di Gianluca Schinaia
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I deserti avanzano in tutto
il mondo, mettendo a repentaglio agricoltura e sicurezza alimentare. E il
progetto di una cintura verde per frenare il Sahel, avviato nel 2007, è appena
al 20% del suo avanzamento
Caldo e siccità: due fenomeni correlati, ormai sempre
più presenti in cronaca e non solo come aggiornamenti di meteo o scienza.
Eppure la CopP15,
la conferenza delle parti delle Nazioni Unite dedicata alla lotta contro la
desertificazione, “è stata la Cenerentola di tutte le Cop, ricevendo meno
attenzione e mezzi delle sue controparti. Per troppo tempo, la desertificazione
e la siccità sono state considerate problemi dell'Africa”. Non è l’opinione di un attivista ma del
presidente della Cop15 sulla desertificazione Alain-Richard Donwahi, che Wired
ha intervistato. Quello che era un problema erroneamente considerato come
regionale, secondo Donwahi, adesso è chiaro e pericoloso per tutti: “La
desertificazione si sta diffondendo in tutto il mondo. Con l'estate, molti Paesi temono gravi episodi di siccità e
scarsità d'acqua che
potrebbero avere un impatto significativo sull'agricoltura e
sulla sicurezza
alimentare”. Perché la desertificazione e la siccità sono fenomeni
accelerati o indotti dal surriscaldamento globale che impattano su tanti
aspetti della vita umana.
Il continente si scalda a
una velocità doppia rispetto alla media. Accelerano anche le energie verdi, la
cui produzione supera quella da fonti fossili nel 2022
La siccità riguarda il 40%
dei terrestri
Secondo le Nazioni Unite la
siccità è “il degrado dei terreni nelle aree aride, semi-aride e sub-umide
secche, dovuto a una serie di fattori diversi, tra cui le variazioni climatiche
e le attività umane". Le aree degradate rappresentano una cifra
stimata tra il 10 e il 15% dell’intera superficie terrestre, dove vive oltre il
40% della popolazione mondiale. E se pensiamo allo stress idrico, ovvero la
carenza di acqua in certe aree del Pianeta, questo problema ormai riguarda un
terzo della popolazione mondiale. Ciò che preoccupa è che la siccità e la
desertificazione seguano avanzando: dal 2000 sono aumentate di circa il 30% le
aree aride del pianeta. E tra il 1979 e il 2019 si possono stimare circa 650mila
morti a causa della siccità nel mondo. Nessuno può dirsi escluso: nel prossimo
futuro saranno 190 le nazioni che soffriranno qualche effetto a causa di
siccità e devastazione. In sintesi estrema, succederà in tutto il mondo,
considerando che sulla Terra sono registrate 194 nazioni.
La soluzione della Great
Green Wall
Il cuore pulsante del
processo di desertificazione più impattante al mondo è nel Sahel. La soluzione
che si sta cercando è il progetto della Grande Muraglia Verde, guidato
dall’Unione africana con il supporto delle più importanti organizzazioni
intergovernative al mondo. Si tratta di una sorta di cintura alberata
progettata per attraversare in orizzontale il continente africano. Dovrebbe
costare circa 33 miliardi di dollari e al 2021 ne erano stati investiti 14:
obiettivo realizzare entro il 2030 una linea di foreste con un'estensione di
circa 8mila chilometri di lunghezza e 15 chilometri di larghezza. La cintura
attraverserà 11 nazioni africane, dal Senegal e dalla Mauritania fino a Gibuti,
e si propone di contrastare la degradazione ambientale e la povertà della
regione, partendo dal miglioramento delle condizioni climatiche e ambientali
dell’intera area.
“Sì, la Grande Muraglia
Verde è parte della soluzione, perché contribuirà a combattere la
desertificazione e il cambiamento climatico: è un progetto molto importante,
non solo per l'Africa, ma per il mondo intero. Ma questa iniziativa non
riguarda solo la creazione di foreste, bensì anche lo sviluppo di ecosistemi
virtuosi per le comunità locali. La Grande Muraglia Verde comprende diversi
progetti guidati dalle comunità, in particolare nel campo dell'agricoltura
rigenerativa"
Alain-Richard Donwahi,
presidente Cop15 sulla desertificazione
Questi progetti
aumenteranno la sicurezza alimentare e l'accesso all'occupazione, elementi
essenziali per preservare la sicurezza, la stabilità politica ed
evitare massicce ondate migratorie. Per quanto avveniristico, tarato sulle
soluzioni rigenerative delle nature based solutions e ambizioso, il
successo del progetto non è affatto scontato e anche Donwahi ammette che ci
sono ritardi sensibili sulla roadmap: “Dobbiamo fare di più e in fretta. Solo
il 20% dell'intera iniziativa è stato realizzato dal suo lancio ufficiale nel
2007. Se vogliamo completarla come previsto, entro il 2030, dobbiamo trovare
più risorse, più fondi e destinarli ai progetti giusti. Abbiamo anche bisogno
che i Paesi coinvolti inseriscano questa iniziativa nei loro piani di sviluppo
nazionali e nei loro bilanci annuali, in modo che i fondi siano dedicati a far
progredire la Grande Muraglia Verde e a sostenere le comunità”.
Frenare le migrazioni
climatiche
Supportare la rigenerazione
di Paesi che oggi soffrono la siccità a livello ambientale per crescere
socialmente ed economicamente. E così allentare anche la portata del fiume
carsico di migranti
che dalle sponde del Nord Africa si riversano in Europa, con le conclusioni drammatiche che racconta la
cronaca. Le migrazioni climatiche saranno sempre più impattanti nei flussi di
persone a livello mondiale. E saranno siccità e desertificazione, che implicano
problemi gravi di approvvigionamento idrico, a spingere ulteriormente questi
flussi: “È un dato di fatto: la siccità è in aumento. Non solo in Africa, ma
in tutto il mondo.
Negli ultimi 20 anni,
abbiamo assistito a un aumento del 29% degli episodi di siccità e prevediamo
che oltre 190 Paesi saranno più esposti alla siccità nei prossimi decenni. A
causa di questi fenomeni, oltre 200 milioni di persone potrebbero essere
costrette a lasciare le loro case e a migrare entro il 2050”.
Alain-Richard Donwahi,
presidente CopP15 sulla desertificazione
Per questo secondo il
presidente della Cop15 i Paesi europei dovrebbero accelerare la realizzazione
dei propri impegni ambientali nell’ottica realizzativa della Grande Muraglia
Verde. Lo stesso impegno che devono riversare tutte le nazioni che hanno
sottoscritto gli Accordi di Parigi: la mitigazione passa innanzitutto dalla
transizione ecologica dell’economia
mondiale. E dal rispetto degli impegni presi e sottoscritti.
nella foto: Mucche nel
deserto del Sahel, Poncho/Getty Images
* da www.wired.it 19 agosto 2023
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La riforestazione ha
un impatto su ambiente, società ed economia
di Giovanni Beber *
Sostenibilità
Andrea Bianchi è un
botanico tropicale che lavora nell’ambito del progetto Udzungwa corridor
limited, finanziato da un fondo nord-americano e che prevede le
riforestazione di una zona centromeridionale dei monti dell’Arco orientale, in
Tanzania. Ha iniziato a occuparsi del progetto nel 2021 e da allora seleziona
le specie di piante da reinserire nel territorio. A Buone Notizie ha raccontato
perché il progetto può avere un impatto non solo sull’ambiente, ma anche a
livello sociale ed economico per le comunità locali.
La deforestazione in
Tanzania affonda le radici nel colonialismo
Secondo il report sulla deforestazione nel 2022 stilato
dall’Università del Maryland, l’Africa ha perso circa 3,6 milioni di ettari
di copertura arborea, tra cui circa 800mila ettari di foreste tropicali
primarie, cioè quelle che non sono state finora coinvolte da attività agricole
o industriali.
Andrea racconta che “le
cause della deforestazione sono molteplici. Ad oggi, la causa principale è
l’aumento della popolazione, che ha reso necessario ampliare la superficie di
terreni coltivabili. Il taglio del legname permette inoltre agli abitanti di
produrre carbone, fondamentale in Tanzania per produrre energia. Ma il
processo di deforestazione è iniziato già quando il Paese era colonia tedesca e
inglese, legato al commercio di legnami tropicali”.
In tal senso, il progetto
di riforestazione
è stato pensato per avere una durata di trent’anni. In questo lasso di tempo l’obiettivo
principale è proprio quello di lavorare con le comunità locali, affinché
attraverso la riforestazione gli abitanti del luogo possano accedere ad un
lavoro a lungo termine e uscire dalla condizione di povertà in cui si trovano.
Riforestazione, educazione a una
vita in sintonia con la foresta e miglioramento delle qualità di
vita delle popolazioni locali vanno quindi a braccetto.
Riforestare richiede tempo,
ma i primi risultati sono già visibili
Il progetto è operativo
nella zona tra il Parco nazionale dei monti Udzungwa e la Riserva forestale di
Udzungwa Scarp. È un’area di 75 chilometri quadrati, che una volta riforestata
permetterà di rimuovere 5,5 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e
restaurare l’ecosistema animale e vegetale in uno dei più importanti hotspot di
biodiversità del mondo, che ospita quindi almeno 1.500 specie di piante
endemiche.
Andrea si occupa della
scelta delle specie, un passaggio cruciale, se si considera che la Tanzania ha
una flora estremamente ricca, con più di diecimila di piante e circa 1500
specie di alberi. Per un confronto, un simile numero di specie è tra il
doppio e il triplo della flora italiana, già estremamente ricca.
Andrea spiega che “la
selezione è un’operazione molto delicata, perché vanno individuate le
specie corrette sia per l’altitudine che per la piovosità, in particolar modo
per le specie ad areale ristretto. Questo significa che alcune piante possono
stare soltanto in porzioni di territorio molto piccole, a volte singole vallate
o addirittura solo su una montagna”.
Inoltre, dopo avere
selezionato le singole piante, è necessario scegliere attentamente il mix di
specie che si va a piantumare. Una volta selezionate, la parte più importante e
difficile è quella della raccolta dei semi. Nonostante le varie difficoltà che
la riforestazione richiede e la visione a lungo termine del progetto, Andrea
sostiene che i risultati si iniziano già a intravvedere. “Le prime
piantine che abbiamo messo a dimora un anno e mezzo fa sono già più alte di me.
In quello che era un ambiente desolato, adesso sono già presenti piante alte
due metri e mezzo, e alcune di queste crescono di due metri all’anno. Fra dieci
nelle zone più favorevoli sarà cresciuto un bosco vero e proprio”.
Il monitoraggio migliora il
lavoro e rende replicabile l’operazione
Il monitoraggio della
crescita delle piante è cruciale, perché permette di osservare e selezionare le
specie più idonee alla riforestazione. A partire dall’osservazione dei dati
raccolti, Andrea e il resto del team modificano la percentuale di specie che
piantano l’anno successivo.
Inoltre, una volta
validati, i dati sulla riforestazione possono essere inseriti nella piattaforma
AirImpact,
pensata per mettere in connessione tra loro imprenditori, ONG e altri enti
che vogliono iniziare un progetto simile. La piattaforma, sviluppata nel
2018 all’interno di un altro progetto in cui opera Andrea, aiuterà nella scelta
delle specie e può essere uno strumento di confronto per monitoraggi futuri.
Gli effetti positivi della
riforestazione sulle comunità e l’ambiente
Il progetto di
riforestazione prevede anche una parte di sensibilizzazione delle comunità
sull’importanza della foresta, della biodiversità e sul ritorno delle specie
animali nella zona. Il contratto stipulato con le comunità locali concede
loro di tagliare il 3% degli alberi all’anno, alla fine dei trent’anni di
progetto.
“Questa percentuale, che
può sembrare molto bassa, corrisponde a circa 30 alberi per ettaro. Questa sarà
sufficiente a dare agli abitanti un introito fino a migliaia di euro per
ettaro. Il tutto in una gestione sostenibile della foresta, che passerà
dalla scelta oculata delle piante da tagliare, evitando il disboscamento a
tappeto”, spiega Andrea.
Dell’educazione a una gestione circolare della foresta si occupa una ragazza
tanzaniana, che promuove anche la parità di genere e l’accesso al lavoro a
tutti.
Inoltre, il progetto avrà esiti
positivi dal punto di vista di conservazione della biodiversità molto alti.
La zona riforestata fungerà da corridoio ecologico tra le due aree protette del
Parco nazionale dei monti Udzungwa e la Riserva forestale di Udzungwa Scarp.
Mettendo in comunicazione le due aree animali come elefanti, leopardi e bufali
che si sono estinti localmente in una delle due foreste potranno ritornarci.
nella foto: Comunità locali
tanzaniane al lavoro in uno dei vivai ( Andrea Bianchi )
* da www.buonenotizie.it - 22 agosto 2023