26 gennaio 2016

ECOLETTERA 71 del Gruppo Cinque Terre



costruire la transizione: un nuovo ecologismo - democrazia - giustizia - nuovi lavori
Gruppo delle Cinque Terre                ECOLETTERA  71/16 gennaio 2016

Editoriale 1: Frammenti di riflessione politica per il nuovo anno

Pensavamo che con la fine della guerra fredda si aprisse un era di pace. Invece negli ultimi 100 anni , dal 1915 ad oggi, le guerre non sono mai cessate : sono solo cambiati modi, luoghi e protagonisti: prima le due guerre mondiali ( 17 e 70 milioni di morti ), poi due grandi guerre regionali : Corea nel 1953 ( 2,8 mil. di morti ) e Vietnam nel 1960-75 ( 7 mil. di morti ). Finita la guerra fredda guerre diluite nello spazio e nel tempo, compresa la pulizia etnica e i movimenti armati a sfondo religioso e/o tribale. Fra queste Hutu e Tuczi in Ruanda nel 1994 ( 1 mil di morti ), guerre nella ex Jugoslavia del 1992-95 ( 200mila morti ) , le quattro guerre arabi-israeliani dal 1948 al 1973 con la diaspora palestinese che permane irrisolta ( almeno 30mila morti ) , la guerra siriana e quella anti jihadisti in corso dal 2011, quasi 300mila morti di cui almeno 40mila nelle file di Isis e affini. Almeno altrettanti in Irak ( 3-400mila morti fra il 2003 e il 2011 ) e ancora l’Afghanistan dal 2001 ad oggi ( almeno 150mila morti )... Naturalmente non esiste più il monopolio degli stati nazionali nell’uso sistematico della violenza. Gli attori possono sempre essere stati nazionali, ma anche gruppi etnici, correnti religiose, organizzazioni politiche o gruppi economici. Progressivamente si sono accantonate le norme classiche di comportamento in guerra: la crudeltà e la barbarie sono un corollario ormai consueto ( ad esempio gli stupri di massa e il ripristino dello schiavismo, precursori moderni i giapponesi in Cina ) ma ci sono anche vere innovazioni mediatiche come le decapitazioni con accompagnamento hip-hop a sfondo religioso..... ( Giovanni Chiambretto e Massimo Marino ) leggi
Editoriale 2: Primarie Usa, Sanders dice no ai soldi delle “big oil”. Si infiamma la sfida con Clinton

La corsa delle primarie democratiche per la Casa Bianca si gioca anche sul “green”. E la contesa Hillary Clinton e Bernie Sanders si riaccende. Gli ultimi sondaggi danno l’outsider Sanders a una manciata di voti da Clinton in Iowa, dove le primarie Dem prenderanno il via il primo febbraio. L’ex segretario di Stato, stando ai rilevamenti di Nbc News, Wall Street Journal e Marist Colleg, supera di tre punti il senatore socialista (48 contro 45), mentre le previsioni per il voto del 10 febbraio nel New Hampshire vedono davanti Sanders al 50% e a seguire Clinton al 45. Prendendo di mira – come aveva fatto per Wall Street – i finanziamenti indiretti dell’industria petrolifera a sostegno di Hillary Clinton, Sanders è diventato il primo candidato alla presidenza a sottoscrivere l’impegno a rifiutare contributi elettorali da parte dell’industria dei combustibili fossili. Annie Leonard, direttore esecutivo di Greenpeace Usa – che assieme a una ventina di sigle ha promosso il “patto” per i candidati democratici e repubblicani lanciando l’hashtag #fixdemocracy – ha spiegato che quando accettano soldi dalle mega-industrie e in primis dalla lobby del petrolio, del gas e del carbone, i politici «stanno penalizzando in primo luogo i poveri, gli anziani e gli studenti che votano per la prima volta». Leonard ha auspicato che dopo Sanders, anche Hillary Clinton aderisca all’appello e si impegni a sostenere una democrazia “people-powered” (alimentata dalle persone e non dalle lobby attraverso il denaro) e che disinvesta dalle fonti energetiche inquinanti. «Dobbiamo mettere i soldi “fuori” e portare le persone “dentro” la nostra democrazia. La nostra democrazia non deve più essere venduta all’asta al miglior offerente» ha concluso la dirigente ambientalista. Va detto che nella campagna 2016, Hillary Clinton non ha accettato contributi diretti da società per azioni, incluse le compagnie petrolifere e del gas, in conformità con le norme in materia elettorale. Secondo il Center for Responsive Politics, finora la candidata democratica ha ricevuto 160mila dollari da persone che lavorano per i big delle fossili, contributi in ogni caso legittimi. Quasi ogni candidato repubblicano, spiegano i promotori di #fixdemocracy, riceve finanziamenti dal settore e Jeb Bush, Ted Cruz e Hillary Clinton sono i tre principali beneficiari dei contributi elettorali dei dipendenti di industrie del petrolio e gas. ( Raffaele Lupoli  da left.it ) leggi

CGIL, ecco la Carta dei diritti universali 

Si chiama Carta dei diritti universali del lavoro, e rappresenta, nei progetti della Cgil, il nuovo Statuto per i lavoratori del futuro: 97 articoli in 64 pagine che dovrebbero diventare una proposta di legge di iniziativa popolare. Il concetto chiave, come ha spiegato la segretaria Susanna Camusso in una conferenza stampa tenuta ineditamente davanti alla stazione Termini, è quello di «regolare i diritti non più in base alla tipologia contrattuale, ma definendoli per tutte le persone che lavorano, qualsiasi rapporto abbiano». Dipendenti a tempo indeterminato o determinato, partite Iva, collaboratori dei tipi più vari, tutti dovranno godere di un corredo di diritti unico e universale, che verranno magari poi usufruiti in maniera diversa a seconda dei casi. Per sostenere la sua proposta, la Cgil ha indetto una consultazione straordinaria delle iscritte e degli iscritti, «che per la prima volta nella sua storia — ha spiegato Camusso — non riguarda un accordo o un contratto, ma la direzione politica e strategica della confederazione». ( Antonio Sciotto da il manifesto ) leggi

La Taranto dei Cinquestelle: via alle bonifiche e addio all’Ilva

I fondi dall'Europa e dai sequestri ai Riva. Una proposta completamente alternativa sul futuro dell’Ilva, dirompente per alcuni versi. Che si oppone a quella messa in piedi dal governo con il decreto attualmente in discussione alla Camera: l’hanno avanzata i Cinquestelle, e prevede un netto ridimensionamento del siderurgico in Italia, con il mantenimento sostanziale di tutti i siti oggi esistenti — da Cornigliano a Novi Ligure (ma solo nel caso che siano ecosostenibili e graditi alle popolazioni circostanti) — e la chiusura e bonifica dei forni presenti invece a Taranto. Niente “rilancio” dell’acciaio in Puglia, dunque, ma l’utilizzo degli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva, di parte dei proventi della vendita del gruppo e dei fondi europei per cambiare radicalmente il volto della città salentina. La proposta è venuta dai deputati e senatori delle Commissioni Ambiente e Attività produttive, accompagnati da un gruppo di operai del «Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto, e dall’attore Michele Riondino, impegnato da anni nella valorizzazione della sua città . «No alla cordata con Marcegaglia e dietro i progetti dell’Eni - insomma - Perché non cambierebbe nulla rispetto a oggi». (Antonio Sciotto da ilmanifesto.it ) leggi

Nuovi inceneritori, sì o no? Lo Sblocca Italia risponde alla domanda sbagliata

Gli ambientalisti: Dal governo «stessi punti critici e ipotesi irricevibili». A regnare è il caos. Domani ( 20 gennaio) la Conferenza Stato-Regioni dovrà (o meglio, dovrebbe) tornare ad esaminare il decreto attuativo dell’articolo 35 dello “Sblocca Italia”, un testo nel quale si individuano gli inceneritori considerati strategici a livello nazionale, sia per quanto riguarda gli impianti con recupero energetico (termovalorizzatori e impianti Tmb), sia i più propriamente detti “inceneritori”, senza recupero – ormai dei fossili industriali. Il parere della Conferenza Stato-Regioni era già atteso per lo scorso 10 settembre, un appuntamento poi rimandato dietro le pressioni di associazioni ambientaliste e altre ong. L’unica novità rispetto alla bozza dell’agosto scorso, riassumono infatti le associazioni, è l’eliminazione dei 3 nuovi inceneritori previsti al Nord (Piemonte, Veneto, Liguria) perché si assume un “equilibrio a livello di macroarea Nord”; per il resto, viene confermata la previsione di 9 nuovi inceneritori nelle altre regioni già individuate (oltre all’ampliamento di un paio in Puglia e Sardegna). Si continua a puntare sull’incenerimento quando l’andamento della produzione di rifiuti solidi urbani è da anni in calo. ( da greenreport ) leggi 

Rinnovabili: nuovo record d’investimenti nel mondo, ma è fuga dall’Italia

Il prezzo del petrolio ai minimi non ferma l’energia pulita, ma c’è chi va controcorrente.
Da più di 120 dollari a barile a meno di 30: il prezzo del petrolio sui mercati mondiali ha subito un tracollo impensabile solo pochi anni fa.. A questi prezzi, come reagisce il mercato delle energie rinnovabili? A quanto pare, splendidamente. A livello globale, suggerisce l’ultima analisi prodotta dall’autorevole Bloomberg new energy finance, gli investimenti nelle rinnovabili sono incrementati di 6 volte rispetto al 2004, raggiungendo nel 2015 il record di 328,9 miliardi di dollari. Quello delle rinnovabili si mostra dunque come un mercato in forte espansione, ma non è così in tutto il mondo. Il leader di oggi è la Cina: proprio il gigante asiatico, alle prese con un’evoluzione del proprio modello di sviluppo, rappresenta il player che più di ogni altro ha investito nel 2015 nel settore delle rinnovabili, con un incremento dei propri investimenti del 17% rispetto al 2014. A scivolare ancora invece è l’Europa, che vede ogni anno declinare la sua posizione di iniziale leadership negli investimenti in rinnovabili, che nel 2015 hanno toccato quota 58,5 miliardi di dollari: un calo del 18% rispetto al 2004, e il livello più basso toccato dal 2006 (da greenreport.it - L.A.) leggi

Uk, Corbyn prepara il nuovo governo ombra. “Vendetta contro le polemiche” 

C’è aria di novità nel Regno Unito, dove il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, si prepara a un rimpasto del suo governo ombra che dovrebbe arrivare nella serata di martedì 5 gennaio... Da quando Corbyn è diventato leader del Labour britannico, lo scorso 12 settembre, il pacifista più famoso del Regno Unito è stato attaccato sui media e nelle stanze del parlamento su più fronti. Prima venne il suo apparente rifiuto di cantare l’inno nazionale, ‘God save the Queen’, Dio salvi la regina, durante un evento commemorativo dei caduti di tutte le guerre nella cattedrale di Saint Paul, a Londra. Poi ancora venne il suo rifiuto a inchinarsi di fronte alla sovrana – lui, tendente al repubblicanesimo – in diverse occasioni, poi vennero le sue prese di posizione contro missili nucleari, raid in Siria per schiacciare l’Isis (con il rischio concreto di colpire anche la popolazione civile) e altre politiche del governo conservatore guidato da David Cameron.  Eppure Corbyn, 66enne e parlamentare per il seggio di Islington, pacifista e vicino a Syriza e Podemos, anche nel suo discorso di Capodanno – in realtà assai oscurato dai media britannici – è stato chiaro: pur non essendo più giovane, almeno per gli standard della politica del Regno Unito, ha assoluta intenzione di provare a entrare a Downing Street, nel 2020, quando si voterà nuovamente per parlamento e governo. ( Daniele Guido Gessa da ilfattoquotidiano  ) leggi

Uk, Corbyn non scontenta le Unions: sommergibili ma senza bombe

Ancora una volta nell’occhio del ciclone mediatico, il leader laburista Jeremy Corbyn è stato preso di mira dalla stampa mainstream britannica per aver osato suggerire una soluzione di compromesso sulla questione del rinnovo dell’arsenale nucleare nazionale. Incalzato dal decano opinionista della BBC Andrew Marr nel suo programma televisivo della domenica mattina, Corbyn ha concesso un teorico via libera suo e del partito al programma di rinnovo dei sottomarini nucleari, ma senza testate atomiche, così da salvaguardare l’occupazione di migliaia di lavoratori impiegati nell’industria bellica nazionale, un comparto che vale migliaia di posti di lavoro, soprattutto in Scozia e Cumbria. Il segretario continua così nella sua funambolica passeggiata attraverso le zone critiche della linea laburista: un partito socialista eppure monarchico, tradizionalmente filocolonialista e da sempre a favore della deterrenza nucleare. La questione è in tutti i sensi esplosiva sia per il segretario che per il partito, giacché le posizioni pro o contro le armi nucleari divergono abbondantemente nella componente parlamentare, quella sulla quale il segretario ha notoriamente minor controllo e influenza. Assieme alla recente dimostrazione di disunità offerta dal partito in occasione del voto sui bombardamenti aerei in Siria, il rinnovo del programma missilistico nucleare Trident, ormai arrivato all’obsolescenza e in procinto di essere rinnovato a costi stellari, è la fenditura più evidente fra l’anima moderata e quella più radicale del partito. ( Leonardo Clausi  da il manifesto ) leggi

Spagna, Rajoy (PP) rinuncia a formare governo e declina la proposta di Felipe VI

A questo punto avanza l'ipotesi di un accordo tra socialisti e Podemos. Cinque anni dopo la rivolta di Puerta del Sol dei giovani indignados il partito che li rappresenta ora punta alla poltrona di vicepremier in un futuro governo a guida socialista. Il leader Iglesias, prima della rinuncia di Rajoy, aveva spazzato via ogni dubbio: "Vogliamo andare al governo con i socialisti". Il popolare Rajoy può contare su 123 deputati su 350, il Psoe di Sanchez ne ha 90, Podemos e i suoi alleati 69, Ciudadanos 40, gli indipendentisti catalani 17, quelli baschi 2, come Izquierda Unida (Iu), e 6 i nazionalisti baschi del Pnv, possibili alleati di Sanchez. Nessuno si era detto pronto ad appoggiare Rajoy, che proponeva una Gran Coalicion europea con socialisti e Ciudadanos. ( da ilfattoquotidiano.it ) leggi
 
Nel 2016 ne sentirete parlare: Marisa Matias che vuole cambiare il Portogallo e l’Europa

Il 2016, tra i suoi protagonisti, avrà certamente Marisa Matias, candidata alla presidenza del Portogallo. Quarant’anni il 20 febbraio prossimo, Marisa Isabel dos Santos Matias è nata a Coimbra, centro universitario del Portogallo. Nelle aule universitarie del suo villaggio, Matias inizia pure a partecipare ai movimenti civici: qualità della vita in città, cause ambientali e lotta per la depenalizzazione dell’aborto. La sua attività politica cresce fin quando, sei anni fa, viene eletta al Parlamento europeo (rieletta nel 2014) tra le fila del Bloco de Esquerda e aderisce al gruppo GUE/NGL. In Europa, racconta Matias, «sapevo già che non avrei ritrovato quello che avevo in mente, un progetto democratico e solidale». Il 25 settembre del 2014 ha presieduto la presentazione delle conclusioni della sessione straordinaria su Gaza del Tribunale Russell nell’Europarlamento, insieme a Ken Loach, Roger Waters, Vandana Shiva, David Sheen, Richard Falk, Max Blumenthal, Mohamed Omer e Michael Mansfield. In Portogallo il 2015 è stato un anno storico. Dal 24 novembre un governo di sinistra-sinistra guidato dal socialista Antonio Costa con il sostegno del Bloco de Esquerda, dei comunisti e dei verdi, ha messo in piedi un governo anti-austerità, riuscendo a strappare la guida del Paese al ben più filoeuropeo e gradito Passos Coelho. Il 2016 sarà anche l’anno di Marisa Matias che avrà appena 40 anni quando si sottoporrà al voto per la guida del suo Paese. ( Tiziana Barillà da left.it ) leggi

Messico, le cifre di uno stato fallito  

Il Messico chiude l’anno con un altro record negativo: l’arresto di almeno 200.000 migranti, sui circa 300.000 che, secondo gli esperti, hanno cercato di attraversare la frontiera per raggiungere gli Stati uniti. Cifre ufficiali del governo, secondo le quali il 92% degli arrestati proviene dai paesi del Centroamerica, soprattutto dal Guatemala (45%). In compenso, sta arrivando a soluzione la crisi provocata dagli oltre 7.000 cubani, diretti negli Usa e fermi dal 14 dicembre in Costa Rica, dove aspettano di entrare altri 900. A oltre un anno dalla scomparsa dei 43 studenti normalistas, la loro ricerca e la scoperta di oltre 60 fosse comuni, ha evidenziato un altro triste primato del Messico: gli omicidi impuniti e le sparizioni forzate. Secondo le cifre ufficiali, dal 2005 al 2015 i desaparecidos superano i 25.000. Durante il governo del neoliberista Enrique Peña Nieto sono scomparse 13 persone al giorno, una ogni ora e 52 minuti. Nel 2015, si sono registrati 7 femminicidi al giorno, sono stati ammazzati 14 giornalisti e due risultano desaparecidos . A causa delle gravi violazioni, dal 2006 al 9 ottobre scorso, il governo messicano ha ricevuto 548 «raccomandazioni» da parte delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. ( Geraldina Colotti da il manifesto ) leggi

Leonardo Di Caprio, appello ai petrolieri: lasciate le fonti fossili sottoterra

E’ un appassionato Leonardo Di Caprio quello che parla alla platea di Davos, Svizzera dove si svolge il Forum Mondiale dell’Economia. Leonardo Di Caprio è qui per essere onorato per il suo lavoro nella preservazione dell’ambiente. Il suo discorso di ringraziamento è sincero ed è un attacco diretto all’industria fossile. Di Caprio dice che senza mezzi termini che se vogliamo che il pianeta sopravviva occorre eliminare in toto l’uso di petrolio, gas e carbone. Dice che l’unico posto in cui stanno bene è sottoterra. Dice che mentre venti anni fa sembrava che non avessimo alternative, adesso ce ne sono. Dice che non possiamo assolutamente permettere che l’industria dell’ oil and gas, la loro avidità, i loro interessi finanziari possano determinare il futuro del nostro pianeta.  Maria Rita D'Orsogna Fisico, docente universitario, attivista ambientale su ilfattoquotidiano.it  ) leggi

Decine di migliaia di calamari giganti spiaggiati in Cile. Colpa di El Niño?

«La morte di massa dei calamari può essere stata provocata dalla temperatuira elevata dell’acqua del mare». Lo spiaggiamento sulla costa di Santa María di molluschi e pesci morti in questo periodo dell’anno (l’estate australe) è relativamente comune ma finora non aveva prodotto uno spiaggiamento di queste dimensioni di calamari giganti di Humboldt. «A causa della mancanza di dati più concreti, non si può scartare che l’elevata temperatura dell’acqua in questa zona del Pacífico sia in relazione con il fenomeno El Niño, qche in questa occasione (2015-2016) vive un periodo specialmente forte e esteso». El Niño si manifesta ad intervali di 2 - 7 anni e inizia quando le acque del Pacifico si riscaldano al largo dell’equatore, il che fa cambiare la normale direzione dei venti e riscalda fortemente l’oceano Pacifico di fronte alle coste del Sudamerica, provocando inondazioni  e siccità in diverse aree, con conseguenti perdite sia per la produzione agricola che per la pesca e con effetti meteorologici e climatici a catena in tutto il pianeta.  ( da greenreport.it ) leggi

La foto del giorno: Cina: il Paese brucia carbone quanto il resto del mondo messo assieme, con conseguenze ambientali gravissime. L'inquinamento è diventata la causa principale di malcontento in Cina, sorpassando le proteste sugli espropri di terreni. Già tra il 2006 e il 2010, secondo il sociologo dell'università Tsinghua Sun Liping, gli "incidenti di massa" ( proteste) sono raddoppiati arrivando a 180.000 all'anno. Ma non è vero che si pensi a privilegiare per il futuro le fonti rinnovabili. Senza clamore si pensa al nucleare (  13 reattori sono già funzionanti e altri 22 sarebbero in fase di avvio ) tanto che uno scienziato cinese ha denunciato:” I piani nucleari della Cina sono folli “ leggi e leggi  




Il punto di vista  del Gruppo Cinque Terre:
 Documento annuale: Quello che possiamo fare ( Piero Aimasso - Anna Andorno - Giovanni Chiambretto - Maurizio Di Gregorio - Massimo Marino ) - 1 giugno 2015                                                                       

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21 gennaio 2016

Frammenti di riflessione politica per il nuovo anno



di Giovanni Chiambretto e Massimo Marino

Nuove guerre, vecchi conflitti. Con le guerre ci guadagnano tutti

Un fatto nuovo, fra i tanti della crisi del pianeta, è questa curiosa inedita epoca dello scontro armato: fino a ieri si scontravano due antagonisti, due nazioni, due etnie, due tendenze politiche o religiose che, se potevano, aggregavano alleati e supporters. Oggi, su vecchi conflitti proliferano nuove guerre, ma gli antagonisti sono tre o quattro. Come se sul ring salissero quattro boxeurs che se la dessero di santa ragione ciascuno contro gli altri tre. Il pubblico non riesce a rendersi conto di cosa succede, anche perché a poche centinaia di chilometri di distanza, gli stessi attori manifestano antagonismi diversi.
Naturalmente non esiste più il monopolio degli stati nazionali nell’uso sistematico della violenza. Gli attori possono sempre essere stati nazionali, ma anche gruppi etnici, correnti religiose, organizzazioni politiche o gruppi economici.  Progressivamente sono accantonate le norme classiche di comportamento in guerra:  la crudeltà e la barbarie sono un corollario ormai consueto ( ad esempio gli stupri di massa e il ripristino dello schiavismo, precursori moderni i giapponesi in Cina ) ma ci sono anche vere innovazioni mediatiche come le decapitazioni  con accompagnamento hip-hop a sfondo religioso.

Pensavamo che con la fine della guerra fredda si aprisse un era di pace. Invece negli ultimi 100 anni , dal 1915 ad oggi, le guerre non sono mai  cessate : sono solo cambiati modi, luoghi e protagonisti: prima le due guerre mondiali ( 17 e 70 milioni di morti ), poi due grandi guerre regionali : Corea nel 1953 ( 2,8 mil. di morti ) e Vietnam nel 1960-75 ( 7 mil. di morti ). 
Finita la guerra fredda guerre diluite nello spazio e nel tempo,  compresa la pulizia etnica e i movimenti armati a sfondo religioso e/o tribale. Fra queste Hutu e Tuczi in Ruanda nel 1994 ( 1 mil di morti ), guerre nella ex Jugoslavia  del 1992-95 ( 200mila morti ) , le quattro guerre arabi-israeliani dal 1948 al 1973 e la diaspora palestinese che permane irrisolta ( almeno 30mila morti ) , la guerra siriana e anti jihadisti in corso dal 2011, quasi 300mila morti di cui almeno 40mila nelle file di Isis e affini. Almeno altrettanti in Irak ( 3-400mila morti fra il 2003 e il 2011 ) e ancora l’Afghanistan dal 2001 ad oggi ( almeno 150mila morti ). Con il tempo la componente civile fra i morti è sempre più all’evidenza. Per completare il quadro vanno aggiunti ovviamente milioni di feriti e invalidi e decine di milioni di profughi permanenti , cioè che hanno definitivamente persa la propria abitazione e residenza originaria. 
 
La rappresentazione mediatica che ci viene proposta delle crisi  è talmente semplificata e banalizzata da rendere incomprensibile la dinamica di ciò che si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi. Chi sta facendo davvero la guerra all’Isis ? E con quali obiettivi ? La prima domanda che andrebbe fatta è: dove si prendono così tanti soldi, armi, volontari per tutte queste guerre? E chi sono i destinatari ultimi di tutti questi soldi ?   Ricordiamo a mo’ di esempi come ci sono state  spiegate le cause delle guerre in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan, in Libia.  Non è facile dire se i giornalisti lo fanno apposta o proprio non ci arrivano loro stessi a capire cosa succede. Naturalmente ci sono anche giornalisti più capaci, spesso sono messi a lato, a volte anche eliminati. 

Altre osservazioni vanno fatte a scopo di riflessione generale:
In tutto il dopoguerra e fino ad oggi il ruolo dell’ONU nel mantenere la pace è stato scarso , deludente, sostanzialmente impotente; mentre il ruolo dei principali paesi che formalmente ne fanno parte, specie quelli occidentali, al di qua e al di la dell’Atlantico è quasi sempre stato rilevante nei conflitti: o complice o responsabile o volutamente indifferente. Come indifferente è in genere il colore politico dei governanti coinvolti , ad esempio fra conservatori e socialdemocratici in Europa ( da Blair a Cameron , da Sarkozy a Hollande, da Berlusconi a Renzi ) nell’affrontare le crisi.
Fra le cose taciute la più importante è il retroterra economico di questo caos. Spesso , quasi come battuta scontata, si parla del petrolio. Non siamo in grado di renderci conto in maniera compiuta di questo retroterra proprio per il silenzio tombale che avvolge questo argomento, ma qualche spunto c’è. Il giro d’affari che ruota attorno alle guerre  (petrolio, ma anche noli, armi, munizioni, vestiario, attrezzature, stipendi dei combattenti, pensioni alle vedove, rapimenti, etc.) non è quantificabile con certezza ma è enorme e duraturo se le guerre durano. Il sistema di approvvigionamento di contante, garanzie di pagamenti, cambi di valuta, trasferimenti e distribuzione dei fondi, contabilizzazioni, assicurazioni, non possono che essere gestiti dal sistema bancario nel suo insieme. La guerra richiede una infrastruttura finanziaria abbastanza sofisticata ed affidabile, per vendere e comprare di tutto, armi, vettovagliamenti, carburanti... Come farà ad esempio l’Isis a dare lo stipendio mensile ad alcune decine di migliaia di combattenti, assimilabili almeno da questo punto di vista ad un enorme esercito di mercenari ai quali, come salariati, va dato lo stipendio a fine mese ?   
Quindi abbiamo l’ONU, abbiamo superato la guerra fredda e il bipolarismo, ma non abbiamo leader capaci di proporre politiche di pace nei maggiori focolai di guerra presenti da decenni.  Iniziando dal chiudere tutti i rubinetti che alimentano i belligeranti.

Concludendo abbiamo guerre di tipo nuovo, che si prolungano nel tempo senza risolvere alcun conflitto, nelle quali gli unici vincenti sono coloro che dal prolungamento delle guerre ci guadagnano sempre. Il loro colore politico, etnico, religioso non sembra molto rilevante.  

Restano pochi Stati nazionali credibili ,  molti  sono screditati o sono relitti

Fuori dal ciclone delle crisi economiche o delle avventure di guerra che li coinvolge direttamente   restano pochi  gli stati nazionali che appaiono ancora in grado di vantare regimi virtuosi e controllare le dinamiche interne in modo razionale.  Non sono in genere da prendere come esempi di regime democratico paesi pur stabili come Russia e Cina,  democrazie (?) autoritarie eredi di culture di regimi comunisti. Ne entità statali basate su forza e repressione dove  coincidono lo stato, il potere economico e quello  religioso come il noto esempio dell’Arabia Saudita  wahlabita. Non possiamo prenderli ad esempio. Il Giappone ha mostrato l’irresponsabilità dei propri governanti e delle proprie istituzioni di fronte al mondo in tutta la vicenda di Fukushima. L’India,  superata la fase gandhiana, è ancora oggi  un paese costituzionalmente suddivido in caste con diritti, privilegi e ruoli diversificati dalla nascita.  In una gran parte dei paesi asiatici, mediorientali  e africani permangono differenze sociali enormi che non sono giustificate da elementi di scarsità  delle risorse. In molti casi permane una  totale assenza di diritti, in particolare per le donne. Quasi relitti inutili di stati, invece, sono ormai Somalia, Libia, Siria, Iraq, Yemen... Tantomeno possiamo prendere questi ad esempio. Gli Stati Uniti restano in qualche modo il paese egemone nel mondo ma solo per l’enorme impegno nelle spese militari, con interventi armati o presenza diretta in decine di paesi del mondo ma con  grandi difficoltà a trovare soluzioni equilibrate neanche dopo decenni ( Palestina, Iraq, Afghanistan.. ); e con una guerra permanente in più, quella interna legata alla diffusione incontrollata delle armi, che provoca più di 30mila morti all’anno. Il sistema elettorale è demenziale e l’assenteismo cronico. Una percentuale variabile di eletti dei due unici partiti è foraggiata o direttamente espressa dalle principali lobby economiche del paese. Alla larga. 

L’Europa sembra ormai un caso da studiare per la mancanza di leader istituzionali di rilievo negli ultimi due decenni e per il desolante fallimento delle due componenti politiche, conservatori e socialdemocratici,  che si sono alternati in gran parte dell’Europa dopo la nascita e la progressiva estensione dell’Unione Europea. Fuori dall’emotività momentanea data dai risultati di questa o quella scadenza elettorale, una cosa risulta evidente: malgrado la diffusione e spesso l’imposizione di sistemi elettorali maggioritari  in buona parte degli stati europei, giustificati dal mito della governabilità a rischio ( per primi Francia, Gran Bretagna, Italia ), la sfiducia nelle istituzioni dilaga e porta spesso la metà del corpo elettorale ad astenersi, mentre i fantasiosi giochini sulle regole elettorali adottati qua e là inducono ad una sostanziale alterazione della rappresentanza. La recente riforma elettorale e quella istituzionale del governo  Renzi  bene si inseriscono in questa corrente di pensiero. Considerando che i voti espressi sono ormai mediamente quasi la metà del corpo elettorale nel suo insieme  e si ripropone sempre un forzoso bipolarismo, si può dire che difficilmente in questi paesi chi alla fine governa ha il consenso di più di un quarto del corpo elettorale. Nel caso di applicazione dell‘Italicum il sistema italiano andrebbe considerato forse il più iniquo dell’intera area europea ed uno dei più illiberali ( ma creativi)  del mondo, a prescindere anche da chi possa essere il vincitore. Che è però pressoché predefinito attraverso giravolte nelle alleanze fra i soliti partiti.

E’ utile ricordare che già negli anni ’80 erano state teorizzate ipotesi che valutavano come la democrazia potesse essere più efficiente con una minore partecipazione degli elettori. Kissinger, e da noi una attenta rilettura di Licio Gelli, si sposano con questa impostazione. L’impressione è che comincino a manifestarsi in maniera travolgente le conseguenze di processi che originano fra gli anni ottanta e novanta, dopo la crisi dell’URSS e la caduta del muro di Berlino. Caduto l’equilibrio del terrore (che era comunque un equilibrio) si sono messe in moto forze economiche e gruppi che, liberi dalla necessità di mantenere quel consenso interno e quella coesione necessari a sostenere il confronto est-ovest, hanno trovato maggiore libertà di manovra nei paesi occidentali. E’ l’epoca in cui si sviluppa una sostanziale modifica del sistema bancario mondiale con l’abolizione del Steagal Act, che era nato per contenere la speculazione,  e col favore di nuove tecnologie viene globalizzato il sistema finanziario, riformate le borse ed introdotti surreali strumenti derivati. I due  tradizionali schieramenti,  popolari e socialdemocratici, che mediavano nella fase della guerra fredda, si sono trovati impreparati , o forse addirittura inutili nella nuova situazione, pressati da lobby dallo straordinari potere corruttivo alle quali si sono totalmente affidati, angosciati dal proprio declino e dal prevedibile affondamento del sistema , anche di privilegi, in cui hanno prosperato per decenni. Diventando quindi obbligati e disponibili a qualunque cosa pur di stare a galla. E qui, se c’era, ha chiuso la sinistra europea.

Con il nuovo secolo quindi anche l’Unione Europea comincia a cambiare rotta. Sempre meno popoli solidali, sempre più burocrazia pilotata che stabilisce regole, tempi, indirizzi, all’insaputa dei popoli. Per quanto i referendum sulla costituzione europea  siano stati un fiasco per le oligarchie, nessuno ai piani alti della politica si interrogò sul senso di questo rifiuto. Seguirono i cosiddetti accordi di Lisbona che introdussero in via surrettizia molto di quello che doveva essere istituzionalizzato con la Costituzione (accordi fra governi dopo che alcuni paesi via referendum avevano rifiutato). Il processo è proseguito attraverso forzature e manomissioni dello spirito e della lettera degli accordi europei diventate oggi evidenti a tutti. Basti pensare che il cosiddetto “Eurogruppo”, che ci viene presentato dai media come una istituzione europea apicale coi suoi rituali pubblici, in realtà non esiste come istituzione, non è previsto in alcun trattato, non redige nemmeno verbali delle sue riunioni. E stiamo parlando di un’istituzione (che non c’è) che ha gestito tutti i principali passaggi della disarticolazione economica di parte dell’Europa, ultimamente  della Grecia.

Democrazia rappresentativa o diretta : e se la abolissero del tutto ?

Il senso funzionale della democrazia rappresentativa dovrebbe consistere nell’individuare un ambito qualificato di mediazione e decisione fra un numero circoscritto ma plurale di soggetti politici delegati con il voto, dove si possa tenere conto della complessità sociale e dei rapporti di forza senza dovere, per ogni scelta, scendere in piazza per fare valere i propri bisogni o diritti. Se questo spazio viene impedito, se i due terzi del corpo sociale non è rappresentato o è costretto ad un voto non libero, se interi gruppi sociali sono esclusi, non sarà più possibile una efficace mediazione, né una decisione equilibrata. Si è inventato ultimamente che se un partito non ha la maggioranza assoluta al voto, attraverso svariate regolette truccate, siamo di fronte ad una anomalia, perché la sera del voto si deve sapere chi a vinto: una barzelletta che viene ripetuta così tanto che molti ci abboccano. 

Il sistema proporzionale, con qualche limite alla frammentazione attraverso un quorum , anche sostenuto, non è un sistema fra gli altri, ma è il sistema della democrazia nel definire le forme della rappresentanza delegata dove i diversi soggetti, in base al consenso ricevuto ed ai programmi indicati agli elettori trovano le forme della mediazione. In Germania ed in alcuni altri paesi del centro-nord Europa almeno la rappresentanza formale  è ancora salvaguardata e alla fine si concordano programmi di coalizione, i partiti sono 4 o 5 in tutto. Ma l’Europa, checché si dica sul ruolo della Germania, va in altra direzione. 

Accanto alle forme di rappresentanza delegata , e non in alternativa a questa, possono essere sviluppate forme di consultazione diretta dell’intero corpo sociale ( referendum anche propositivi o consultivi accanto a quelli abrogativi) già presenti in alcuni paesi. Oltre all’uso della rete per valutare il giudizio degli aderenti alle formazioni politiche e associative con una opportuna discussione preventiva dei contenuti.
La scuola di pensiero che ritiene superabile la democrazia rappresentativa sta invece debordando dai meri aspetti elettorali dove si trucca il voto attraverso i “premi di governabilità” di vario tipo, ai ben più corposi aspetti delle garanzie costituzionali. Per citarne alcuni che per il momento hanno un impatto differenziato sui diversi stati europei: la riduzione delle garanzie legali a fronte di un problema di sicurezza interna, il ridimensionamento della tutela del risparmio a fronte della salvaguardia del sistema bancario, l’accantonamento della tutela del paesaggio contro la libertà d’impresa, il deperimento dei servizi sociali per la salute giustificata da una ambigua efficienza economica del comparto sanitario, la dequalificazione dell’istruzione pubblica in nome della concorrenza. E ultimo esempio con COP21 la derubricazione di fatto della crisi climatica a tema di seconda linea rispetto alle leggi dell’economia di mercato e degli interessi delle multinazionali dei fossili che praticamente influenzano, a suon di dollari,  parti non marginali del sistema politico in gran parte del pianeta.

Leggere il libro-mattone di Piketty sul capitale nel XX secolo è molto istruttivo. Un lavoro di ricerca gigantesco che ha spaziato dal medio evo ad oggi spulciando dichiarazioni dei redditi, successioni, bilanci statali, tassi di crescita, di inflazione, e quant’altro, certificando scientificamente quanto qualunque persona di buon senso da tempo sospetta: che il processo di concentrazione delle ricchezze in poche mani sta rapidamente riportandoci ad una situazione simile a quella dell’ancient regime precedente alla rivoluzione francese. E’ di questi giorni la stima che alcune decine di famiglie nel mondo possiedono più ricchezza di tutto il resto del pianeta. Ricordate Occupy Wall Street? Gruppi economici o addirittura singole famiglie dispongono di ricchezze pari al bilancio di una piccola nazione. E’ ovvio che la quantità si trasforma in qualità. Il controllo di banche, sistemi logistici, approvvigionamento di energia, processi industriali, brevetti, va di pari passo con una capacità di controllare o comunque influenzare in maniera decisiva parte delle istituzioni.

La crisi del vecchio sistema fa emergere nuovi protagonisti: difficile vincere se non se ne hanno i requisiti

La catastrofe del vecchio sistema fa emergere nuovi protagonisti del teatro della politica che si qualificano, in relazione alla cultura ed alla storia di ciascuna nazione, come oppositori di sinistra, di destra, ... o di altrove- come il M5S italiano. In alcuni paesi, anche importanti,  movimenti nuovi si stanno trasformando da sintomo della malattia della democrazia, in progetto di gestione alternativa dello stato. I successi elettorali sono anche consistenti e gli spostamenti di consensi non hanno precedenti nella storia del dopoguerra, segno che qualcosa si muove ed è capito dal pubblico nonostante tutto. Il radicalismo di estrema destra e di estrema sinistra a volte suonano  per un tratto le stesse note. Come si fa a essere contrari alle accuse della Le Pen francese contro gli aspetti di corruzione della casta clientelare che ha permeato l’era di Sarkozy e quella di Hollande ? E le recenti critiche da sinistra a Tsipras nei confronti della Troika ?  Potevamo non essere solidali con i ragazzi di Occupy anche se l’idea che l’1% sovrasti l’altro 99% della società può diventare una semplificazione che non coglie come una minoranza consistente e attrezzata sia capace cinicamente di costruire alleanze e soprattutto abilmente disgregare qualunque tentativo di fronte avverso?

Ma appena si gratta un po’ sotto la superficie vengono fuori i limiti: l’intolleranza e la miseria culturale delle destre estreme anche quando sono celate sotto il caschetto biondo di una quarantenne italiana o di una cinquantenne francese, così come il trasformismo e l’assimilazione alle logiche di casta che hanno ridotto ai minimi termini la sinistra cosiddetta radicale  e l’ambientalismo all’italiana.
Non troviamo nulla di attrattivo ne negli uni ne negli altri. Non c’è qui alcuna tendenza al pessimismo, c’è poco da discuterne. Per i secondi la loro irrilevanza non è una nostra opinione, è un dato di fatto evidente per chiunque, ma nessuno ne spiega il motivo.  Possiamo ormai affermare che non c’è più vita a sinistra nel nostro paese  anche perché nei pochi momenti in cui la nostra variegata sinistra all’italiana ha dato qualche sussulto  ha mostrato solo trasformismo o la propria inutilità:  da Bertinotti in poi che si auto relegò, invece di tentare di governare, a gestire i lavori della Camera prima di sparire nell’irrilevanza . Può sembrare incredibile che la recente  fuoriuscita a sinistra di alcuni esponenti del PD, ognuno dei quali ha subito costruito il suo micro partitino, ha ulteriormente frammentato e paralizzato qualunque ipotesi di autonoma costruzione politica di sinistra capace di restare fuori dalle tentazioni uliviste, invece sempre presenti,  che in realtà hanno avviato la progressiva disgregazione di qualunque sinistra alternativa. Che, almeno in Italia, sembra ormai un episodio chiuso del secolo scorso. 
   
Le aristocrazie politiche europee sono un sistema sterminato, tendenzialmente ormai autoreferenziale e sempre più contiguo ai disegni dei poteri che più contano. Non è un caso che negli ultimi anni si alleano anche fra di loro per difendersi, violino le regole, tarocchino con ogni scusa le costituzioni, alterino le forme di rappresentanza, si accaparrino mezzi economici, corrompano l’informazione, in alcuni paesi svuotino senza scrupoli le casse delle amministrazioni locali a favore di mafie e clientele. 

Quello che è ancora in gioco è la possibilità dei popoli europei di ritornare protagonisti del proprio futuro ed, al momento, questa possibilità è rappresentata dal riappropriarsi del controllo democratico dei singoli stati dal momento che hanno distorto ma non hanno ancora abolito le elezioni. Nella complessità delle società moderne non è verosimile pensare di costituire una rete di soviet o immaginare una democrazia diretta irrealistica a cui trasferire il potere conquistando un palazzo d’inverno difficile da identificare.  Gli stati nazionali attuali possono accogliere  tutti gli strumenti giuridici innovatori, una nuova legislazione credibile,  un efficiente sistema di servizi e beni comuni gestiti virtuosamente in un corretto rapporto fra pubblico e privato, una progressiva conversione ecologica stesa sull’intero assetto sociale, un sistema di tutele di cittadinanza che non lasci indietro nessuno e garantisca la sicurezza di tutti,  per controllare ed invertire questa deriva verso la legge della giungla che stiamo vivendo. Il nostro paese ha bisogno di grandi e vere riforme sociali , ambientali, istituzionali perché quelle di cui si parla, con i loro camuffamenti mediatici, sono tutt’altro.

Apparentemente ogni paese ha la sua storia e diverse, a volte opposte, appaiono le forme e i soggetti del cambiamento. In particolare in Europa i movimenti politici più interessanti che si affacciano alla storia chiedendo riforme radicali del sistema ruotano attorno a tre grandi temi:

1)    l’opposizione al sistema inefficiente e spesso corrotto delle caste della politica che hanno occupato stabilmente tutti gli ambiti della società. 

2)    la palese disuguaglianza sociale che arriva a portare ai limiti della sopravvivenza aree consistenti di popolazione perfino in paesi considerati  ricchi e che comunque lascia indietro settori sociali che perdono progressivamente tutele.

3)     la preoccupazione e la critica per la distruzione degli equilibri ambientali i cui effetti si manifestano ormai in modo evidente sulla salute e sul mutamento del clima, che impongono una generale conversione ecologica dell’intero pianeta. 

Movimenti di sinistra  e di  ambientalisti, ma anche di destra,  possono dichiararsi sostenitori, in parte più o meno larga e più o meno convincente e sincera, di questi grandi temi con i loro numerosi corollari collegati che caratterizzano le società moderne. Ma il centro del problema è la capacità di coniugare e collegare insieme questi temi in un unico e coerente progetto politico e culturale che sia compreso e sostenuto da larghe maggioranze sociali che sono indifferenti  agli schemi delle ideologie del secolo scorso.  Se si ritiene improbabile riformare  l’attuale sistema dei partiti il cambiamento richiede un movimento di liberazione che assuma l’insieme delle contraddizioni indicate e su di esse proponga un progetto che possa interessare la maggioranza della società perché viene riconosciuto più idoneo del vecchio sistema sociale per tanti . Per questo non hanno futuro movimenti di destra per quanto, sui temi dell’immigrazione e della sicurezza,  possano allargare nell’immediato la propria presenza; ma sembra anche molto improbabile che si possa rifondare una sinistra dalle macerie di tutte quelle che hanno fallito; neppure l’ambientalismo politico nato con i verdi europei negli anni ’80 ha poi adeguato la propria consistenza culturale al tempo presente. 

Tutti i movimenti che emergono dalle crisi degli ultimi anni stanno combattendo per definire il proprio essere allontanandosi poco o tanto dagli schemi del passato, gli ultimi Syriza in Grecia e Podemos in Spagna; altri che non sono stati in grado di definire un progetto duraturo sono già finiti, come i Pirati in Germania o si sono alla lunga  ridimensionati come i Verdi , con l’esemplare crisi di  Europe Ecologie quando ha sanzionato la propria alleanza con i socialisti senza risultati percepibili,  in Francia. 

E’  significativo che in Italia un consenso elettorale rilevante, del tutto anomalo nel panorama generale,  vada al M5S che ha assunto anche in modo inconsapevole tutti e tre i temi indicati nella propria azione, in parallelo con il disintegrarsi di tutte le forme di opposizione politica che hanno avuto le loro radici nei decenni passati. Proprio l’assunzione di questo insieme di temi, in gran parte espressi per frammenti dai diversi movimenti sociali dell’ultimo decennio, e la sottrazione ai tentativi strumentali di classificarlo come di estrema destra o di estrema sinistra, pone il M5Stelle in una posizione privilegiata. Quella di movimento di cambiamento moderno,  e non riducibile dentro le nicchie della destra e della sinistra estrema del secolo scorso.
Il successo elettorale e lo spazio mediatico conquistato è tanto rilevante quanto fragile. Esposto a crisi repentine non avendo fino ad oggi definito nuovi criteri di funzionamento interno adeguati alle dimensioni raggiunte ed alle aspettative, forse eccessive, di chi lo sostiene e lo vota. 

Un percorso diverso, per certi versi opposto, è quello che impegna Podemos in Spagna, ben collegato a vari  movimenti sociali recenti, con i quali ha mostrato la capacità di allearsi, ma sempre a rischio di essere riclassificato nell’alveo della vecchia estrema sinistra dalla quale in parte proviene ed in parte si è culturalmente distinto.
In evidente difficoltà a ridisegnare una propria moderna connotazione sono invece i movimenti  politicamente organizzati che facevano riferimento all’ecologismo la cui impronta genetica si è formata in particolare con i Verdi  in Germania e nel centro nord europeo degli anni 80-90. La crisi definitiva, sanzionata dopo il triennio 2009-2011, ha portato al ridimensionamento, quasi alla loro scomparsa in diversi paesi, specie dove i sistemi elettorali sono costruiti apposta per rendere difficile l’emersione autonoma di nuovi movimenti e nuove culture. E questo malgrado la problematica ecologica mantenga una forte centralità sui destini del pianeta a tutte le latitudini e si concentri alla fine nella espansione della crisi climatica come terreno su cui si scontrano tutte le differenti tendenze dello sviluppo. 

Più ci si libera dei fantasmi del passato e ci si preoccupa del futuro di tutti,  costruendo alleanze e solidarietà diffuse invece di recinti invalicabili,  più si ha la possibilità di promuovere un cambiamento condiviso. L’elenco degli atti necessari è lunghissimo: basti pensare che oggi concetti come correttezza ed onestà, interesse pubblico, efficienza, rispetto delle regole sono in realtà quasi considerati eversivi. Oppure che l’intero sistema bancario e le regole della finanza su cui ruota il pianeta andrebbero capovolte riportandole a strutture  di servizio della collettività invece che di centri di potere impenetrabili. 

Se ci concentrassimo su questi temi apparentemente invalicabili e buttassimo via tutti i ruderi arrugginiti del passato con l’occhio invece alle generazioni future, tutto diventerebbe possibile.

gennaio 2016