Con la
vittoria di Jair Bolsonaro contro Fernando Haddad alle elezioni 2018 si apre la
strada per il ritorno dei militari al potere in Brasile. Il presidente ha vinto
in modo democratico e ora è pronto ad affidare ruoli chiave a componenti
dell'esercito. Che festeggiano per le strade. Mentre si registrano violenze
diffuse e la stampa teme per la libertà d'informazione
Verso le due
di notte di lunedì scorso le vie di Niteroi, una città fuori Rio de
Janeiro, sono state invase da camionette dell’esercito che sfilavano in
mezzo alla folla per festeggiare la vittoria del candidato di estrema
destra Jair Bolsonaro (Partito Social-Liberale) alla presidenza del Brasile.
La popolazione applaudiva, esultava il «ritorno dei militari». A San Paolo al
posto del carri armati c’era la polizia militare, che al suono delle
vuvuzele ha percorso l’avenida paulista, il cuore economico della città.
Bolsonaro,
che ha sempre difeso la tortura e ora minaccia di arrestare o esiliare
i suoi oppositori politici, ha ottenuto il 55,1% dei voti contro il 44,9%
dell’oppositore Fernando Haddad, il candidato del Partito dei
Lavoratori. La sua vittoria ha segnato il ritorno dell’esercito al potere
in Brasile. Questa volta, però, tornato attraverso le vie democratiche.
Oltre a
Bolsonaro, che è un capitano dell’esercito in pensione, e il suo vicepresidente,
il generale di riserva Hamilton Mourão (Partito del rinnovamento del
lavoro brasiliano), si prevede che dai tre ai cinque militari occuperanno i
ministeri. Fra loro spunta il nome di Augusto Heleno, generale di
riserva che nel 2004 ha comandato le truppe delle Nazioni Unite ad Haiti.
A lui è stato assegnato il ministero della Difesa. Heleno è il principale collegamento
tra Bolsonaro e l’esercito, è lui il responsabile per il coordinamento del
piano governativo del presidente eletto.
Nel Brasile post-elezioni i militari si preparano al
potere
Sulla scia
di Bolsonaro, 72 militari sono stati eletti e andranno a occupare le
poltrone di Camera e Senato. Questa è la prima volta dalla fine della dittatura
militare brasiliana (1964-1985) che tanti militari avranno posti di comando
nella Repubblica.
La loro
presenza nella politica brasiliana è stata fortemente voluta dall’attuale
presidente Michel Temer, che nel febbraio scorso aveva autorizzato l’intervento
federale delle forze armate a Rio de Janeiro per combattere
la criminalità organizzata. E se questo non bastasse, il 15 ottobre lo stesso
Temer ha firmato un decreto in cui autorizza la creazione di una
intelligence per affrontare la criminalità e il terrorismo con a capo le
forze armate e l’Agenzia di intelligence brasiliana, l’Abin.
I militari
hanno messo le mani anche sul sistema giudiziario. Dias Toffoli, presidente
della Corte Suprema, ha nominato come assessore speciale un generale
dell’esercito. Questa è la prima volta nella storia della Repubblica
brasiliana che un rappresentante delle forze armate entra in un ufficio così
importante della Corte Suprema. Toffoli definisce “movimento”, invece che
“colpo di stato”, l’ascesa dei militari al potere del 1964.
Con Jair Bolsonaro la situazione è «imprevedibile»
Nel suo
primo pronunciamento ufficiale, Bolsonaro ha seguito lo stesso tono adottato
durante la campagna elettorale: niente confronto con la stampa. Dalla sua casa
ha fatto una trasmissione in streaming attraverso Facebook. Con una mano sulla Bibbia e
l’altra sulla Costituzione, ha dichiarato che il suo governo sarebbe stato
un «difensore della Costituzione, della democrazia e della libertà». Per poi
finire con «abbiamo tutto ciò che serve per diventare una grande nazione» e «insieme
cambieremo il destino del Brasile».
Cosa
succederà a gennaio, quando Bolsonaro si insedierà a Brasilia con la sua giunta
militare? Sapranno stare al gioco democratico? «È imprevedibile», dice Angela
Alonso, presidente del Cebrap (Centro brasiliano per l’analisi e
pianificazione) e professore di sociologia all’Università di San Paolo in
un’intervista rilasciata al sito brasiliano Nexo.
«Avremo dei
governatori militari, un militare alla Presidenza della Repubblica, molto
probabilmente dei ministri militari, quindi, come queste persone, che sono
abituate a gestire un sistema di gerarchia e comando, reagiranno alle regole
del sistema democratico, che è un sistema che si basa sulla negoziazione, sulla
concessione? È imprevedibile. Osservo con grande preoccupazione».
Elezioni Brasile 2018: la mappa della violenza
politica
L’effetto
Bolsonaro ha scatenato un’ondata di violenza senza precedenti nelle
campagne politiche brasiliane. Dal 1° ottobre ci sono stati vari casi di aggressione
fisica, verbale e omicidi. Gli episodi di violenze sono stati effettuate da
entrambi i lati, ma il numero di quelli commessi dagli elettori di Bolsonaro
sono notevolmente superiori. Il sito d’informazione brasiliano Opera Mundi
ha creato una mappa interattiva dove sono segnalati i casi comprovati
di aggressione.
Il clima
di guerra
si vedi per le strade e nei campi. Anche prima che i risultati ufficiali delle
elezioni fossero annunciati domenica sera, gli
elettori di Bolsonaro “cullati” dalle sue frasi omofobe, razziste e misogine
– come «Preferisco che mio figlio muoia piuttosto che diventi un omosessuale»
– sono scese in campo per “cacciare” i loro nemici: le minoranze,
tanto disprezzate dal candidato di estrema destra.
Una scuola e
un centro di salute sono stati bruciati nella aldeia (villaggio indigeno) Bem Querer de Baixo, degli
indigeni Pankararu, nel comune di Jatobá, in Pernambuco.
Atti di
violenza a Jatobá, Pernanbuco, Brasile.
La riserva
indigena dei Guarani-Kaiowá nel Mato Grosso è stata attaccata da circa
15 persone armate e una donna è stata picchiata dalla polizia a
Salvador di Bahia mentre protestava contro la vittoria del candidato di estrema
destra.
E a
proposito di polizia, quella brasiliana è una delle più violente al mondo. Nel
2017 oltre 5.000 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza del
paese – una media di quasi 14 morti al giorno. Uno scenario che potrebbe
peggiorare se Bolsonaro dovesse mettere in pratica una delle sue promesse
elettorali, cioè quella di evitare che gli agenti siano indagati e
incolpati per gli omicidi commessi durante le operazioni.
Con Bolsonaro presidente si teme per libertà di stampa
A
preoccupare c’è anche la persecuzione contro i giornalisti.
L’Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji), ha documentato 141 casi di minacce e violenze
contro i giornalisti che coprivano le elezioni. La maggior parte di questi
è attribuita ai sostenitori di Bolsonaro, mentre il resto è a quelli del
Partito dei lavoratori. Patricia Campos Mello, inviato speciale per il
giornale Folha de São Paulo, ha ricevuto una raffica di minacce online,
due telefonate minatorie e ha avuto il suo account su WhatsApp violato.
È lei che
firma il pezzo sulla presunta campagna pagata da imprenditori favorevoli
a Bolsonaro per disseminare fake news milioni di brasiliani tramite
whatsapp. Anche il giornale stesso è stato vittima di un attacco
“sistematico” a uno dei loro numeri di Whatsapp: i sostenitori di Bolsonaro
hanno inviato 220.000 messaggi in quattro giorni. Il quotidiano ha
chiesto protezione alla giustizia e un’indagine per determinare le
responsabilità di ciò che considera «indicazioni di un’azione orchestrata con
un tentativo di limitare la libertà di
stampa».
L’addetto di Bolsonaro: «Giornalisti, siete immondizia!»
Dopo la
conferma dei risultati delle elezioni, Carlos Eduardo Guimarães, addetto
stampa di Bolsonaro, ha scritto a decine di giornalisti via WhatsApp: «Caspita,
non era un pareggio? Voi siete la menzogna del giornalismo brasiliano. Siete
immondizia!».
La Federazione
nazionale dei giornalisti, il più importante rappresentante della categoria
in Brasile, ha emesso una nota in cui esprime preoccupazione per il futuro
della nazione brasiliana.
«Sebbene
Bolsonaro si sia impegnato a rispettare la Costituzione brasiliana, le sue idee
autoritarie, come la difesa della dittatura militare, e persino criminali, come
le scuse per torturare, sono pubblicamente note. Resta da vedere come si
comporterà da ora in poi e se si sottometterà a regole democratiche, compreso
il rispetto per le libertà di espressione e di stampa».
* Giornalista brasiliana. Da 18 anni lavora come reporter e da 11
vive in Italia. Collabora con diverse testate brasiliane e italiane.
da www.osservatoriodiritti.it - 31 ottobre 2018
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