di Renzo Rosso *
Sappiamo che il metano (CH4)
è un gas serra molto più attivo dell’anidride carbonica, come si legge perfino
nel primo capitolo di un testo elementare pubblicato esattamente 30 anni fa in
tema di effetto serra. Si sa da sempre che il metano è molesto:
ogni molecola di CH4 intrappola il calore terrestre 28 volte meglio di una
molecola di CO2. Sul lungo periodo, il CH4 è perfino assai più attivo: 34 volte
più efficace su un orizzonte centennale. La presenza del metano in atmosfera
può anche influenzare altri gas serra, come l’ozono, il vapore acqueo e la
stessa anidride carbonica.
Mentre le
concentrazioni di metano nell’aria sono circa 200 volte inferiori a
quelle dell’anidride carbonica, al metano viene imputato almeno un terzo del
riscaldamento globale di origine antropica dall’inizio della rivoluzione
industriale. Anche se si tratta di una sostanza presente in natura, oltre la
metà del metano atmosferico è dovuto ad attività umane. Solo per i due quinti
ha origini naturali, prodotto soprattutto dalle zone umide e dagli incendi;
mentre i tre quinti sono di origine antropica. E, negli ultimi due
secoli, le concentrazioni di metano nell’aria sono più che raddoppiate.
Il rapporto del
Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Ipcc) pubblicato nel 2014
attribuiva più del 70 percento delle emissioni antropogeniche alle città.
Poiché le città di tutto il mondo continuano a crescere, gli abitanti delle
città venivano ritenuti i maggiori e crescenti responsabili delle
emissioni. Per mitigare il cambiamento climatico, scienziati e politici
ritenevano indispensabile stimare le emissioni urbane con maggiore precisione,
individuare le loro fonti in modo affidabile e agire di conseguenza. Si è
scoperto dopo che, almeno nell’Unione Europea, la metà delle emissioni di
metano è legata all’agricoltura.
In realtà, la
responsabilità dell’industria estrattiva è stata a lungo
sottovalutata e, forse, sottostimata. Un
nuovo studio, pubblicato di recente su Nature, rivela che
l’estrazione e la successiva lavorazione dei combustibili fossili emettono
molto più metano di quanto si credesse, almeno negli Stati Uniti. Lo studio ha
tracciato le emissioni di metano da giacimenti di petrolio e gas, gasdotti e
impianti di trattamento in sei regioni di produzione dei combustibili fossili
negli Stati Uniti. Questi risultati si aggiungono al numero
crescente di verifiche che indicano le emissioni di metano molto maggiori di
quanto creduto.
Sia attraverso misure
da remoto, sia tramite stime locali per le fonti troppo piccole da essere
rilevabili dall’alto, lo studio rivela che le aree esaminate emettono circa 6,2
milioni di tonnellate di metano all’anno, pari al tre percento della produzione
totale di combustibili fossili in quei siti. Tutto ciò comporta circa un
miliardo di dollari in perdite per le industrie della filiera dei
combustibili fossili, che hanno finanziato la ricerca. E vale una gran bella
fetta delle emissioni totali di metano degli Stati Uniti.
Le fonti di emissione
sono molteplici e variegate. Innanzitutto, ci sono le torce di combustione dei
campi petroliferi, che hanno lo scopo di bruciare il gas in eccesso e ridurre
gli inquinanti contenuti nel gas stesso, ma permettono invece una abbondante fuoriuscita di
gas incombusti. Ma tutta la filiera di approvvigionamento fa acqua (anzi, gas)
da tutte le parti, dalle valvole di rilascio della pressione nei pozzi alle
infrastrutture intermedie. Più della metà delle perdite è dovuta alle centrali
di compressione, agli impianti di trattamento del gas e ai gasdotti. Rimediarvi
sarà parecchio complesso e costoso.
La riduzione di queste
emissioni è l’obiettivo del Global Methane Pledge, firmato da più di 150
paesi che hanno accettato di ridurre le emissioni di metano del 30 percento
entro il 2030. Tra i campioni di questo sforzo ci sono proprio gli Stati
Uniti che, con le nuove norme in vigore dal prossimo maggio, mirano a
tagliare 58 milioni di tonnellate di emissioni di metano nei prossimi 15 anni.
È un obiettivo assai arduo da raggiungere se, come rivelano
questi studi, l’industria nazionale del petrolio e del gas emette tre volte più
metano di quanto oggi stimato ufficialmente. E il costo delle perdite di gas
sale a 9,3 miliardi di dollari all’anno se si considerano gli effetti sul
riscaldamento globale e la qualità dell’aria.
Se l’entità delle
perdite industriali registrata negli Stati Uniti fosse trasferibile a livello
mondiale, come peraltro verosimile, l’attuale quadro sulle fonti di emissione
del metano andrebbe rivisto. Nel 2023, la domanda petrolifera
globale ha proseguito nel suo trend di crescita arrivando a toccare i 102
milioni di barili al giorno, con un aumento del 2 e mezzo per cento rispetto
all’anno precedente. È uno degli aumenti più elevati degli ultimi 50 anni. E
nel 2023 l’industria petrolifera degli Stati Uniti ha battuto ogni
record produttivo grazie al fracking e
alle piattaforme off-shore (vedi figura 1).
* docente di
Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano
da il fattoquotidiano.it
- 16 aprile 2024
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