Africa. Dopo il Mali, un altro paese saheliano guarda a Mosca. Attacchi jihadisti contro soldati e civili, fuori controllo il 40% del territorio
di Stefano Mauro *
Il ministero degli Affari esteri francese ha annunciato questo giovedì il richiamo del suo ambasciatore, Luc Hallade, dal Burkina Faso «per consultazioni», il giorno dopo l’annuncio ufficiale della partenza dal paese dei 400 militari delle forze speciali francesi «entro un mese». Il rientro di Hallade coincide con la richiesta «di una sua sostituzione» fatta dal governo burkinabé lo scorso dicembre, dopo che il diplomatico aveva pubblicamente denunciato il «deterioramento della situazione della sicurezza nel paese, in preda alla violenza jihadista».
DI FRONTE AL DEGRADO delle relazioni franco-burkinabé e al crescente sentimento antifrancese in tutto il paese, negli ultimi mesi la diplomazia di Parigi è diventata più «conciliante», nel tentativo di riallacciare i rapporti con un partner considerato «fondamentale». Come risposta Ouagadougou ha deciso di «revocare l’accordo del 2018 relativo allo status delle forze francesi presenti nel paese», chiedendo il ritiro dei 400 militari della missione Sabre, di stanza nella base di Kamboinsin a nord della capitale.
Parigi ha indicato che il ritiro avverrà «entro la fine di febbraio» e ha confermato che i militari saranno trasferiti nel vicino Niger – dove sono presenti già 2mila soldati -, ultimo paese ad appoggiare la presenza militare francese nel Sahel.
Secondo numerosi analisti il ritiro dal Burkina Faso sarebbe l’ennesima conferma della diminuzione della sfera di influenza francese dal continente africano. «È un déjà vu di quello a cui stiamo assistendo in questi anni a partire dalla Repubblica Centrafricana fino al Mali – ha indicato in una recente intervista Seidik Abba, giornalista esperto di Sahel – si parte prima dal risentimento coloniale nei confronti di militari che non hanno protetto la popolazione civile nella lotta al jihadismo, per arrivare poi alla strategia di Mosca di presentarsi come paese affidabile con il quale firmare accordi di collaborazione».
DAL SUO INSEDIAMENTO come presidente ad interim, il capitano Ibrahim Traoré aveva annunciato la volontà di «diversificare i partner nella lotta antijihadista», da tempo portata avanti con l’aiuto della sola Francia, rivendicando la piena «sovranità del suo paese». Una «indipendenza decisionale» che ha portato a un riavvicinamento con la Russia, dopo la visita di dicembre a Mosca del primo ministro burkinabé, Apollinaire Kyélem de Tambela, per «nuovi accordi militari e la fornitura di armi da parte del governo di Mosca», con un possibile accordo riguardo alla «collaborazione con il gruppo di mercenari Wagner», secondo alcuni paesi occidentali.
Nonostante i recenti accordi con la Federazione russa e l’arruolamento di oltre 50mila Volontari delle forze di difesa (Vdf), la situazione nel paese resta difficile con oltre il 40% del territorio nazionale al di fuori dal controllo del governo centrale e alcune aree del nord, vicino alla città di Djibo, assediate dai miliziani jihadisti e isolate dal resto del paese.
SONO ALMENO 15 I MILITARI morti tra giovedì e venerdì dopo una serie di attacchi nella regione centrale di Sanguié. Vittime che si aggiungono ai 30 morti della settimana scorsa nelle vicine regioni di Bam e Nayala (nord) con un’escalation, nel solo mese di gennaio, di oltre 100 attacchi contro villaggi e basi militari compiuti dal Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), ramo saheliano di Al-Qaeda, e dallo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs).
nella foto: manifestazione anti-francese e filo-russa a Ouagadougou – Ap
da il manifesto 29 gennaio 2023
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