19 novembre 2018

Uno spettro si aggira per l’Europa... non è il comunismo e neanche il populismo


di Massimo Marino 
   
Comunque la si pensi e comunque vadano le elezioni europee del maggio prossimo misureranno bene la febbre dell’Europa e credo molto più del solito saranno sentite direttamente connesse con i nostri problemi nazionali e perché no personali. Mai come in questi ultimi mesi larga parta delle popolazioni dei 28 membri della UE hanno compreso che loro e i loro paesi sono in libertà vigilata per quanto innocenti: perché banche, finanzieri, partiti e lobbisti del passato hanno svuotato le loro casseforti, oggi chiedono anche il pagamento degli interessi, domani renderanno ardua la sopravvivenza di molti in modo irrimediabile. Perché ci lasciano in regalo un pianeta in pessimo stato ed una insopportabile condizione di precarietà per molti. 

In fin dei conti non è una burocrazia europea, malgrado i suoi 30mila funzionari, che ci affama per sua volontà e che va abbattuta, così come è un miraggio quello dei fautori di una Europa unita che si muove con fervore per il benessere di 510 milioni di europei. Gli ideologhi dell’una e dell’altra guerra di religione sono un po’ dei superficialoni che non ce la contano giusta. Per questo non mi affascinano gli sponsorizzatori degli euroexit che vogliono disfare l’Europa così come gli adulatori dell’ Europa politica unita e federata che non ci sarà mai. Riconosco il possibile e utile ruolo di una unità europea contro le guerre, per la salvezza dal cambiamento climatico e per invertire la tendenza allo sviluppo degli armamenti nel mondo, in particolare quelli nucleari. Realisticamente però per avere questi risultati dobbiamo provare a rovesciare il funzionamento dell’Europa come un calzino. L’Euroexit o gli Stati Uniti d’Europa non sono, per questo secolo, all’ordine del giorno. Smettiamo di parlarne.
A Bruxelles c’è solo una concentrazione fisica e organizzativa di un insieme di forze sociali, economiche e finanziarie diffuse (multinazionali appunto) che hanno molte facce e che di comune hanno un unico obiettivo, quello di mantenere l’egemonia delle élite che si sono consolidate nel secolo scorso, in particolare dopo l’assestamento provvisorio seguito alla fine della Seconda guerra mondiale e successivamente dopo il crollo di uno dei due blocchi. Il bipolarismo “ideologico” fra est e ovest non ha avuto neanche 80 anni di storia ma gli è seguito, contro ogni aspettativa, un moltiplicarsi di focolai di guerra localizzata invece di una prevista e auspicata era di pace.  
  
Se si contano i votanti alle elezioni del Parlamento europeo, che nella forma attuale ha meno di 40 anni, si nota che, malgrado il sistema di tipo proporzionale, difficilmente si raggiunge il 50% degli elettori. Nel 2014 i voti validi sono stati circa il 40%. 

E’ noto che le due aree politiche egemoni nel secolo scorso, i socialdemocratici (laburisti, socialisti, democratici etc.  cioè oggi la S&D con 187 seggi  )  e i popolari ( democristiani, popolari, conservatori etc cioè il PPE con 218 seggi  ) sostenuti oggi nella triplice alleanza anche dai liberali ( moderati di centro ipereuropeisti cioè l’ALDE con 68 seggi ) sono in costante calo in tutte le previsioni riguardanti maggio 2019. Attualmente rappresentano la maggioranza con 476 seggi su 750. Sono loro che eleggono il Presidente della Commissione (oggi Jean Claude Juncker).
In molti paesi popolari e socialdemocratici (con i diversi nomi locali) hanno così avvicinato le loro posizioni convergendo verso un disastroso moderatismo di centro  da far quasi sparire  i partiti di centro moderato storici che hanno quindi sempre meno ragioni di esistere ( ad esempio in Italia un partito di centro formalmente non esiste più ). Ho chiamato questa convergenza “la palude di centro” che vede diventare praticamente priva di significato la classificazione storica di destra-centro-sinistra e discutibile quella di centrodestra e centrosinistra. 

Naturalmente in situazioni particolari, o dove prevalgono sistemi elettorali fortemente bipolari il fenomeno della palude è “mascherato” nei numeri ma molto meno nei programmi di fatto. In altre situazioni locali particolari si formano coalizioni di governo sin- sin ( es. attuale il Portogallo o quella minoritaria in Spagna dei Socialisti con il sostegno esterno di Podemos e di vari autonomisti) . I diversi protagonisti poi, negli otto gruppi europei, spesso aderiscono a gruppi diversi.  Nel parlamento europeo all’opposizione si trovano 5 gruppi: i conservatori dell’ECR con 73 seggi, il gruppo della sinistra ( GUE con 52 seggi), i Verdi ( GE con 52 seggi) l’EFDD ( euroscettici di cui fa parte il M5S e l’UKIP inglese con  43  seggi),  e il gruppetto ENL ( di estrema destra, formatosi nella seconda fase della legislatura con Le Pen e Salvini e alcuni transfughi con 34 seggi) . Considerata la fuoriuscita della Gran Bretagna il numero di seggi totali si abbasserà da 750 a 705 ( circa il 6% in meno che porterà ad una maggioranza necessaria di 353 seggi) . Non è chiara la sopravvivenza dell’EFDD ed è stata annunciata dal M5Stelle la nascita di un nuovo gruppo ( che richiede almeno 25 eletti di almeno 7 paesi  diversi ) con caratteristiche “popolari ed ecologiste” nel nuovo parlamento. Obiettivo che vedo di difficile realizzazione senza i Grünen e quindi ad oggi molto improbabile. E ancora più mi sembra difficile che possa diventare determinante per la formazione di una nuova maggioranza. Per quanto se ne parli l’insieme di gruppi affrettatamente considerati un tutt’uno ( estrema destra, sovranisti-nazionalisti, leghisti, populisti) sebbene abbiano in comune l’arroccamento nazionale, e spesso un approccio xenofobo verso gli immigrati ( anche dove non ci sono) non mi sembrano uniti e nelle condizioni di stravolgere in quanto tali la maggioranza attuale. Non governeranno nulla. Certo si stima che il triunvirato PPE-SD-ALDE mantenga la maggioranza, sebbene più risicata, perdendo 40-80 seggi ( alcuni prevedono addirittura 100) cioè fino al 20%  dei propri seggi, ma non tutti a favore delle destre nazionalpopuliste.

                 UNA NUOVA EUROPA: LE COLONNE
Di una nuova Europa molti parlano da anni  ma concretamente  nessuno dice come sarebbe e come si fa a farla. Perché comporta una nuova alleanza sociale, una nuova idea di futuro, una nuova etica della politica.
Preso atto che non sono all’ordine del giorno né la dissoluzione, ne una completa unione politica, ne è auspicabile l’abbandono di un'unica moneta (di cui non si vedono i vantaggi), proviamo qui a indicare le quattro  colonne principali ( La Povertà, L’Ambiente, La Corruzione, I Migranti ) e poi tre possibili protagonisti ( Podemos in Spagna, M5Stelle in Italia, Grünen in Germania per immaginare un possibile tentativo di costruire una nuova Europa. 

1)  LA POVERTA’
Nei 28 paesi della EU (510 milioni di abitanti) si stimano 78,5 mil. di persone che “ vivono stentatamente”, soggetti a  “ privazioni sociali e materiali”. Eurostat indica che 113 milioni di europei “versano in condizioni di povertà o di esclusione sociale”. In Italia sono circa 10 milioni di persone e di queste un po’ più di 5 milioni sono “in povertà assoluta”.  L’Italia sta al fondo della graduatoria della povertà insieme a Grecia , Bulgaria e Irlanda ma anche Francia, Spagna, Danimarca sono al di sotto della media. La cancellazione della povertà dovrebbe essere il primo obiettivo di una nuova Europa: il superamento delle politiche di austerità e il rilancio di politiche espansive e di crescita non sono sufficienti, non sono idonee, stante la crisi ambientale non sono accettabili in alcuni settori. In aggiunta l’inarrestabile sviluppo dell’automazione pone limiti oggettivi alla piena occupazione.
E’ inevitabile quindi che lo scontro vero si sposti anche sulla redistribuzione graduale della ricchezza che c’è, sulla selezione dei settori e delle attività sostenibili, su un riequilibrio fra il dilagare della privatizzazione di tutto (tranne i debiti) e un nuovo ruolo da ridare allo Stato in alcuni settori economici fondamentali. Soprattutto in una fase di transizione diventa quindi inevitabile la necessità di un reddito di sopravvivenza (o di cittadinanza, di base, di inclusione, di garanzia  .. o come lo si voglia chiamare) sufficente per chi non è strutturalmente o in modo contingente in grado di sopravvivere con un minimo di dignità. Inevitabilmente, stante il grado di indebitamento (pubblico, delle imprese, delle famiglie ) si tratta di riequilibrare e ripulire in senso etico ( ad esempio radendo al suolo le cosche mafiose) le forme di accumulo della ricchezza sociale. Il ripristino, capovolgendo tutto quindi, della missione Robin Hood. Chi oppone e si contrappone a forme di reddito di sopravvivenza con la sola riproposizione della ricerca e offerta di lavoro o addirittura di sovvenzioni (pubbliche ) alle imprese (private)  sventolando “la crescita” (intesa senza limiti e senza selezione settoriale ) come la soluzione di tutto, è culturalmente un venditore di favole e, nella pratica politica, un bell’imbroglione. 

2)   L’AMBIENTE
Vari rapporti, l’ultimo quello dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, ci hanno avvisato che tutto il mondo si muove ad un passo che non ci consentirà di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi di COP21 del 2015 e dall’Agenda Onu 2030 sul clima. Nel mondo gli investimenti totali combinati sull’efficienza energetica e le energie rinnovabili sono diminuiti del 3% nel 2017, quelli diretti nelle fonti rinnovabili, che rappresentano i due terzi della spesa per la produzione di energia elettrica, sono addirittura calati del 7%. Incredibile che gli investimenti delle imprese di proprietà statale ( co-promotori delle COP !) siano rimaste più legate a petrolio e gas e alla produzione di energia termica di quanto non lo siano state varie imprese private che intravedono nel nuovo anche notevoli profitti. Le multinazionali dell’energia ( gas, petrolio, carbone) ed a loro collegate quelle dell’auto, della mobilità, delle assicurazioni, invece fanno muro nel mantenere il modello di consumi basato sui fossili mentre le fonti rinnovabili attraggono risorse insufficienti pur essendo spesso competitive. Abbiamo addirittura segnali di inversioni di tendenza, ad esempio la ripresa dell’aumento delle emissioni di CO2. Un recente rapporto di scienziati promosso dalla Università di Hong Kong afferma fra l’altro che i tassi di cambiamento climatico osservati nel bacino del Mediterraneo superano le tendenze globali per la maggior parte delle variabili e sono stati fino ad oggi sottostimati.

In Italia gli ultimi governi possono essere considerati fra i peggiori in questo campo. La situazione è di stasi totale dal  2011 (governo Berlusconi IV) come ricordano i rapporti dell’Enea: per il quarto anno consecutivo, la quota di Rinnovabili  sui consumi finali non aumenta, continua ad oscillare intorno al 17,5% del 2015 e potrebbe anche ridursi. Si ricordi il referendum sulle trivelle in mare e la posizione assunta dal governo del PD.

Anche la fuoriuscita dal nucleare è dubbia e procede comunque a rilento. Nell’area UE sono ancora in funzione 128 centrali, sempre più obsolete, 185 nell’intera Europa e 15 sarebbero in costruzione. Noi abbiamo archiviato il problema come se non ci fosse più. Persino in Germania ci sono ancora 8 impianti in funzione ed è anche molto elevata la quota di produzione di energia elettrica da carbone.
Negli ultimi 10 anni è evidente l’indebolimento e poi la crisi dei vecchi movimenti politici ambientalisti nati 30 anni fa  in vari paesi e se ne pagano i risultati, malgrado che i temi ecologici siano sempre più diffusi in tutta Europa. La mancanza di un ecologismo più attrezzato e radicale sembra sempre più evidente a molti ed anche la forte sensibilità dei 5Stelle su questi temi non sta producendo ad oggi i risultati che ci si aspettava.
La necessità di uscire dal modello di mobilità basato sull’auto non è oggi all’ordine del giorno neanche di molti gruppi ambientalisti che trascurano l’urgenza di sviluppare nuovi modelli di servizio pubblico collettivi e le reti metropolitane in particolare, una delle “grandi opere diffuse“ che dovremmo rivendicare. Al massimo si avalla il lancio delle auto elettriche, che oggi vanno a petrolio o a carbone, e che lasciano inalterato gran parte del problema. L’Italia ha il record mondiale di auto circolanti per abitante.

3)  LA CORRUZIONE
La corruzione è un fenomeno diffuso in tutto il mondo ed è particolarmente devastante quando coinvolge il mondo della politica, della pubblica amministrazione e della giustizia, per le conseguenze che può provocare a cominciare dall’uso improprio di enormi ricchezze fino a modificare la connotazione e la direzione di sviluppo di un governo o di un’intera nazione. La corruzione, con caratteristiche diverse si è diffusa in molte parti dell’Europa. In Francia in questi giorni è rinata l’attenzione sul caso Sarkozy e il possibile finanziamento della sua campagna elettorale da parte di Gheddafi e successivamente i suoi tentativi di corruzione dei giudici. In Spagna in maggio il governo Rajoy è definitivamente crollato per il caso Gurtel. Si tratta di 28 condanne, in realtà per una sequenza infinita di scandali arrivati fino al segretario di Rajoy condannato a 30 anni di carcere. In Germania i casi di politici corrotti sono pochi ma molti casi si presentano nella pubblica amministrazione e fra i magistrati e in genere portano all’allontanamento definitivo da qualunque ruolo pubblico. 

In Italia è noto che dopo l’illusione che agli inizi degli anni ’90 con l’operato di Mani Pulite si fosse sgonfiata la corruzione dilagata nei partiti si è dovuto prendere atto addirittura del notevole aggravamento della situazione. La corruzione sembra dilagata in vari ambiti della politica nazionale ma soprattutto in ambito locale. Solo nel 2017 Transparency International Italia ha contato 776 casi di corruzione riportati dai media, diffusi per lo più in Lombardia (111 casi), Sicilia (102) e Lazio (101). Si corrompe negli appalti (151 casi) e nel settore pubblico (130 segnalazioni), ma soprattutto in politica (187 casi). Con l’esclusione dei grillini non si nota alcuna particolare differenza fra gli altri tre partiti più consistenti del paese in cui i casi di corruzione e reati contigui sono solo direttamente proporzionali al livello di potere esercitato. L’onestà non va di moda per niente. L’Italia è ufficialmente il paese più corrotto in Europa alla pari con Grecia, Bulgaria, Romania. Se può consolare siamo all’incirca al 60° posto fra 175 nazioni del mondo come grado di corruzione. 

Si è parlato molto del caso Mafia Capitale ma chi ricorda i casi dell’Expo con Primo Greganti o lo scandalo del Mose di Venezia non finito e in ritardo di 11 anni ma già costato più di 5 miliardi? Quanti italiani hanno compreso la reale gravità e i veri costi del caso delle ecoballe di Napoli durante la gestione Bassolino agli inizi del 2000, problema ancora aperto e per il quale tutti continuiamo a pagare? Molti processi non terminati, numerosi casi andati in prescrizione. Anche molti casi archiviati e piene assoluzioni. C’è anche una terra di mezzo in cui non è chiaro dove inizia il reato e finisce il comportamento etico improprio.  
Condanne pochissime e irrilevanti. La corruzione sottrae al circuito naturale delle risorse e della ricchezza decine di miliardi ogni anno e non è impossibile debellarla. Con la legge Severino del 2012 sono stati fatti alcuni progressi, tra cui l’approvazione di nuove norme sugli appalti e l’attivazione dell’Anac per prevenire e garantire un migliore funzionamento delle amministrazioni pubbliche.

4)   I MIGRANTI
Si valuta che in questa fase storica 70 milioni di persone almeno siano in movimento e in fuga dal loro paese originario in cerca di una nuova collocazione definitiva o provvisoria. Le ragioni sono diverse: la guerra per le risorse, il clima, i fondamentalismi religiosi, la corruzione dei governi, lo scontro fra etnie. O anche semplicemente il desiderio di trovare condizioni di vita meno disagiate. Che i paesi dell’Occidente con il colonialismo, il neocolonialismo, la rapina delle terre e delle risorse abbiano grandi responsabilità non c’è dubbio. Ma anche le guerre di religione, ad esempio quelle interne all’islam o la corruzione diffusa di molti governanti dell’Africa e dell’Asia hanno contribuito ad una situazione che con la fine del bipolarismo della guerra fredda ha aperto il vaso di Pandora facendone uscire tutti i mali di cui era malato il pianeta. Inevitabile che una parte dell’onda colpisca l’Europa. 

Sul tema dei migranti è molto facile dividersi e costruire muri o schieramenti dietro i quali in genere non c’è un’idea valida davvero in grado di gestire un problema epocale di particolare complessità. Quello che accomuna i due fronti fra i quali dovremmo schierarci (razzisti e antirazzisti ) è la sottolineatura di metà del problema e la consapevole o inconsapevole rimozione dell’altra metà. Per i malati di xenofobia, che non albergano solo nei paesi dell’occidente come molti credono, “l’invasione” dei migranti (che in alcune zone neppure ci sono) mette a repentaglio il nostro ( loro) stile di vita, sottrae risorse ai residenti, provoca generica diffidenza e a volte rischi alla nostra sicurezza personale. La soluzione è quindi costruire muri e cacciarli tutti. In questa opinione non c’è spazio per logiche di umanità, convivenza o almeno tolleranza.
Gli antirazzisti invece rifiutano qualunque critica e sostengono l’accoglienza, la totale apertura a qualunque tipo di immigrazione per ragioni “umanitarie”, rimuovono come inesistente qualunque obiezione alle logiche di incondizionata apertura, che è ovviamente considerata razzista. Nel rimuovere tutti gli argomenti dei “razzisti” e tutti gli aspetti negativi ed anche i drammi che una immigrazione di tipo irregolare, clandestino, non regolato e non controllato ( o come volete chiamarlo) provoca agli uni ( i migranti) e agli altri ( i locali), fanno un pessimo servizio alla loro causa. 

Naturalmente sto estremizzando le posizioni e solo piccole minoranze pongono in questo modo lo scontro politico. Ma in assenza di esplicite indicazioni di soluzioni ragionevoli se si spinge tutti a schierarsi su questi estremi e questi argomenti non c’è dubbio che le posizioni xenofobe si faranno sempre più strada. E infatti è quanto avviene in mezza Europa dove xenofobi, sovranisti, populisti di destra etc.., acquistano uno spazio consistente e devastante, che proprio non meritano, nelle istituzioni locali e nazionali. Che si debba cambiare strada e avviare percorsi di regolarizzazione e controllo delle ondate migratorie (che non cesseranno) che si debba investire ingenti risorse, nel nostro caso con il coinvolgimento dell’intera Europa, che si debba garantire maggiore sicurezza ed anche il rispetto delle regole e delle leggi della nostra società, deve andare insieme con l’educare tutti alla accoglienza e alla convivenza. Questa è l’unica strada che ha un senso percorrere. E bisogna sostenerla e percorrerla al più presto prima che si costruiscano troppi muri che poi è difficile abbattere.         
                                            
                                                UNA NUOVA EUROPA: I PROTAGONISTI
Sono convinto che oggi non esista in Europa un partito o movimento politico che abbia i requisiti, l’elaborazione, la leadership, la consistenza, la capacità di egemonia sugli altri soggetti politici, un potenziale consenso elettorale tale da immaginare che possa da solo rovesciare l’Europa “delle banche, della finanza, dell’austerità, dei corrotti, dei petrolieri e degli armamenti, degli indifferenti e delle lobby”. È quindi necessario che quello che c’è di decente lo si conosca e, abbandonando presunzione e sufficienza gli si dia rilevanza, si trovino le strade per alleanze trasversali e impegni comuni. Si coltivi quindi una cultura della lotta alla povertà, della cura del pianeta, della ostilità aperta alle pratiche corruttive, della gestione dell’epocale problema delle migrazioni.  Questi sono i requisiti necessari e sufficienti per una Nuova Europa.
Proviamo ad analizzare quindi alcuni dei principali possibili protagonisti di questo cambiamento, le loro virtù e i loro limiti.

Podemos (Spagna)
In parte Podemos nasce dallo spirito delle mobilitazioni giovanili del 2011 (Movimento 15M ) ma è un ristretto gruppo di giovani docenti della Università Complutense di Madrid che prepara il primo congresso del novembre 2014 con l’obiettivo di democratizzare le istituzioni spagnole, tentare di occupare la centralità della scena politica con una radicale critica dei partiti della sinistra esistenti ed un approccio e linguaggio trasversale che vorrebbe rivolgersi anche a più ampi settori sociali. Al centro i temi del lavoro e del salario minimo, della crisi ambientale, del diritto alla casa, ma anche la critica frontale alla casta della politica.  Podemos infatti ha fondato il suo rapido successo sulla sua connotazione “anticasta” più che sull’ orientamento a sinistra, ottenendo consenso in chi non si riconosceva nei partiti “di regime”, nell’astensionismo, tra i giovani che hanno animato i movimenti degli Indignados. L’esordio avviene alle elezioni europee del maggio 2014, con l’8% e 5 eletti ed il successo maggiore con le elezioni politiche del dicembre del 2015: 5 milioni di voti con il 20,6% e 69 dei 350 seggi al Congresso dei deputati, solo due punti in meno dei socialisti in caduta libera. Però con il Parlamento più frammentato della storia spagnola con almeno 10 diversi gruppi fra i quali compare Ciudadanos, movimento di destra moderata fortemente anticasta e contro la corruzione ( 14% e 40 seggi). L’instabilità del governo conservatore porta a nuove elezioni nel giugno 2015 dove Podemos , con l’obiettivo di superare il PSOE o addirittura tendere al primo posto si allea con Izquerdia Unida, vecchia coalizione di sinistra radicale, e altri gruppi di area ambientalista e autonomista. Il risultato è una sostanziale sconfitta con un milione di voti in meno invece che in più, e senza alcuna inversione alla frammentazione di forze precedente. Anche nelle elezioni comunali del maggio 2015 Podemos conquista alcune città di rilievo ma la clamorosa conquista di Barcellona (Ada Colau) e Madrid (Manuela Carmena) è il risultato di una coalizione di forze diverse e nessuna delle due sindache elette fa diretto riferimento al partito di Iglesias. 

Anche il nuovo governo conservatore di minoranza che si forma non regge alla ondata di scandali e condanne del Partito Popolare e nel giugno 2018, per evitare altre elezioni anticipate, nasce un nuovo governo di forte minoranza del nuovo leader socialista Sanchez (80 seggi su 350) che si regge sul sostegno esterno di Podemos e di alcuni gruppi autonomisti e indipendentisti. Il programma del governo è fortemente condizionato da Podemos e viene considerato forse il più radicale in Europa degli ultimi decenni. Con i suoi 500mila iscritti, con un congresso di 5mila persone che dura 4 giorni, dove votano in rete in almeno 150mila, Podemos è uno dei pochi e rilevanti esperimenti di nuove forme di democrazia nel mondo. Tuttavia Podemos non ha catalizzato e risolto la grande frammentazione sociale del paese, ha annebbiato poi la sua connotazione di centro radicale, vive la contraddizione fra una larga organizzazione di base orizzontale e una verticalizzazione estrema della leadership (Iglesias e un comitato di 60 membri pressoché tutti maschi ). Inoltre non sembra aver proceduto nell’ambizioso progetto di costruire una rete europea di alternativa. Se si guarda a contenuti e programmi sono evidenti le tante somiglianze con quelli del M5Stelle delle origini. Ma sono evidenti anche alcune differenze di peso. Dopo il rischiosissimo esperimento in corso di appoggio al governo socialista di Sanchez, siglato qualche giorno fa dalla Finanziaria 2019 e che dovrebbe durare fino al 2021, la scadenza delle Europee di maggio 2019 chiarirà se il rischio paga o no. L’ostilità calunniosa dei media spagnoli verso Podemos, e verso Iglesias in particolare, ha le stesse caratteristiche e la stessa durezza riservata da anni a Grillo ed al M5Stelle italiano. Le ragioni sono ovvie.

E’ un fatto che al momento Ciudadanos è diventato il primo partito nei sondaggi ( 22%) e riemergono dal fondo i socialisti. Podemos, ritornato ad essere la quarta forza, sembra di fatto in una situazione di stallo. In Spagna comunque può ancora succedere di tutto. 

M5Stelle (Italia)
Con la parziale presa di distanze di Grillo, la scomparsa di Casaleggio e altri, la nomina di un leader unico (capo del movimento, capo dei gruppi in parlamento di fatto, ed anche ministro e vicepresidente del governo ), con la necessità di stendere un “contratto” di compromesso per governare, è evidente che il M5Stelle è entrato in una fase nuova estremamente complessa. Gli obiettivi proposti e stesi nel contratto sono di grande rilievo, tali da segnare davvero una svolta di cambiamento e di grande significato per tutto lo scenario europeo se venissero davvero perseguiti. Accanto ce ne sono altri posti dalla Lega, alcuni dei quali potrebbero diventare inconciliabili con le stesse tesi di fondo su cui è nato il M5Stelle. 

La guerra civile a bassa intensità che a mio parere è in corso nel paese vede praticamente gran parte del sistema dei media schierato con la vecchia politica, i vecchi partiti e soprattutto le vecchie élite che hanno ben salde in mano tutte le leve principali del paese ma non hanno più il controllo subalterno degli elettori. È una guerra senza scrupoli, che nel panorama europeo non ha molti precedenti e mi pare che si stia accentuando e non preveda prigionieri. Ho sostenuto più volte dal 2013 che, con strumenti democratici e non, non sarebbe mai stato permesso al M5Stelle di governare il paese e ne sono oggi ancora più convinto. Vincere le elezioni, essere il primo partito, costruire una momentanea maggioranza parlamentare, governare alcune città di rilievo non vuol dire affatto avere il controllo dello stato né aver costruito l’alternativa per la quale probabilmente non basteranno questi 5 anni di legislatura. “Lo stato siamo noi” espressione di qualcuno dopo il voto del 4 marzo è un ovvio entusiasmo che denota grande ingenuità, ed anche eccessiva superficialità di molti esponenti anche di rilievo del movimento. 

Il M5Stelle, non so quanto consapevolmente, ha consolidato positivamente una stabile collocazione di centro radicale potenzialmente capace di essere in grado di frammentare la vecchia alleanza sociale che governa stabilmente l’Italia da 30 anni alternando periodicamente coalizioni di centrodestra e centrosinistra. E’ la “palude di centro “che ha demolito fino a cinque anni fa qualunque ipotesi di cambiamento. Per la prima volta una forza politica ha messo al centro i destini di quei 10 milioni di italiani che sono ai limiti della sopravvivenza, ha ridato una voce alla crisi ambientale che non aveva più padrini di rilievo, ha mantenuto una coerente opposizione a tutte le forme di privilegio, alle cosche mafiose, alle forme di clientelismo senza limiti diventate normali   in tante amministrazioni locali. Con molta difficoltà e non pochi errori sta tentando di praticare soluzioni accettabili alla crisi data dalle ondate di migranti senza farsi annichilire dallo scontro su razzismo e antirazzismo. Non stupisce che il movimento dei 5Stelle sia accusato di essere subordinato troppo alla destra leghista da alcuni e di essere pericolosamente simile alla sinistra dei comunisti da altri. E naturalmente essere accusato di incapacità, inesperienza, stalinismo dai media che costantemente lo lavorano ai fianchi (destro e sinistro). Incredibilmente anche accusandolo di essere in fin dei conti uguale agli altri (che è la calunnia più singolare). 

È evidente che la struttura organizzativa dei post grillini non è adeguata al livello di scontro, la presenza sul territorio è minima, circoscritta a piccoli gruppi e spesso ridotta alla mobilitazione da volantinaggio nei momenti elettorali. Non esistono campagne e iniziative di affiliazione, il dibattito interno non ha sedi ufficiali e accessibili a tutti e le forme di consultazione in rete non sono ad oggi un vero strumento di confronto e decisione. Gli aderenti si dice siano meno di 150 mila e i votanti attivi su Roussou difficilmente superano i 20-30mila, cioè meno di un terzo della rete attiva di Podemos. Se è vero che in guerra bisogna mettersi l’elmetto non sempre la testuggine può essere l’unico strumento per vincere. 

I Grünen (Germania)
I Verdi tedeschi, nati verso la fine degli anni’70, in parte da reduci positivamente invecchiati del ’68, e soprattutto dai gruppi che si opponevano allo sviluppo delle centrali nucleari, con i loro 40 anni di vita, con tre generazioni di leader superate abbastanza bene, sono una presenza consolidata ma pochissimo conosciuta fuori dal paese. I Grünen superano l’8% nel 1987 ( dopo Chernobyl ), e uniscono varie  componenti diverse dell’Est e dell’Ovest dopo l’unione delle due Germanie. Solo nel 1994 i Verdi ritornano stabilmente sopra lo sbarramento del 5% ottenendo il 7,4 % e nel 1998 con il 6,7% e 47 deputati formano l’alleanza con i Socialdemocratici.  Il leader Joschka Fischer diviene ministro degli Esteri e con Jürgen Trittin come ministro dell’Energia nel 2000 viene approvato un piano ventennale di fuoriuscita dall’energia nucleare. La coalizione rosso-verde è confermata nel 2002 quando i Grünen salgono all’8,6%. Sono gli anni in cui i temi ambientalisti assumono grande rilievo nel paese per certi versi con risultati stabilmente mantenuti anche negli anni successivi quando la coalizione si arresta per la crisi dell’SPD. Nel 2005 infatti nasce la  Große Koalition fra CDU e SPD guidata dalla Merkel.

Mentre nelle elezioni europee i verdi tedeschi superano quasi sempre il 10%, già nel primo decennio del secolo partiti o partitini verdi sono nati anche in molti paesi europei ma per quanto l’egemonia dei tedeschi sia evidente e formalmente si formi un “partito europeo”  e forme di confronto periodico anche internazionale le caratteristiche dei verdi tedeschi restano molto particolari e decisamente “ nazionali”. La loro volontà di avere una influenza all’estero sembra circoscritta all’ambito delle scadenze elettorali europee. 

Nel triennio 2009-2011, dopo la crisi economica scoppiata nel 2008, una specie di “triennio verde”  si manifesta nel mondo. Nel 2009 i Grünen appaiono per mesi il primo partito tedesco nei sondaggi e hanno un notevole successo alle elezioni di Berlino. In Francia Europe-Ecologie ottiene un ottimo risultato alle europee ( circa il 16% alla pari con i socialisti) e l’anno dopo ottiene 255 eletti nelle elezioni regionali. In Colombia e poi in Brasile un candidato dei verdi arriva al ballottaggio alle elezioni presidenziali. I verdi emergono perfino in Australia. Però nei verdi tedeschi si fa strada un nuovo approccio, con qualche problema interno, che ha similitudini con l’idea del contratto recente dei grillini, secondo il quale i Verdi assumono di fatto una posizione di centro nel panorama del paese ( che recentemente alcuni hanno chiamato “popolare”), dove alle consuete posizioni ecologiste si affiancano sempre più l’insieme delle tematiche sociali, dal salario minimo al caro-affitti e alla tutela delle fasce più deboli. Con anche una particolare attenzione alla difesa dei migranti ed al rifiuto delle posizioni xenofobe ma attenti anche alle problematiche della sicurezza fino a richieste in alcuni casi di potenziamento delle forze dell’ordine compresi gruppi speciali a difesa del terrorismo ma non solo (Il recente caso del successo in Baviera su queste posizioni ne è un esempio). A gennaio 2018 è stata rinnovata e ringiovanita senza grandi tensioni la leadership nazionale che da 10 anni era rappresentata dal turco tedesco Cem Ozdemir e da Claudia Roth. I due nuovi portavoce sono il pragmatico Robert Habeck, di 49 anni ma già considerato un leader di rilievo nazionale e Annalena Baerbock, di 37 anni molto attenta al tema della coesione sociale nella società tedesca, praticamente sottratto alla Spd.

Ponendosi “al centro” della scena e presentando minuziose e articolate proposte di governo a tutti gli interlocutori, in alcuni lander i Verdi hanno costituito governi anche con la CDU con ottimi risultati: Recente il caso dell’Assia, l’importante regione di Francoforte dove i Verdi hanno quasi raddoppiato i voti e confermato la coalizione uscente con la CDU. Attualmente i Verdi governano in nove regioni con alleanze variabili: fra queste con Spd e Linke nella città-Stato di Berlino, con CDU e Fdp nello Schleswig-Holstein, con la CDU in Baden-Württemberg, con la Spd ad Amburgo. E dopo il fallimento delle trattative nazionali con la Cdu/Csu e i liberali della Fdp i sondaggi nazionali danno ai Verdi quasi il doppio dei voti, sopra la Spd e l’ AFD e a pochi punti dal partito della Merkel. 

                                                  CONCLUSIONI 
Sono convinto che le quattro colonne indicate siano i capisaldi decisivi per qualunque riflessione e azione che si ponga l’obiettivo di costruire i primi passaggi di una nuova Europa. Molte sovrastrutture ideologiche che ci portiamo dietro dal secolo scorso sono rottami culturali inutilizzabili e in parte un vero ostacolo per il cambiamento. 

I tre gruppi nazionali indicati, con quelli che a loro possono ispirarsi, mi sembrano quelli più interessanti e più avanti nel tentativo di immaginare un diverso destino del pianeta o perlomeno dell’Europa. Sinceramente non ne vedo altri. Non è casuale che Podemos, il M5Stelle e i Grünen, in forme diverse e con un diverso peso, siano comunque tutti coinvolti o vicini alla responsabilità di governare un paese. 

Non si tratta cioè di piccoli gruppi minoritari. Hanno parecchi punti in comune e alcune differenze rilevanti e ognuno di loro ha limiti evidenti.  Il loro destino è incerto ma credo che dovrebbe interessarci tutti. Nel prossimo Parlamento europeo, come in quello passato, probabilmente e sciaguratamente si collocheranno in  schieramenti diversi  cioè in tre gruppi diversi, nessuno dei quali però, almeno da quanto si prevede fino ad oggi, si rafforzerà. Ma quel movimento di liberazione che oggi si aggira per l’Europa solo come uno spettro quasi invisibile, che è necessario e urgente rendere visibile per una nuova Europa, deve esprimere e sollecitare una cultura e le ragioni di una speranza, vedendone i germogli lì dove sono prima che immaginare improbabili schieramenti e convergenze.    

   

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