Era un pecorino
a chilometro zero, di quelli che lo vai a prendere dal pastore per fare un
bel regalo.
Era
buonissimo. Un gusto favoloso. Un po’ pesantuccio: 48,5% di grasso. Ma
aveva un altro problema ben più preoccupante: conteneva diossine e PCB
sopra i limiti di legge. Tre volte sopra. Sul web trovate i certificati di prova di cinque anni fa e le spiegazioni che
realizzammo allora per spiegare cosa è la diossina.
Quello che
vedete in foto è il pecorino da cui è nata l’inchiesta che oggi ha portato Nichi
Vendola alla ribalta nazionale. Il pecorino della foto è stato
prodotto con il latte delle pecore che hanno pascolato attorno all’Ilva. Il pastore
che ce lo ha dato è morto di cancro al cervello. Subito dopo
la foto, portai le analisi in procura assieme al mio amico Piero, ex operaio
dell’Ilva che si era procurato il formaggio alla diossina. Era il 27 febbraio
2008.
Così cominciò tutto.
Qualche
settimana dopo venne dato ordine di setacciare le masserie attorno all’area
industriale e di controllare latte e carne. Nel giro di pochissimo a Taranto
anche i bambini e gli anziani avevano imparato quella parola: diossina.
Se valori di
quel pecorino erano di quasi 20 picogrammi per grammo di materia grassa, nella
carne delle pecore e della capre fu rinvenuta una quantità anche dieci volte
superiore: 200 picogrammi. Un disastro che nessuno aveva ipotizzato fino ad
allora e che veniva alla luce grazie all’esposto in Procura di PeaceLink.
Pochi giorni prima era già scoppiato in Campania lo scandalo della mozzarella
di bufala alla diossina.
Nichi Vendola minimizzò subito l’allarme sul pecorino tarantino alla
diossina e disse: “Non siamo in provincia di Caserta, abbiamo
disposto il fermo sanitario solo per un’azienda zootecnica di Statte. La
produzione di latte e derivati nelle aziende del tarantino è assolutamente
normale per i dati da inquinamento da diossina”.
Si parlò di
“psicosi diossina”. Adesso Vendola dovrà spiegare molte cose. La situazione a
Taranto non era “assolutamente normale” come sosteneva il
Presidente della Regione. Era anzi così anomala che diverse masserie furono
fermate e per un raggio di venti chilometri attorno al polo
industriale venne vietato il pascolo libero su aree incolte: troppa
diossina nel terreno. Lì dove c’era una antica civiltà contadina ricca di
risorse ora c’è l’abbandono e la distruzione mortale della diossina, uno dei
più pericolosi cancerogeni in assoluto che si accumula e persiste per
decenni. Un agente genotossico che può modificare il Dna che i genitori
trasferiscono ai figli. A Taranto abbiamo un chilometro zero malconcio ma
una giustizia a chilometro zero sanissima, tanto che con
diversi decreti l’hanno voluta azzoppare.
Nel frattempo
la magistratura ha fatto quello che una buona amministrazione avrebbe dovuto
fare da tempo: verificare lo stato di salute della popolazione. Nella perizia epidemiologica è
stato appurato che fino al 2010 sono morte almeno 30 persone all’anno per
inquinamento industriale, compiendo calcoli conservativi depurati da
effetti confondenti.
A Taranto si
vive nell’attesa irreale del futuro. Attesa di improbabili buone notizie
ambientali mentre piovono gli avvisi di garanzia. Ammettiamo che l’inquinamento
industriale sia sceso del 90%: possiamo accettare che invece di 30 persone ne
muoiano 3 all’anno?
* da ilfattoquotidiano.it, 30
ottobre
2013 Commenti (17)
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