di Toni
De Marchi *
Letta non ha detto una parola. Sulle linee guida della legge di
stabilità distribuite dopo il Consiglio dei ministri di ieri sera
non se ne trova traccia. Sui giornali idem. Insomma, i 5 miliardi di euro
per nuove navi militari non si vedono praticamente da nessuna parte.
Eppure nella legge di stabilità ci sono, eccome se ci sono. Per l’esattezza 5,1
miliardi pudicamente inseriti non tra le spese militari ma tra i
sostegni ai cantieri navali. Sia mai che un Paese che fa solo rilassate
missioni di pace in Afghanistan, Iraq e altrove e che fa solo pacifiche basi
militari a Gibuti, pensi ad armarsi.
Questo il
testo originale: “Al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità
nel settore marittimo a tutela degli interessi della sicurezza nazionale anche
nel contesto degli impegni assunti dall’Italia in ambito internazionale, nonché
per favorire il consolidamento strategico della base dell’industria nazionale
navalmeccanica e cantieristica ad alta tecnologia”. Questa la traduzione
per i più sempliciotti tra di noi: “Per aumentare le capacità militari della
Marina Militare italiana e per assecondare gli ordini degli americani e della
Nato, nonché per militarizzare completamente i cantieri navali italiani tanto
delle costruzioni mercantili non ci interessa perché sono robetta per i
sottosviluppati”, eccetera.
Aspetta, non
è finito. Perché il post-democristiano Letta non scrive “stanziamo 5,1 miliardi
in tot anni” ma “è autorizzata la concessione di tre contributi
quindicennali di 80 milioni di euro a decorrere dall’anno 2014, di
120 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015 e di 140 milioni di euro a
decorrere dall’anno 2016”. Ovviamente “contributo” fa meno impressione di
“spesa” in un bilancio che, per il resto, taglia dappertutto: pensioni,
contratti, assistenza sanitaria. Per il vocabolario Treccani contributo
è “quello che si dà, quale propria personale offerta, per il raggiungimento di
un fine al quale collaborano più persone”, oppure “contribuzione dello stato o
di altri enti pubblici a favore di opere di bonifica, di industrie”. Ma
contributi alle Forze armate è difficile da spiegare almeno dal punto di vista
terminologico e del senso comune. E ovviamente dire “tre contributi” di 80, 120
e 140 milioni fa molto, ma molto, ma molto (tre volte molto) meno impressione
che scrivere “340 milioni l’anno per 15 anni”. Solo per raffronto e per
evitare che i soliti pacifisti ci speculino indegnamente sopra, nella medesima
legge il fondo nazionale per l’autosufficienza, compresa l’assistenza ai malati
di SLA, prevede per il 2014 la bellezza di 280 milioni. Mica 80, 90 e 110
milioni. No 280 milioni tutti tondi e interi. Vuoi mettere.
Ma è in
questo sottile calembour semantico che sta l’altro imbroglio. Questi
soldi non appariranno mai, jamais, never, nie nel bilancio della
Difesa. Né oggi né nei prossimi quindici anni. Perché andranno dritti al Ministero
per lo Sviluppo economico il quale li girerà immantinente al Ministero
della Difesa il quale li userà senza perdere un attimo per pagarsi delle belle
navi nuove di zecca.
E sapete
quali navi ci compreremo? Il mix definitivo non lo sappiamo (d’altronde,
sono contributi, mica spese), ma accetto scommesse sul fatto che la maggior
parte di queste non-spese militari serviranno a comperare un po’ di
unità di quella che viene già denominata la “classe De Giorgi”, dal nome
dell’attuale Capo di Stato maggiore della Marina. Il signor De Giorgi le illustrò alle commissioni difesa
qualche mese fa quando chiese un decina di miliardi per impedire, parole sue,
“che la Marina muoia”. Sono navi pudicamente descritte come
“pattugliatori d’altura”. Oggi i pattugliatori dislocano (pesano per l’incolto)
al massimo 1500 tonnellate. I “De Giorgi” sono tra le 3500 e le 4000
tonnellate. Una fregata classe “Maestrale”, che oggi costituisce la linea
principale della Marina, disloca 2500 tonnellate. Altro che pattugliatori. Sono
delle belle e grandi navi da guerra a tutti gli effetti. Poi De
Giorgi può dire che ci fanno il soccorso in mare e la protezione civile e
magari anche la “Barcolana”, ma credo che gli venga da ridere anche a lui
quando lo racconta.
Comunque
questo ammiraglio deve avere delle insospettate capacità divinatorie. Dieci giorni fa, a La Spezia, aveva
detto. “Basterebbe accendere tre mutui in tre anni, di 80, 120 e 140
milioni, per avviare un programma di costruzione di otto navi. Sono
cifre alla portata del Governo, che permetterebbero anche di avviare un indotto
importante e di dare una mano all’Ilva. Altrimenti, nel 2025 non
saremo più una forza operative” (sicuro, c’è anche l’Ilva da salvare con questi
soldi, forse Letta avrebbe dovuto essere più accorto nella stesura
dell’articolato). L’ammiraglio ordina, il Governo esegue. Tutto come scritto
nero su bianco nella Costituzione.
* da ilfattoquotidiano.it , 16 ottobre 2013
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