di
Massimo Marino
In attesa che il 25 giugno si formino ufficialmente i diversi
gruppi in cui si distribuiranno i 751 eletti di 28 nazioni emersi dal voto
europeo del 26 maggio, è utile qualche riflessione meno estemporanea di quelle
lette sui media già poche ore dopo il voto.
Il racconto dei media, specie quelli italiani, ha deciso per noi
che avremmo scelto fra europeisti e sovranisti (detti anche
nazionalisti, populisti e/o genericamente la destra o anche la estrema destra).
Qualche spirito coraggioso semplificando ha parlato di scontro fra democratici sostenitori delle attuali
élite espresse nella maggioranza della Commissione europea e quelli che
dichiaravano di voler cambiare tutto.
In realtà di proposte di cambiamento se ne sono sentite poche, se
non la volontà, comune in realtà a quasi tutti, di voler chiudere le frontiere
agli immigrati irregolari. È un obiettivo che si può condividere se si aprono
altri percorsi regolari di immigrazione, che però nella pratica nessuno
persegue seriamente. In aggiunta proposte vaghe forse per cambiare i dazi
per difendere le proprie produzioni tassando e riducendo l’import secondo la
dottrina trumpista. Quali altre proposte di cambiamento avete sentito nella
campagna elettorale?
Che i media, specie quelli italiani, ripropongano sempre letture
semplificate del mondo riducendo tutto a scenari bipolari non è solo il
prodotto di banalizzazione o di ignoranza ma è il modo più efficace attraverso
il quale si difendono le élite (o chiamatele neoliberismo, austerità, neo o
turbo capitalismo o altro) che governano l’Europa e non solo da trenta anni.
In ogni caso: chi avrebbe quindi vinto fra europeisti e
sovranisti, se facessimo finta per un attimo che davvero fosse questa la sfida?
Mettetevi tranquilli, per il momento almeno, non ha vinto nessuno. Se vogliamo dirla tutta, l’Europa si è
complicata la vita con un probabile Parlamento Arlecchino di tanti colori e
poche idee. Al momento vere proposte riformatrici che ci diano un Europa più
vicina all’insieme dei popoli che la compongono, che affrontino la povertà e
l’emergenza climatica, che gestiscano in modo accettabile le migrazioni di
massa garantendo integrazione e sicurezza, che azzerino la corruzione nelle
istituzioni e nella società non ce ne sono. O comunque non prevalgono affatto
in un'unica voce autorevole nel continente.
La maggioranza Popolari-Socialdemocratici (oggi 178 e 153 seggi)
che esprimeva la leadership della Commissione europea ha perso 69 seggi (37 e 32)
e per raggiungere la maggioranza di 376 seggi deve trovare un accordo (più che
altro sulle poltrone) con i Liberali di Centro dell’ALDE (o come si chiamerà il
gruppo) che sono diventati 105 (+38) quasi solo per l’aggiunta del gruppo di
Macron. Fin qui tutto assolutamente come previsto. Che non ci sarebbe stato
alcuno stravolgimento radicale del quadro europeo lo sostenevo già sei mesi fa
( Uno spettro si aggira
per l’Europa... non è il comunismo e neanche il populismo ).
Si parla anche di un quarto gruppo nella maggioranza, quello dei
Verdi e affini (69 seggi, +17), ma dubito che specie i verdi tedeschi entrino
in un simile consesso di partiti e di culture politiche che danno l’impressione
di essere irrimediabilmente in declino e parecchio distanti dalla conformazione
genetica dei Grunen, dove ci sono posizioni diverse sul tema ma correttamente
si rimanda al confronto concreto di programma. Resta la storica marginalità
dell’ambientalismo tradizionale europeo che per diventare almeno il terzo polo a
Bruxelles dovrebbe più che raddoppiare i propri seggi attuali. Certo si fa
notare la posizione di centro alternativo dei tedeschi che sono in grado di
fare coalizioni con tutti (democristiani, socialdemocratici, linke e liberali)
mantenendo autonomia e senza farsi digerire o disgregare da nessuno, come è
invece tristemente successo in Italia, Grecia, Francia, Spagna..
Il variegato fronte detto sovranista-populista, ha avuto dei
successi locali ma non ha affatto dilagato per l’Europa come abbiamo letto per
mesi. Alcuni hanno stimato un aumento dal 20 al 23% di questa variegata
porzione dell’elettorato. In realtà nel
Parlamento europeo questo fronte inesistente sarà distribuito in almeno due
diversi gruppi: Il primo è l’ECR (Conservatori e Riformisti) che aveva come
capofila i Conservatori britannici e quelli polacchi e dal 2012, senza seggi,
anche i FdI della Meloni. Era il terzo gruppo nel vecchio Parlamento europeo ma
all’uscita della GB si ridimensionerà decisamente. Il secondo è l’AEPN
(Alleanza Europea Popoli Nazioni) di recente nascita con l’accordo fra Salvini
e Le Pen con l’idea (fallita) di formare un supergruppo ma invece, checché ne
scrivano i nostri media, ha oggi poche adesioni. Sarà comunque probabilmente il
quinto gruppo dopo i Verdi, sempre che trovi gli eletti di 7 nazioni necessari
entro il 25 giugno, cosa per niente scontata.
In totale i due prevedibili gruppi dovrebbero raccogliere circa 117
seggi.
La Lega di Salvini (9,2
milioni di voti) è il successo più evidente di quest’area variegata anche se va
ricordato che nel nostro paese solo negli ultimi 5 anni si sono avuti gli 11,5
mdv del PD nel 2014 e i 10,7 mdv dei 5Stelle nel 2018. Non c’è nessuna valanga
leghista. Si cita anche la vittoria del Raggruppamento Nazionale di Marine Le
Pen che in verità non esiste perché ha preso meno voti del 2014 e un seggio in
meno, mentre l’affluenza in Francia è aumentata del 6%. Lega e RN sono il primo partito nei loro
paesi soprattutto per il fatto che altri partiti sono scesi nei consensi. Va
aggiunto che vari raggruppamenti di destra estrema di quest’area non hanno
affatto avuto il successo previsto (AFD in Germania, Vox in Spagna, FPO in
Austria ...). Neppure gli eletti provvisori di Farage con il nuovo Brexit Party,
che ha clamorosamente vinto in GB e assunto una posizione più centrista del
vecchio UKIP, faranno parte di quest’area e Farage ha espressamente dichiarato
che si sente molto più vicino ai 5Stelle che all’area di Salvini e Le Pen.
Anche gruppi apertamente neo fascisti-nazisti sono stati ridotti ai minimi
termini: (es. Alba Dorata in Grecia, CasaPound e Forza Nuova in Italia).
Astensionismo, frammentazione e desolante mancanza di idee
riformatrici
restano il problema dell’Europa politica. Per il momento siamo nell’Europa di
Arlecchino non solo per la varietà dei colori politici ma per la vocazione a
farci ridere e piangere a giorni alterni.
L’astensionismo, per quanto si sia ridotto dal 59 % del 2014 al
50 % circa del 2019 resta alto. In
realtà solo 9 paesi su 28 hanno avuto una affluenza reale superiore al 50%. L’Italia,
insieme alla Bulgaria, è addirittura in netta controtendenza con un ulteriore
aumento dell’astensionismo, oltre il 4% in più rispetto al 2014. (vedi fig.1)
La frammentazione è dilagante ed il quorum al 4% italiano si dimostra
molto salutare e forse ancora non sufficiente per favorire nuove aggregazioni
stabili. In Germania l’eliminazione del
quorum decisa dalla Corte costituzionale si è mostrata disastrosa. Hanno
ottenuto seggi 14 gruppi compreso un Partito nato per scherzo e per scarsa
serietà espulso dalla corsa per le elezioni politiche (Die Partei ) che con il
2,4% ha invece confermato 2 seggi a Bruxelles. In Spagna i gruppi che hanno
ottenuto seggi sono stati 15 e l’endemica frammentazione politica ha coinvolto
anche Podemos che sembra avviato al declino. La Francia ha rimesso il quorum
del 5% dopo aver avuto 28 gruppi con seggi in precedenza.
La nuova maggioranza a tre che esprimerà i vertici della
Commissione europea e degli altri organismi ha una vocazione riformatrice
vicino a zero. Assumerà qualche vago accento “sovranista” mentre sta preparando
un cordone sanitario verso i sovranisti stessi. Accenti lontani però da
qualunque ipotesi riformatrice. Qualche nota aggiuntiva è utile per chiarire il
vero quadro dell’Europa politica dei prossimi anni.
Germania: Si conferma l’avanzare della crisi dei due partiti storici, CDU
e SPD mentre tramontano leader come la Merkel e Schulz. Si cercano nuove figure
più giovani mentre diventa centrale trovare qualcosa per contenere i Grunen
che, con nuovi leader e una più matura collocazione al centro sono diventati
nettamente il secondo partito (23 seggi, +10)
fra la CDU ( 29 seggi, - 5) e la
SPD ( 16 seggi, -11 ). La nuova destra dell’AFD, che andrà nell’AEPN con Le Pen
e Salvini, già offuscata da scandali e corruzione si è fermata a 11 seggi. I
Grunen si ripropongono come un’eccezione per l’intera Europa: appaiono pressoché
esenti da fenomeni di trasformismo, opportunismo, corruzione, malgrado abbiano alle
spalle ripetute esperienze locali di governo. Sono forse eccessivamente moderati
nel loro pragmatismo. Nel 2014 dopo le europee hanno perso l’occasione di unire
in un'unica area nel PE le forze di Podemos e M5Stelle con una larga alleanza
in una fase storica in cui tutti i tre gruppi attraevano nuovi sostegni da
tutte le aree politiche e avevano in realtà molti obiettivi in comune. Hanno
perso così l’occasione storica di tentare la costruzione di una larga alleanza
europea ecologista e popolare. Oggi non sono in grado di conquistare la
maggioranza ma reggono bene i loro 35 anni di storia. Sui Verdi tedeschi cito Fernando D’Aniello: “ I Grünen sono certamente una sorpresa di
questi anni: una forza politica pragmatica, presente in ogni sorta di
coalizione (con i conservatori, con i liberali, con la SPD etc.) e capace di
intercettare il voto giovanile, prevalentemente delle città medio-grandi. Un
elettorato poco ideologizzato che vede negli ecologisti la sola forza pronta a
rappresentare le proprie istanze in qualsiasi coalizione, cosa che invece non
riesce alla SPD e tantomeno alla Linke.”
Al contrario di altri paesi, come Francia, Italia, Gran Bretagna...,
il successo del voto verde in Germania non è solo il prodotto parassitario di
Greta Thunberg, di Fridays For Future o Extinction Rebellion e dell’emergenza
climatica che incalza, ma era già stato preannunciato dai successi,
dall’opposizione o dal governo locale, in Baviera e nell’Assia, due Länder
socialmente ai due estremi della società tedesca.
Francia: La dissoluzione elettorale alle europee di liste che si
rifacevano ai Gilet gialli è sicuramente una vera e propria lezione di storia.
Un movimento di protesta ampio e combattivo è dilagato per mesi nell’intera
Francia e progressivamente è caduto nella solita trappola della repressione e
della violenza. Quelli che noi chiamiamo BlackBloc e loro affini hanno fatto il
solito ottimo lavoro nell’azione di sfascio di un Movimento che stava iniziando
a maturare un elenco di obiettivi più chiari e più comprensibili di quelli
iniziali. Secondo quanto raccontano i media italiani l’incontro di alcuni
esponenti dei Jeuns Jaunes con il M5Stelle avrebbe portato all’offerta di
mettere a loro disposizione lo strumento informatico Rousseau per favorire la
loro organizzazione diffusa. Io avrei
proposto altro, magari un confronto serrato di chiarificazione sui reciproci
obiettivi che avrebbe fatto bene a tutti. E’ un fatto che il movimento non è
stato capace di esprimere neanche un rappresentante nel parlamento europeo.
Dopo le elezioni europee del 2014 dove era assente in Francia il quorum con la
tragica conseguenza di avere 28 gruppi di eletti a Bruxelles, l’introduzione
del quorum al 5% ha portato a 6 gruppi che hanno ottenuto dei seggi. La
coalizione di Macron e il partito della Le Pen hanno ottenuto entrambi 23 seggi.
E’ riemersa dall’angolo EuropeEcologie-Le Verds che ha ottenuto il 13,5% e 13
seggi. Una novità la ripresa dell’aggregazione ecologista che nel 2009 aveva
fatto parlare di sé in tutta Europa con il successo alle europee (16,3%) Poi la
crisi dopo il disastroso esito dell’alleanza di governo con i socialisti di
Hollande che erano riusciti a ridurre ai minimi termini gli ecologisti e
smantellare gli accordi di governo con loro prima di arrivare a loro volta
praticamente ai limiti della scomparsa vicino al 5%.
Spagna: Europee ad un mese dalle elezioni politiche spagnole del 28
aprile che avevano visto, quasi unico caso europeo recente (con la Danimarca),
la vittoria dei socialisti del PSOE con il nuovo leader Pedro Sánchez, dopo un tormentato lungo periodo di crisi
istituzionale, scandali di corruzione, rivolta indipendentista della Catalogna,
sconfitta storica dei socialisti in Andalusia, governo di minoranza dello
stesso Sánchez con il sostegno esterno di Podemos. Il successo socialista si
conferma un mese dopo con il voto di maggio indicando un possibile nuovo
assetto del paese, (in realtà un ritorno al passato?) dopo essere arrivato
sull’orlo della frammentazione. La crisi rovinosa di Podemos ma anche di altri
gruppi contigui è un altro caso di studio che insegna che una tradizionale sinistra
radicale in Europa non ha progetti, né leader, né forse ragioni storiche di
successo. Grande interesse aveva destato nel 2014 la nascita di Podemos dalle
mobilitazioni degli Indignados (Movimento 15-M) e dalla elaborazione di un
gruppo di intellettuali universitari. Inizialmente un nuovo linguaggio e nuove
idee, forse non ben amalgamate, che si discostavano dalla tradizionale lettura
di sinistra. Podemos assumeva temi no-global, diritti sociali, ecosocialismo e
femminismo, accenti del populismo di sinistra di Laclau e Mouffe, lotta alla
corruzione e alla casta, strumentazione assembleare ispirata alla democrazia
diretta a cui si aggiunge però rapidamente una struttura decisionale di
bilanciamento verticista basata sul ruolo mediatico centrale del segretario
Pablo Iglesias. Nelle elezioni politiche del dicembre 2015 Podemos con 5,2
milioni di voti e il 21% è il secondo partito dopo i Popolari avviati alla
disfatta dagli scandali interni. In assenza di maggioranze le elezioni si
ripetono sei mesi dopo e Podemos immagina che un’alleanza con la sinistra
estrema aggiunga i voti utili a diventare primo partito. Aggregazioni simili
alle amministrative di qualche mese prima avevano portato nel 2015 Podemos a
conquistare una decina di città fra le quali Madrid (Manuela Carmena) e
Barcellona (Ada Colau). Ma l’alleanza con la sinistra radicale fa invece perdere
voti e avvia lacerazioni interne fino alla rottura nel gruppo dirigente che si
aggiungono ai durissimi attacchi dei media incentrati su Iglesias (“il capo
politico”). Alle politiche di aprile scorso l’aggregazione di Podemos precipita
dal 16% dei sondaggi al 12% ed alle europee di maggio scende al 10%.
Contemporaneamente alle europee in Spagna si svolgono le elezioni comunali e
regionali. In uno scenario di rotture interne che ricadono anche sul piano
locale, sia Barcellona che Madrid vedono una sconfitta delle due sindache
uscenti che non hanno più i numeri per governare. Nella vicenda di Podemos si
leggono numerose affinità di partenza con la vicenda del M5Stelle. L’errore
della scelta del “capo politico” che diventa in fretta il facile bersaglio di
un pesantissimo attacco mediatico, l’incertezza nell’assumere una collocazione
radicale di centro ricadendo nella vecchia trappola del bipolarismo (e però permettendo
insieme l’emergere di Ciudadanos, partito anticasta centrista), un uso forse
distorto degli strumenti della democrazia diretta. Si pensi che Podemos era
diventato il secondo partito in Spagna per iscritti (500mila) dopo i Popolari e
le consultazioni on line (famosa quella sulla villetta di Iglesias che ha
occupato le prime pagine dei media per una settimana di veleni) sono arrivate a
coinvolgere anche più di 180mila persone. In Italia il M5S si dice abbia un po’
più di 100mila iscritti e partecipano al voto interno online mediamente 30mila
iscritti. La crisi di Podemos sembra a me irreversibile senza una radicale
revisione culturale che mi pare improbabile. I socialisti, come era
prevedibile, non sembrano più orientati ad un rapporto con Podemos e con le sue
tesi, mentre il programma comune steso è già carta straccia, e sono stati
avviati colloqui con Ciudadanos per tentare una nuova inedita maggioranza
moderata.
Italia: Ho già commentato a caldo i risultati delle elezioni europee in
Italia. (Elezioni: il Re è nudo, qualcuno troverà
le mutande? ). I risultati arrivati subito
dopo delle amministrative e dei ballottaggi in 136 Comuni, con la scomparsa del
M5Stelle nelle nuove amministrazioni, confermano che la crisi di questo governo
ne sta deformando la vocazione innovativa iniziale e che tutti gli altri
scenari in formazione saranno peggiori. Il sistema dei media è ben vivo, ferocemente
schierato a difendere le vecchie élite e sembra essere il vero vincitore. ( vedi fig
2)
Mentre i 5Stelle mantengono una apparente supremazia nella
comunicazione in rete (ma la qualità della comunicazione è decisamente
crollata), vengono quotidianamente sovrastati dalla delegittimazione su
giornali e TV, ancora più pesante dopo il voto. L’attività e l’iniziativa del
Governo, che nell’ultimo anno è stata per il 90% gestita dal duo Di Maio-Conte
è messa in ombra e di fatto coperta dal nullismo parolaio di Salvini, sempre
sovrastimato dai media, in una inconfessabile alleanza con le opposizioni.
L’ottima iniziativa del reddito di cittadinanza come contrasto emergenziale
della povertà si mostra confezionata per un settore sociale troppo ristretto mentre
dovrebbe allargarsi verso il basso e verso l’alto prima di passare alla fase
due del patto sul lavoro e del salario minimo orario. Fra l’altro questo
spicchio di elettorato frequenta pochissimo le urne e gli altri delusi hanno
evidentemente risposto con una masochista astensione e in misura più ridotta
con un harakiri da vero samurai votando Lega. (vedi fig 3).
L’iniziativa sul terreno
della crisi ambientale e climatica sembra quasi scomparsa dall’agenda del
governo ed in particolare dagli argomenti quotidiani di Di Maio mentre viene
cannoneggiata costantemente dalla Lega. In stallo il blocco del TAV, la nuova
legge su Acqua pubblica, la mobilità nelle città e l’inquinamento dell’aria. Un
ottimo risultato per Di Maio-Toninelli per perdere anche un po’ di voti
ambientalisti. Il dibattito sullo “sblocca cantieri” e in genere le grandi opere
avrebbe potuto essere una occasione per entrare nel merito delle opere urgenti
che servono, di quelle problematiche e di quelle che vanno cancellate. E dando
rilievo alla necessità di altre grandi opere sempre messe ai margini come i sistemi
pubblici metropolitani, una nuova e moderna edilizia scolastica, la bonifica dei
poli industriali inquinanti su cui invece l’azione è modesta.
Tutte questioni dimenticate anche dalle opposizioni con un
insostenibile velo di indifferenza. Si riaffaccia così, attraverso la Lega, la
vecchia cultura, cara alle destre e alle sinistre del passato, dello sviluppo e
della crescita senza limiti e senza eccessivi controlli. La crescita del
mercato del cemento e dell’asfalto. La solita musica...
Fig.1 è tratta
da Wiikipedia – Fig 2 e 3 sono tratte da “Elezioni europee 2019 -Analisi post-voto
IPSOS-TWIG.”
Nota: la composizione, il numero dei membri e la denominazione dei
gruppi nel nuovo Parlamento Europeo qui citati vanno intesi come provvisori in
attesa della definizione ufficiale del 25 giugno 2019.