il ministro Riccardo Fraccaro |
Andrea Pertici * Professore ordinario di diritto
costituzionale nell'Università di Pisa
Il ministro
Fraccaro rilancia le riforme costituzionali
con uno stile molto distante da quello con cui esse sono state affrontate nella
scorsa legislatura. Anzitutto gli intenti di riforma sono misurati. Non
intendono mettere a soqquadro l'intera seconda parte della Costituzione, ma
intervenire su alcuni punti specifici, che, se si è ben capito, riguardano il
numero dei parlamentari, il quorum di validità del referendum, le
proposte d'iniziativa popolare, il referendum propositivo, il Cnel e il
giudizio delle Camere sulle elezioni dei propri componenti.
Le proposte
di modifica sarebbero contenute in disegni di legge distinti, per non mettere
insieme questioni diverse e dare agli elettori, in caso di referendum,
la libertà di scegliere su ciascuna, votando anche in modo differente per le
diverse modifiche costituzionali. Si tratta di un approccio che condividiamo.
Anzi, che avevamo proposto più volte, durante la lunghissima discussione sulle
riforme costituzionali della scorsa legislatura.
Non a caso in un breve saggio
avevamo auspicato (capitolo 4) una diversa riforma costituzionale, rispetto a
quella propinataci dal governo Renzi, che fosse «leggera e condivisa»,
realizzata attraverso diverse proposte di legge d'iniziativa parlamentare.
Quest'ultima è molto importante, non perché il governo non possa presentare
proprie proposte di revisione costituzionale, ma perché – come dicevamo già
nello scritto citato – se la proposta proviene dal governo, spacca
immediatamente il Parlamento tra maggioranza e opposizione (come aveva capito
molto bene De Gasperi che infatti si astenne praticamente da qualunque
intervento).
La
presentazione della proposta di legge di revisione costituzionale da parte dei
gruppi parlamentari di maggioranza può attenuare questa contrapposizione, ma a
condizione che i proponenti si predispongano immediatamente ad ascoltare gli altri
e siano disponibili a lavorare con le opposizioni a modifiche del testo.
Certamente la puntualità degli interventi può rendere meno drammatica la
contrapposizione, ma la Costituzione rappresenta il perimetro del confronto
politico e quindi è decisamente auspicabile che esso sia disegnato con un
accordo almeno sulle linee fondamentali.
Naturalmente,
occorre che anche l'opposizione si predisponga favorevolmente al confronto,
evitando, per esempio, di fare la permalosa o la rancorosa perché le proprie
proposte di riforma sono finite male (bocciate dal 60% degli elettori sia
quella del governo Berlusconi che quella del governo Renzi).
Nel merito
non abbiamo ancora visto i testi, ma, da quanto anticipato, ci pare che la
riduzione del numero dei parlamentari sia piuttosto ragionevole. In un sistema
bicamerale, nel quale le Camere operano anche in seduta comune per lo
svolgimento di limitate, ma importanti, funzioni, deve evitarsi un'eccessiva
sproporzione tra le due assemblee come quella che disegnava invece l'ultima
riforma costituzionale.
La proposta
ora avanzata di 400 deputati e 200 senatori mantiene l'attuale proporzione. Nei
valori assoluti, che ritoccherei solo leggermente verso l'alto per esigenze di
rappresentanza, essa si avvicina a quella che avevamo formulato in una proposta presentata da Civati
circa un anno e mezzo fa. Da quella proposta, forse, almeno nell'ambito del
dibattito parlamentare, si potrebbe recuperare un secondo intervento: quello
per attribuire il voto anche per il Senato con il compimento della maggiore
età.
Se, infatti,
può avere un senso che i senatori abbiano un'età più elevata, non sembra averlo
la richiesta di un'età più elevata per i loro elettori. Per di più
l'equiparazione dei due elettorati ridurrebbe le possibili differenze nella
composizione delle due Camere, comunque assai limitate quando la legge
elettorale sia analoga, come hanno dimostrano le ultime elezioni.
Anche sugli
istituti di democrazia diretta, le proposte anticipate, in linea generale,
convincono. Il quorum previsto per consentire l'abrogazione delle leggi
tramite referendum fu introdotto alla Costituente tra molte discussioni
e perplessità. In ogni caso, al di là delle valutazioni di ragionevolezza
legate alla sua introduzione, occorre constatare come esso sia stato poi
sostanzialmente utilizzato dai contrari all'abrogazione per unire le loro forze
a quella degli astensionisti cronici.
Così,
soprattutto quando in Italia avevamo leggi elettorali con premio di
maggioranza, serviva il consenso di un minor numero di elettori per formare una
maggioranza parlamentare che votava un Governo e decine di leggi l'anno, che
per abrogarne una sola. Abbassare significativamente o eliminare il quorum
è quindi del tutto ragionevole e condivisibile (su questo la precedente riforma
costituzionale essendosi posta correttamente la questione, salvo differenziare
il quorum, in modo assai bizzarro, sulla base delle firme raccolte per la
proposta).
Anche su
questo, sempre con Civati, avevamo presentato un progetto di legge,
relativo anche alle proposte di legge d'iniziativa popolare, che – come ha
affermato più volte anche il ministro Fraccaro – non possono rimanere
abbandonate nei cassetti del Parlamento, ma devono essere discusse e votate
dalle Camere. Per questo – riprendendo Mortati – in assenza di una
deliberazione parlamentare entro un certo termine, la proposta presentata
dovrebbe essere sottoposta al voto popolare per l'approvazione con referendum.
Sarebbe una
garanzia efficace, molto distante dalla previsione dell'ultima riforma
costituzionale, che, cercava di garantire l'approvazione delle proposte del
governo, mentre si limitava a rinviare ai regolamenti parlamentari il compito
di garantire «tempi forme e limiti» per la discussione e deliberazione sulle
proposte d'iniziativa popolare. La votazione referendaria sulle proposte di
legge d'iniziativa popolare porterebbe in sostanza anche all'introduzione di un
referendum propositivo (da disciplinare poi con legge) che non sia –
come non deve essere – d'iniziativa governativa o comunque di maggioranza (con
il rischio di trasformarlo in un plebiscito), ma degli stessi cittadini.
Così sarebbe
rispettato il carattere bottom up che gli istituti di democrazia diretta
devono conservare per consentire quella reale partecipazione, il cui
potenziamento auspichiamo sin dal 2014.
Le altre
proposte per ora soltanto sommariamente descritte riguardano l'eliminazione del
Cnel, che, in effetti, anche dopo la scampata soppressione del 2016, non sembra
più trovare un suo spazio di reale operatività, e l'introduzione di un ricorso
alla Corte costituzionale avverso le decisioni assunte dalle Camere sulle
elezioni dei propri componenti. Quest'ultima proposta, ripresa dal sistema
tedesco, pare, in effetti, pure molto utile, arrivando almeno ad attenuare la
violazione del principio del nemo iudex in causa propria.
In sostanza,
le proposte avanzate sembrano utili e ragionevoli nel merito, ma soprattutto
sembrerebbe apprezzabile il metodo più volte indicato dal ministro, che ci
consentirebbe un'ampia discussione su questioni puntuali e una decisione serena
su ciascuna modifica.
Sul piano
istituzionale, tuttavia, come sosteniamo da tempo, non tutte le misure più
utili passano per la modifica della Costituzione, essendo necessari interventi
sulla legge elettorale, sulla legge sul referendum, sui regolamenti
parlamentari e per una legge sulla prevenzione dei conflitti d'interessi. Anche
su questo avevamo avanzato proposte ne La Costituzione spezzata. Anche e
soprattutto su questi aspetti si potrà misurare il cambiamento, che per ora
apprezziamo soprattutto nello stile.
* Professore ordinario di diritto
costituzionale nell'Università di Pisa
( nota mm : primo contributo pubblicato sul tema, che non comporta da parte mia la condivisione completa dell' intervento)
Nessun commento:
Posta un commento