13 marzo 2024

Sardegna, Abruzzo ed altri animali fantastici

 di Massimo Marino

Siete sicuri  di conoscere chi ha vinto le elezioni in Sardegna, perché ha vinto, cosa ha vinto ? E in Abruzzo com’è che una coalizione più larga ha perso ? Ancora una volta un sistema di voto demenziale nel quale gli elettori attivi rimasti cercano di esprimere la propria scelta, ha colpito ancora ( e forse questa volta ci è andata bene ).

 Proviamo a fare un po' di luce ( e gli scongiuri sul futuro della Sardegna e dell’Abruzzo).

CHI HA VINTO

- In Sardegna secondo le regole della legge elettorale regionale ( modificate di recente dal Consiglio uscente) ha vinto la candidata Presidente Alessandra Todde per circa 1600 voti in più del secondo candidato su 1.447.753  aventi diritto al voto. I due candidati di fatto erano pressoché alla pari ma le 10 liste che  hanno sostenuta la Todde si divideranno il 60% dei seggi ( cioè 36 su 60 ). Poiché la coalizione di 5 liste a sostegno di Soru non ha raggiunto il 10% non avrà eletti ( singolare !)  e quindi le 9 liste a sostegno di Truzzu avranno tutti gli altri 24 seggi ( ri-singolare ! ) .

Preciso: se fossi stato sardo avrei votato anch’io Todde e i 5stelle, non avrei trovato alternative. La Todde è persona seria ma con soli tre anni di esperienza politica in prima linea. Il sistema elettorale bislacco ha prodotto un Consiglio con 60 eletti di 16 liste diverse. ( Ma l’introduzione del maggioritario e delle coalizioni pre-voto in varie forme nel corso degli ultimi decenni non doveva contenere la frammentazione ? ).

Sul vento che cambia e i media  che inventano animali fantastici io andrei  molto cauto. Al momento l’unico vento serio è quello riguardante pale eoliche e rinnovabili su cui le associazioni ambientaliste sarde chiedono l’abbandono di carbone e olio combustibile, l’aggiramento del gas e la transizione rapida alle rinnovabili. Una bella scommessa l’isola verde indicata anche dalla Todde e dai 10 alleati nel documento programmatico di 203 pagine della coalizione. Spero sinceramente che se la cavi: si comincerà a capire  fra 1-2 anni.

In termini di voti Todde ha ottenuto circa  332.000 voti ( cioè il 22,9 % del totale aventi diritto). Truzzu ne ha ottenuti all’incirca 1600 in meno ( neanche un decimale in meno del 22,9% ). Il terzo ( Soru ) circa 63.000.

Le 10 liste di Todde ( due delle quali, Sardegna20venti e Fortza Paris, nelle precedenti elezioni del 2019 erano nella coalizione di cdx ) hanno ottenuto circa 291.000 voti. I 36 seggi della maggioranza sono ripartiti fra 8 liste ( 12 al PD , altri 11 sommando M5S e lista civica Todde, 4 agli ecosinistri di AVS, 9 ad altre 4 liste). 

Le 9 liste di Truzzu hanno ottenuto circa 329.000 voti ( circa 38.000 voti in più di quelle di Todde) . I 24 seggi sono ripartiti fra 8 liste (7 a FdI , 3 a Forza Italia, 2 alla Lega, altri 12 ad altre 5 liste ) .

- Nelle precedenti elezioni regionali del 2019 ( vinte dal CDX con Solinas ) i candidati presidenti erano 7 invece di 4 e le liste in totale una in meno (24 invece di 25 ) Il candidato del tradizionale CSX (Zedda) aveva perso con circa 251 mila voti e quello del M5S con  85.000. La somma dei due ( 336mila)  è stata in realtà superiore ai voti ottenuti adesso da Todde (4mila in più ).. Altri 4 candidati avevano ottenuto in totale circa 60 .000 voti ( vicini ai 63mila ottenuti adesso da Soru) e nessun eletto. Il vincente Solinas aveva ottenuto 364.000  voti cioè il 24,8 % del totale aventi diritto che erano 1.470.404 ( Solinas quindi ottenne  circa 32 mila voti in più di Todde e di Truzzu ).

- Nelle elezioni politiche del settembre 2022 in Sardegna erano presenti 14 liste in totale. Con riferimento alla Camera dei deputati gli aventi diritto erano 1.342.551 . Quattro liste erano assimilabili agli attuali sostenitori di Todde e ottennero circa  325mila  voti. Fra queste il M5S con 149mila voti, il PD con 127mila, AVS con 36mila. 

Insomma capire chi ha vinto e il vento che tira mi sembra questione da prendere con prudenza. Io vedo una situazione di prevalente  immobilità e pochissimi cambiamenti di rilievo.

Nel successivo voto in Abruzzo il risultato mi è  sembrato più chiaro. Il campo largo di CSX , che più largo non si può, smentisce un altro animale fantastico che aleggia da tempo: “più siamo uniti più vinciamo” ( sicuri? con Renzi e Calenda più alcuni multisimboli ingombranti e senza voti ? ).

Sul tema condivido Travaglio di ieri ( qui ) : “ Il sistema bipolare e maggioritario dell’elezione diretta a turno unico dei presidenti di Regione – o di qua o di là – espelle dalle urne gli elettori che non vogliono farsi ingabbiare in due ammucchiate: infatti in Sardegna e in Abruzzo il 48%, ( in realtà il 51% )  un elettore su due, non ha votato “ . In effetti se fossi stato abruzzese mi sarei chiesto: ma che ci azzeccano questi con il M5S e il vento di cambiamento?  Si dimentica che il partito dell’astensionismo militante è di gran lunga il più numeroso  e parecchio prevenuto ed alla fine è quello che determina quale minoranza  vince.  

Il campo largo è ideato come un panino:  all’esterno da una parte si mette una fetta di Renzi/Calenda/Magi, dall’altra di 5Stelle ed ecosinistri, in mezzo una bella fetta di salame  PD. La speranza è che nel turbine di incerti sapori si scelga per prudenza di mangiare solo la fetta di salame in mezzo e scartare il resto. Così l’immobilismo è garantito. E’ la versione aggiornata per necessità del partito a vocazione maggioritaria, l’animale fantastico di Veltroni che ai paninari ( gli elettori) non è piaciuto per niente e lo ha portato alla disoccupazione..

Anche qui condivido  Travaglio: “ .. meglio il proporzionale, che coinvolge tutti i cittadini. L’ubriacatura bipolare del berlusconismo è finita nel 2013 con l’avvento dei 5 Stelle, malgrado i tentativi renziani di riesumarne il cadavere (puniti dagli elettori) e l’operazione Draghi per livellare tutti i partiti su un unico programma, la sua fantomatica Agenda (bocciata dagli elettori). La politica è fatica, mediazione, compromesso fra istanze e interessi diversi e incomprimibili in due blocchi .. Prima che metà degli elettori abbandoni stabilmente i seggi, è il caso di prenderne atto e tornare al proporzionale, anche con uno sbarramento fino al 5% che costringa i partitini simili a unirsi, e con la preferenza unica che impedisca le doppiette e le triplette mafiose e clientelari da Prima Repubblica…”

L’ASTENSIONISMO E L’ELECTION DAY

Il risultato in Sardegna ha assunto come prevedibile una crescente importanza, vera o presunta, con l’avvicinarsi del voto. Con l’ovvia  aspettativa di avere una maggiore affluenza.  La realtà invece, come spesso avviene, ha tradito il fantasioso  argomentare dei media. L’astensionismo ( compreso come è logico le bianche e le nulle ) ha ancora ridotto il voto attivo al 50,4 % per i presidenti e 47,2% per le 25 liste presenti. Alle regionali del 2019 erano rispettivamente il 51,8% per i presidenti e 48,6 % per le 24 liste. In mezzo, alle politiche del settembre 2022, i votanti sono stati il 51,06 %. A questi andrebbero aggiunti gli estimatori del voto a perdere, quello verso liste che, con le regole attuali  hanno probabilità di successo vicino a zero. In Italia il voto a perdere arriva almeno a 1,5-2 milioni di voti e tocca pochissimo il CDX.

L’astensionismo continua seppure lentamente ad aumentare ancora, segnale evidente che nell’insieme non si percepivano dirompenti novità ( buone o cattive che fossero). Alle politiche precedenti del 2013 e 2018 il successo dei 5stelle e le forti aspettative avevano portato invece ad una tenuta  della partecipazione sopra il 70%. I dati ( confermati anche in Abruzzo ) indicano quindi che al momento l’astensionismo si sta consolidando: almeno 50-51 elettori su 100 non vedono ragioni per andare a votare.  Ho più volte espresso l’opinione che per almeno la metà si tratti di “astensionismo militante” cioè di elettori per niente “ spoliticizzati”  ne “sonnambuli” ma invece  delusi da loro  precedenti  riferimenti, in tanti casi ex militanti provati dai tanti fallimenti dei loro referenti e leader ( i sondaggisti chiamano tutti, sbagliando, “voto d’opinione”) .  Per gli altri invece, quelli che hanno oggettive difficoltà a recarsi al voto, non si prendono iniziative innovative  per rendere più facile la partecipazione, specie ai fuori sede. Io scarterei la strada del voto per posta ( poco efficace e pericoloso ). Meglio attivare un seggio speciale in ogni capoluogo di provincia ( quindi un centinaio ) anticipando in questi apertura e chiusura di un giorno e inviando subito i risultati, attraverso un nodo centrale,  ai singoli Comuni.

Si è parlato  di election day ( finto) poiché con le Europee di giugno avremo  anche la Regione Piemonte e il primo turno di molti  Comuni ( fra cui 27 capoluoghi di Provincia ). In realtà prima in Aprile avremo la Basilicata e questo inverno l’Umbria ( conoscete un altro paese al mondo dove si vota 5-6 volte nello stesso anno ? ). In aggiunta resta in sospeso il destino di più di 100 provincie dove si vorrebbe ripristinare il vecchio sistema di voto primario entro l’anno. Ma non sarebbe il caso di dimezzare le nuove Provincie proliferate in modo irragionevole per due decenni  e cominciare lì a reintrodurre un proporzionale con quorum al 5%  per impedire l’esplosione di molte centinaia di liste ? Solo il padreterno sa quale altro astruso marchingegno inventeranno per le Provincie nell’unico paese del mondo dove pur con sistemi a base maggioritaria e forzosamente bipolari ci sono ormai decine e decine di liste, con più di dieci sistemi elettorali diversi e almeno 50 elettori su 100 che non votano.

L’unica cosa da invidiare e copiare del sistema di voto americano ( il resto è demenziale)  è la concentrazione di tutto il voto sempre nella stessa data di novembre ogni 4 anni, al quale lì hanno aggiunto, sempre in novembre,  il voto di mezzo termine a metà percorso per complicarsi la vita. Io  aggiungerei invece la soglia del 5% alla tedesca in tutti i tipi di votazioni dai Comuni al Parlamento. Gradualmente potremmo introdurre il voto di qualunque tipo ( compresi eventuali referendum) sempre nella stessa data   dell’anno  concentrando ogni  4 anni  la scadenza delle Politiche seguite a metà percorso dalle Europee. In pratica voteremmo ogni 24 mesi con un enorme semplificazione di costi, maggiore propensione a fondersi in soggetti politici  stabili con minore frammentazione e con maggiore chiarezza sui programmi. Avremmo comunque almeno  7-8 partiti garanti del pluralismo ma con maggiore stabilità e serietà.

Invece abbiamo una  permanente campagna elettorale dove si inventano ogni due mesi fantasiosi appuntamenti decisivi, convergenze, irreali proposte preelettorali, giravolte e cambi di regole e di casacca che sono ormai la caratteristica dilagante della misera politica all’italiana. 

Ad aprile si ricomincia con la Basilicata. 

13 marzo 2024

Torniamo al proporzionale

 

di Marco Travaglio *

Sull’Abruzzo ripetiamo quello che avevamo detto della Sardegna e di tutte le altre consultazioni locali: le elezioni regionali riflettono la situazione del posto. La maggioranza degli abruzzesi non era schifata dai suoi governanti di destra quanto quella dei sardi. Le tante liste pro Marsilio hanno attirato più voti di quelle pro D’Amico. Che non era innovativo e portatore di esperienza e di narrazione appassionanti e trasversali quanto Alessandra Todde. E gran parte degli elettori 5 Stelle, vedendo dietro di lui il vecchio ras pidino Luciano D’Alfonso, hanno preferito astenersi. Tantopiù che, diversamente dalla Sardegna, il campo progressista andava fino a Calenda e perfino a Renzi.

L’unica lezione “nazionale” che possono trarre Schlein, Conte e gli altri oppositori del governo Meloni è che quest’idea messianica del campo larghissimo non porta voti larghissimi. Con coalizioni eterogenee buone per votare “contro”, ma non per costruire un governo credibile, i voti non si guadagnano, ma si perdono.

Il sistema bipolare e maggioritario dell’elezione diretta a turno unico dei presidenti di Regione – o di qua o di là – espelle dalle urne gli elettori che non vogliono farsi ingabbiare in due ammucchiate: infatti in Sardegna e in Abruzzo il 48%, un elettore su due, non ha votato. Meglio il doppio turno dei comuni, più rispettoso delle differenze.

Ancor meglio il proporzionale, che coinvolge tutti i cittadini. L’ubriacatura bipolare del berlusconismo è finita nel 2013 con l’avvento dei 5 Stelle, malgrado i tentativi renziani di riesumarne il cadavere (puniti dagli elettori) e l’operazione Draghi per livellare tutti i partiti su un unico programma, la sua fantomatica Agenda (bocciata dagli elettori). La politica è fatica, mediazione, compromesso fra istanze e interessi diversi e incomprimibili in due blocchi, specie in un Paese individualista e sfaccettato come l’Italia. Prima che metà degli elettori abbandoni stabilmente i seggi, è il caso di prenderne atto e tornare al proporzionale, anche con uno sbarramento fino al 5% che costringa i partitini simili a unirsi, e con la preferenza unica che impedisca le doppiette e le triplette mafiose e clientelari da Prima Repubblica.

Dovrebbero proporlo Pd e 5Stelle, che fra l’altro ne avrebbero la maggior convenienza e dovrebbero abbandonare l’idea mefitica e mortifera dell’“alleanza strutturale”, di qui all’eternità e “a prescindere”. E potrebbero incrociare gli interessi di Lega e FI, tutt’altro che ansiosi di farsi fagocitare dalla Meloni, nonché delle forze di centro e di sinistra. L’unico modo per recuperare gli astenuti, oltre alla buona politica, è esaltare le diversità e le differenze non solo nelle parole, ma anche nelle urne. E poi allearsi con chi è più vicino, o meno lontano.

* da  Il Fatto quotidiano - 12 marzo 2024

8 marzo 2024

Haiti precipita nel caos

Dal 29 febbraio ad Haiti, il paese più povero delle Americhe, gli attacchi delle bande armate che controllano intere regioni e gran parte della capitale Port-au-Prince si sono intensificati. In pochi giorni i gruppi criminali hanno assaltato un’accademia di polizia e alcune infrastrutture chiave, come il porto e l’aeroporto internazionale Toussaint-Louverture. Tutti i voli nazionali e internazionali sono stati sospesi a causa degli attacchi e di ripetuti tentativi di fare irruzione nelle piste. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo le bande criminali sono entrate nei due penitenziari più grandi del paese, quello nazionale e la prigione di Croix-des-Bouqets, facendo evadere migliaia di detenuti. Né il governo né l’amministrazione penitenziaria di Haiti hanno comunicato il numero preciso dei prigionieri rimasti. Ma alcuni giornalisti che la mattina dopo gli attacchi hanno visitato il penitenziario nazionale hanno riferito che nelle celle c’erano solo un centinaio di persone, tra cui diciassette ex soldati colombiani accusati dell’omicidio del presidente Jovenel Moïse, ucciso a luglio del 2021 nella sua casa di Port-au-Prince. E nelle strade intorno alla prigione almeno dieci cadaveri.

Dopo gli attacchi alle prigioni il governo haitiano ha dichiarato lo stato d’emergenza e un coprifuoco per permettere alle forze di sicurezza, già decimate, di riprendere il controllo della situazione e arginare la violenza delle bande criminali. Da tempo ad Haiti la polizia non è in grado di garantire l’ordine: si stima che ci siano solo diecimila agenti in servizio quando secondo le Nazioni Unite ne servirebbero almeno 26mila. Sempre secondo le Nazioni Unite nel 2023 le bande criminali sono state responsabili dell’uccisione di quattromila persone e del rapimento di altre tremila. Sono numeri altissimi per un paese di undici milioni di abitanti. Sono aumentate anche le violenze sessuali, metà degli haitiani non ha da mangiare a sufficienza e ci sono circa 200mila sfollati interni. L’elettricità, l’acqua potabile e le raccolta dei rifiuti funzionano poco e male, con conseguenze sanitarie molto gravi. La popolazione vive nel terrore, spesso è costretta a barricarsi in casa. L’economia informale, che è fondamentale per il paese, è completamente paralizzata, le scuole hanno chiuso e gli ospedali sono difficili da raggiungere. Mentre la violenza delle bande si intensificava, il primo ministro Ariel Henry (che avrebbe dovuto dimettersi all’inizio di febbraio) si trovava a Nairobi, in Kenya, per discutere con il presidente William Ruto un accordo per inviare una forza di sicurezza multinazionale ad Haiti. Anche se non ha il divieto di rientrare nel paese, scrive il quotidiano Le Nouvelliste, di ritorno dalla visita ufficiale in Kenya il 5 marzo Henry è stato costretto ad atterrare a Puerto Rico dopo aver cercato inutilmente di fermarsi nella Repubblica Dominicana. Il governo di Santo Domingo ha infatti imposto il divieto di volo tra i due paesi, che condividono l’isola di Hispaniola. Lo stesso giorno il leader criminale Jimmy Chérizier, soprannominato Barbecue, ha detto in un’intervista alla stampa che se “il primo ministro non si dimetterà e se la comunità internazionale continuerà a sostenerlo, andremo dritti verso una guerra civile e un genocidio”. Il 6 marzo il quotidiano statunitense Miami Herald ha rivelato che mentre era in volo Henry avrebbe ricevuto un messaggio dal dipartimento di stato di Washington che lo invitava a dimettersi e ad accettare un governo di transizione che porti il paese verso nuove elezioni. Ad Haiti non ci sono elezioni dal 2016 e da quasi un anno non c’è più nessun rappresentante eletto. Secondo il giornale, “si tratta di una svolta che in pochi si aspettavano, visto che la Casa Bianca finora aveva sempre respinto le dimissioni di Henry”. Della situazione di Haiti abbiamo parlato anche in questa puntata del podcast il Mondo.           

 Nella foto: Port-au-Prince, 29 febbraio 2024. (Odelyn Joseph, Ap/LaPresse)

Da Sudamericana -newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri su internazionale.it - 8 marzo 2024