Oltre agli
stipendi che gli sarebbero spettati fino a fine mandato, il manager riceverà
2,9 milioni per un accordo di non concorrenza di 12 mesi
L’uscita di
Franco Bernabè da Telecom Italia che, come previsto, si è consumata
nel pomeriggio di giovedì 2 ottobre, costerà all’azienda 6,6 milioni di euro.
E’ quanto si è affrettato a comunicare lo stesso gruppo telefonico che ha
temporaneamente affidato le deleghe del dimissionario all’amministratore
delegato Marco Patuano, mentre la presidenza del cda e la rappresentanza
legale restano in capo al vicepresidente Aldo Minucci in attesa dei
risultati della ricerca del nuovo presidente della società che è stata
ufficialmente avviata.
In
dettaglio, Bernabè riceverà gli emolumenti che gli sarebbero spettati fino alla
scadenza naturale del mandato (compenso fisso, variabile, benefit e altri
compensi a equilibrio degli oneri fiscali applicabili ai benefit tassati) “per
un onere complessivo a carico della Società di circa 3,7 milioni di euro”. Il
consiglio di amministrazione, “in linea con la possibilità prevista dal
contratto in essere, ha inoltre deliberato la stipula di un accordo di non
concorrenza di durata pari a 12 mesi, con un onere per l’Azienda di circa 2,9
milioni di euro“.
“Voi tutti sapete
che non mi sono mai tirato indietro di fronte all’inevitabilità di un confronto
anche aspro, nemmeno quando le probabilità di successo erano limitate – ha
scritto Bernabè ai dipendenti – ma in questa fase critica per il futuro di
Telecom una spaccatura in seno al cda sulla strada da intraprendere avrebbe
determinato una paralisi”. Il manager spingeva sulla strada dell’aumento di
capitale fino a 5 miliardi di euro (riservato a un nuovo socio o aperto al
mercato) ma non ha trovato il supporto dell’azionista Telco è “per questo ho
deciso di fare un passo indietro”. Bernabè è quindi andato in consiglio per
l’ultima volta e, sono le sue parole, ha “rappresentato la necessità di dotare
la società dei mezzi finanziari necessari a sostenere una strategia di rilancio”.
Sul nome del
sostituto, intanto, si sprecano le indiscrezioni: a quello del numero uno delle
Poste, Massimo Sarmi, nelle ultime ore si è aggiunto Vito Gamberale.
Una scelta, quest’ultima, che porterebbe nel cuore della rete Telecom l’attuale
guida del braccio operativo della Cassa Depositi e Prestiti, il fondo
F2i molto attivo sulle infrastrutture incluse quelle telefoniche via Metroweb.
Senza contare che l’ex manager di Autostrade ha nel curriculum dei trascorsi
anche in Telecom. Più precisamente nella Stet dov’era approdato nel 1991
all’uscita da Eni e dove, nel 1995, in veste di amministratore delegato della Sip,
aveva creato Telecom Italia Mobile. Una posizione che però gli portò
molti guai. Risale infatti a quegli anni il suo arresto per abuso d’ufficio e
concussione, accuse dalle quali viene però assolto con formula piena.
“Bernabè ha
fatto ultimamente una proposta molto comprensibile: l’azienda ha bisogno di un
aumento di capitale, logicamente è così”, aveva commentato in giornata il
presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini. Quanto
alla possibilità che la Cassa entri direttamente nel capitale del gruppo
telefonico, proposta avanzata da più parti, Bassanini aveva ribadito che la
missione di Cdp “è quella di finanziare le infrastrutture” e non quella di
“ridurre l’indebitamento di società che hanno un problema di
ricapitalizzazione”.
Linea
analoga per Gamberale che, parlando in Senato nel corso di un’audizione, nelle
scorse settimane aveva bollato lo scorporo della rete di Telecom come
“un’operazione finanziaria contingente, finalizzata a ridurre il debito
in capo alla società, piuttosto che un intervento pensato con una chiara logica
industriale, atto a promuovere quegli investimenti sulla rete di nuova
generazione ormai da anni rimandati”. Il manager quindi aveva ipotizzato una
possibilità da parte della Cdp a investire nella società.
Secondo Gaetano
Miccichè, consigliere di Telecom in quota Intesa SanPaolo, in ogni
caso, “l’azienda ha un forte potenziale e ci sono i presupposti per il rilancio
e confido che il management attuale sia in grado di svilupparlo”. Proprio dalle
banche che stanno lasciando il controllo di Telecom a Telefonica, arriva
intanto il sostituto dell’indagato Elio Catania nel consiglio del gruppo. Si
tratta di Angelo Provasoli che le stesse banche azioniste di Telecom
(oltre a Intesa, Mediobanca) hanno scelto un anno e mezzo fa come
presidente dell’editrice del Corriere della Sera, Rcs.
L’immediato futuro
prevede per venerdì 4 un incontro tra l’ad Patuano e i sindacati, già scesi sul
piede di guerra con posizioni contrarie, oltre che ai licenziamenti, allo
spezzatino e allo scorporo della rete, mentre spingono per la
ricapitalizzazione dell’azienda. Il tema della rete, in ogni caso, con la crisi
di governo è finito per qualche giorno nel limbo come ha sottolineato il
presidente dell’Agcom, Angelo Cardani, che ha parlato di “una cappa misteriosa,
per cui non se ne parla più”.
Ne parla,
invece, Corrado Passera, che dalle colonne di Panorama rivendica:
“Quando ero in Banca Intesa ho investito in Telecom e in Alitalia e lo rifarei.
E non mi piace vedere la rete di Telecom in mani spagnole o un’Alitalia
svenduta a Air France a due soldi”. Secondo l’ex banchiere che è stato
tra gli autori dell’operazione Alitalia-capitani coraggiosi, ma anche
del salatissimo subentro delle banche e degli spagnoli alla Pirelli di Tronchetti
Provera in testa a Telecom le infrastrutture strategiche “come la rete
delle telecomunicazioni, devono essere separate dagli utilizzatori. Cosa che
non si sta facendo nella svendita agli spagnoli”. A suo giudizio, in vista
della salita di Telefonica in Telco, la ‘cassafortè di Telecom Italia, “bisogna
riprendere la trattativa” con Cdp sulla rete. La Cassa “potrebbe coinvolgere
altri investitori che condividano il progetto di assicurare all’Italia una rete
competitiva”.
articoli sullo stesso argomento:
* da ilfattoquotidiano.it
, 3ottobre 2013
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