria alimentare e delle bevande, con il 25,9% degli investimenti
pubblicitari italiani, è in grado di condizionare pesantemente le scelte
editoriali e persino politiche. In cima agli inserzionisti compaiono sempre
Ferrero, Barilla, Nestlé, Mondelez, Danone, Perfetti, Bauli, Coca Cola, le
aziende che ci servono gran parte dei prodotti da colazione, bevande zuccherate
e merendine. «Abbiamo grandi accademici che studiano l’obesità dal punto di
vista biomedico (metabolismo-diagnosi-terapia) ma che non conoscono la
dietetica e non conoscono la medicina preventiva. D’altronde noi medici
all’università studiamo poco la nutrizione e nulla di marketing e tecniche di
manipolazione dell’opinione pubblica. E abbiamo poca percezione di come le
sponsorizzazioni di congressi, gettoni di presenza o rimborsi per consulenze,
possano condizionare il nostro operato».
Ci sono dei
conflitti di interesse?
In Italia
nel campo della nutrizione il conflitto di interessi è tabù. Nel mondo
medico-dietetico non c’è la consapevolezza che, oltre alle industrie
farmaceutiche, anche e soprattutto le industrie alimentari possono condizionare
la ricerca. I nutrizionisti alla TV non dichiarano mai se hanno conflitti di
interesse.
Lei dichiara
di non avere conflitti di interessi?
Sì, lo
dichiaro.
C’è stato
forse un difetto di comunicazione nella proposta avanzata dal ministero
Fioramonti?
Probabilmente
era meglio non parlare di merendine ma solo di tassa sulle bevande zuccherate.
La giusta proposta del ministro dell’Istruzione di tassare merendine, bevande
zuccherate e voli aerei è stata banalizzata e ridicolizzata come «tassa sulle
merendine» dalla stampa e da parte di alcuni esponenti politici. L’iniziativa
seria e virtuosa che il Fatto Alimentare sta portando avanti da tempo è invece
la proposta di una tassa sulle bevande zuccherate in linea con le indicazioni
date dalle autorità scientifiche più autorevoli a livello mondiale: la World
Obesity, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la World Cancer Reseach
Found. Come al solito il messaggio è stato buttato in caciara a beneficio
dell’industria alimentare e a danno del cittadino. L’opinione pubblica
percepisce la tassa come un balzello per fare cassa e non come un intervento
per migliorare la sua salute, perché di questo si tratta!
Perché i
nostri Larn (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per
la popolazione italiana) non fanno una distinzione netta tra zuccheri aggiunti
e zuccheri naturalmente presenti nella frutta, come raccomandato da Oms?
In effetti è
una cosa strana e singolare: in Italia lo zucchero bianco della Coca Cola o
della Nutella è considerato uguale a quello contenuto in frutta e verdura. Ma
gli zuccheri naturali negli alimenti sono all’interno delle cellule e accompagnati
da fibra alimentare, vitamine, sali minerali e migliaia di altre sostanze
protettive (bioflavonoidi …). Dal punto di vista chimico non è sbagliato ma dal
punto di vista nutrizionale è una impostazione che collide con le indicazioni
dell’OMS e di moltissimi altri paesi al mondo (USA, GB, paesi nordici).
Pensa che in
Italia possa funzionare? Con quali altre azioni complementari?
Le massime
autorità scientifiche mondiali suggeriscono di introdurre la sugar tax perché
la tassazione ad esempio di alcol e fumo è l’unico modo che sino ad ora si è
dimostrato efficace per ridurre il consumo di sostanze dannose per la salute.
L’educazione alimentare va perseguita in ogni caso, ma sappiamo già che non
funziona. La sanità pubblica, in termini educativi, non può competere con i
miliardi in pubblicità delle multinazionali alimentari. La tassazione invece
funziona nel ridurre il consumo di bevande zuccherate. E’ necessario mettere il
cittadino nella condizione di fare scelte salutari incentivando il consumo di alimenti
naturali poco elaborati dall’industria e contrastando il consumo di alimenti
spazzatura (le bevande zuccherate). Per il tabacco la legge vieta la pubblicità
ed ha imposto scritte e foto sui pacchetti delle sigarette per
informare/dissuadere il consumatore. Personalmente credo che la pubblicità di
alimenti insalubri, soprattutto se rivolta ai minori, non sia etica. Inoltre in
Italia l’industria non vuole informare adeguatamente il consumatore adottando
il NutriScore, un modello di etichettatura degli alimenti che si sta
diffondendo in tutto il mondo per la sua semplicità e chiarezza.
Lo zucchero
ridotto viene sostituito da edulcoranti e, nei prodotti da forno, con polioli.
Da un punto di vista medico-nutrizionale cosa ne pensa?
Gli
edulcoranti non hanno dimostrato alcun vantaggio sul peso corporeo rispetto
agli zuccheri aggiunti. I polioli hanno il vantaggio di non essere cariogeni e
di avere meno calorie ma la strada giusta è quella di abituare il palato nostro
e dei nostri bambini a sapori meno dolci. Bastano poche settimane per abituarci
ad alimenti senza zucchero o con minori zuccheri aggiunti.
Per limitare
l’assunzione di zucchero (o di grassi), non basterebbe regolare o limitare per
legge il contenuto degli zuccheri aggiunti (o grassi)?
In teoria
sì, in pratica no. I partiti hanno delle fondazioni che ricevono soldi anche da
industrie o multinazionali alimentari. Queste sponsorizzazioni sono la garanzia
per bloccare qualunque legge o tassazione. In alcuni stati Americani sono stati
i cittadini che hanno votato a favore dell’introduzione della sugar tax.
Difficilmente le autorità avrebbero avuto la forza per introdurla.
L’industria
alimentare si oppone alla tassazione e propone una sorta di
auto-regolamentazione. Pensa che possiamo aspettarci qualcosa di buono?
I codici di
autoregolamentazione sono una barzelletta. Non mi risulta abbiano mai
funzionato. Quale azienda si autoregolamenta per vendere meno i suoi prodotti?
Per guadagnare meno? È lo Stato che deve intervenire supportato dalla
consulenza di esperti in nutrizione e medicina preventiva indipendenti
dall’industria alimentare.
* da il
manifesto 3 ottobre 2019
Nessun commento:
Posta un commento