A volte i dettagli spiegano più dei
grandi ragionamenti ed a volerli leggere al di là delle apparenze, in questa
campagna elettorale possono aiutarci a
comprendere più di quanto sembra.
Dal piccolo al grande
Cominciano
ad apparire in tutte le città d’Italia i manifesti elettorali.
Nella
fase nascente della Repubblica erano prevalentemente scritti, brevi compendi di
programmi politici; scritti con caratteri grandi, leggibili, un po’ come i
proclami ottocenteschi del Governatore del Lombardo-Veneto. Il popolo che si fa
governatore, una forma di espressione che i partiti di massa mutuavano dal
potere ottocentesco che andavano a sostituire.
I manifesti erano spesso
accompagnati da vignette, spesso un po’ dilettantesche, che però sintetizzavano
punti di vista netti. ( I cosacchi al Tevere, Garibaldi con il Fronte Popolare,
lo Scudo crociato che difende, etc.). In ognuno il simbolo del partito. Che
fosse la falce e martello, la fiamma tricolore o lo scudo democristiano erano
una firma, quasi un messaggio subliminale dove il pubblico associava lo scritto
o la vignetta ad una parte politica specifica. Si badi bene: quel simbolo aveva
un grosso valore in quanto a sua volta, sintetizzava un pezzo della storia
italiana, un pezzo di storia che era stata vissuta nella guerra, nella
partecipazione alla resistenza, come nella repressione della stessa,
nell’appartenenza ad un movimento cattolico o ad altro.
Passati
alcuni decenni le scritte si sono ristrette
allo slogan, i simboli sono diventati più grandi. Lo slogan è ancora una
sintesi di qualcosa, forse una sintesi di una sintesi, certo è che i partiti
hanno cominciato a perdere la capacità di parlare al pubblico. Mentre i simboli
sempre più grandi erano un disperato appello, non alla ragione, ma
all’appartenenza.
Infine
hanno cominciato a comparire i volti. All’inizio timidamente, tipo le foto
formato tessera di tutti i candidati ad un consiglio comunale, poi, piano piano
le foto si sono fatte più grandi, più grandi dei simboli, sempre meno
collegiali e sempre più individuali fino a quei manifesti trionfali alla
Berlusconi tipo “il presidente operaio” in formato anche 6 metri per 4; non più solo affissi
negli spazi elettorali, ma in quelli pubblicitari e fino sui ponteggi degli
edifici in costruzione.
Si
è trattato di una evoluzione lenta, ma inesorabile, che ha visto il tramonto del messaggio politico e
l’ascesa della commercializzazione del protagonista, dell’attore che bisogna
vendere sul mercato.
I
simboli sono rimasti ed abbastanza grandi, ma non perché riassumano alcunché,
piuttosto per vendere anche quelli. Infatti dal momento che si disintegrano le
vecchie tradizioni politiche i simboli di oggi non hanno più una storia, cambiano
in continuo, non simboleggiano un’appartenenza, ma si riducono a contingente
segnale di un’aggregazione di personalità a volte con clientela al seguito, più
spesso personali: il partito con un
padre-padrone. Il partito di un leader non il leader di un partito.
Quasi
ad ogni elezione politica i simboli cambiano anche perché cambiano le
contingenti aggregazioni ed un nuovo brand deve essere conosciuto se si vuole
che l’elettore si ricordi dove mettere la croce. A questi cambiamenti
nell’apparenza fenomenologica ha corrisposto un cambiamento più profondo.
Per esempio alle regionali
(dove si può ancora esprimere la
preferenza)
Una
volta era il partito ad organizzare il grosso della campagna elettorale, era un
gruppo coeso con sue regole e dinamiche, adesso è il singolo che, una volta
ottenuto il brand nazionale si fa la sua personale campagna. Una volta era il
partito che pagava (quasi tutto) oggi è il singolo che si paga la campagna o fornisce
una grossa integrazione. In alcuni casi emerge che per candidarsi deve pagare.
Questo
fatto non ha conseguenze da poco. Ad esempio per ciascuno il costo della
campagna deve essere coerente con quanto pensa poi di incassare durante il
mandato. Non si può pensare di spendere 300.000 euro per la campagna e poi
incassare solo 400.000 euro di indennità nel corso del mandato. Non vale la
pena. E se poi uno non è eletto, ha speso i soldi per niente. A volte si pensa
che questi della casta siano un po’ troppo avidi, ma hanno le loro ragioni.
Un altro
modo è farsi dare dei soldi da altri. Se va, va, se non va, non ci ho rimesso
niente. Va da se che se va bisognerà pure porgere una contropartita
equivalente, durante il mandato, a chi ci ha sponsorizzato. Quindi l’eletto
deve guadagnarci ma anche far guadagnare
qualcosa ad altri.
E’
poi chiaro che l’eletto che ha fatto tutto da solo si sente un po’ un self made man, uno che sa impegnarsi,
che non l’ha aiutato nessuno, è molto autonomo, sa che la sua carriera dipende
solo da se stesso, dalla sua intraprendenza e non da altro. In altre parole non si sente espressione di un gruppo o di
un progetto condiviso. Anche perché in genere a destra al centro a sinistra
non c’è nessun vero progetto. C’è una feroce contesa durante la campagna
elettorale per occupare uno spazio, lo
stesso spazio in genere..
Ecco
anche come nasce quella figura molto diffusa nella politica italiana che è il
parlamentare free lance. Sono
centinaia in questi anni che, simulando (ma neanche tanto) crisi ideologiche,
passano da un partito all’altro con la disinvoltura di un libero professionista
che si dispone dove il mercato tira di più. Nella precedente legislatura, alla
regione Sicilia, su 80 deputati regionali 32 hanno cambiato partito (e qualcuno
anche più di una volta). Nel Parlamento in scadenza più di 130 su un migliaio
hanno cambiato casacca ( in tutte le direzioni sia chiaro.. ).
Ecco
quindi perchè cambiano le forme della pubblicità, perché non è più propaganda
politica, ma è pubblicità per vendere un prodotto, per convincere che è meglio
questo. I manifesti si fanno sempre più raffinati, accattivanti, suggeriscono,
ma in realtà non dicono niente del prodotto. Come uno spot pubblicitario in
televisione, che adesso è la preferita. Il protagonista paga e vuole
dall’agenzia pubblicitaria che gli cura il pacchetto completo il massimo, come
una primadonna della lirica. Molti candidati vanno a Milano presso celebri
studi di fotografi a farsi fare degli album fra cui scegliere gli scatti più
adatti alla loro pubblicità ( un po’ come le più celebri modelle di Dolce &
Gabbana). Una manna per i pubblicitari. Ci vorrebbe un’elezione politica tutti
gli anni.
Quindi
nel manifesto troneggia la foto del modello, c’è, ci deve essere, un simbolo (è
un fatto tecnico, se no l’elettore dovrebbe leggersi i nomi di tutti i
candidati del collegio per capire dove mettere la croce), ma non basta. Ci
vuole il nome (fondamentale) e un motto (che dovrebbe rimanere impresso).
Una
volta c’era Cynar, contro il logorio della vita moderna, oggi i ritmi sono più
intensi, il motto deve essere stringato, essenziale, ma evocativo.
Questi
sono i primi scampoli della campagna imminente (e chissà che sorprese ci farà
Silvio):
LA
LOMBARDIA IN TESTA. Ambiguo: la Lombardia è prima nella gara ciclistica o io ho
l’idea fissa della Lombardia? In fondo va bene per tutte e due.
UNA
REGIONE COME TE. Questo ha il merito di poter essere riciclato all’infinito.
IO
CI SONO. Un candidato del centrodestra (Fratelli d’Italia) che ha nostalgia del
molto più esplicito PRESENTE! di mussoliniana memoria.
UNA
BUONA REGIONE. Anche questo riciclabile per qualunque schieramento e qualunque
regione. Gioca sull’ambiguità ragione e regione. Vagamente dannunziano. Lascia
in sospeso il lettore nell’interpretazione. Un po’ come PER NON DORMIRE o IO HO
QUEL CHE HO DONATO del Vate di Gardone. (gran pubblicitario, il D’Annunzio).
FORTI
PERCHE’ LIBERI. Nel dubbio di non essere stato abbastanza chiaro e dal momento
che nel più sta il meno, il candidato governatore della Lombardia ha deciso di
non farsi mancare niente ed ha anche aggiunto fare, coraggio, legge, regole, volontà,
europa, costruire, dovere, futuro,
ambiente, impresa, lavoro, famiglia, comune, insieme, dovere, costruire,
futuro, consapevolezza, responsabilità, politica, limpidezza, sanità, onestà,
etc…, andate voi a leggervi gli altri. Accuratamente privo di un senso preciso
o di un impegno per qualcosa di definito.
Fotografi
e pubblicitari hanno clienti di tutte le parti “politiche”, clienti spesso
narcisisti che vogliono vedere risultati nelle vendite. Alla fine la campagna
di uno è intercambiabile con la campagna dell’altro e quello che fa la
differenza di fronte al pubblico è il messaggio gestito dal brand nazionale cui
fa riferimento il candidato locale in franchising.
Disorienta vedere come tutte queste facce stiano appostandosi in ogni angolo:
sui fianchi degli autobus, nelle zone che fino a ieri erano riservate a COMPRO
ORO o DOMENICA APERTO o COMPRI 3 E PAGHI
2.
Ma veniamo alle politiche.
Qui
è più facile dal momento che non ci sono le preferenze. Il messaggio
subliminale deve colpire per promuovere la lista. Gli eletti, al 90%, sono già decisi nel momento in cui si
compila la successione dei nomi. La cosa si fa seria e deve essere gestita in
modo molto professionale al fine, per alcuni di superare le soglie di ingresso
(4% alla Camera, 8% al senato), per altri di riuscire a fare scattare il
premione di maggioranza ( avere un voto più degli altri per ottenere secchi 340
deputati indipendentemente dai voti presi ).
Il
candidato si è già giocato tutto nel momento in cui si sono decise le posizioni
nella lista, adesso deve solo aspettare
e, caso mai dare una mano se proprio glielo chiedono. Va da sé che, salvo
alcuni personaggi con un particolare charme mediatico (atleti, attori ) o con
un comprovato seguito clientelare che possono portare consensi alla lista, ( tipo
mafioso di zona ), tutti gli altri sono stati inseriti per meriti di fedeltà di
cordata.
Per
primi i candidati premier:
L’ITALIA
GIUSTA. E’ il capolavoro di Bersani. Dice talmente tutto che non dice niente.
Ma i manifestoni del candidato premier
sono anche l’apoteosi dell’arte fotografica. L’atmosfera e l’espressione nella
fotografia almeno a me sembrano ispirate
al George Clooney della pubblicità di Nespresso.
Il
messaggio nazionale è veicolato dal mainstream
mediatico (che in buona parte è pagato da tutti noi cittadini con il canone
Rai, i finanziamenti pubblici per l’editoria e i “rimborsi elettorali”). Non
c’è un conduttore di rete, di talk show, di caffè del mattino, di mezzoretta del
dopo pranzo o della buonanotte che non abbia la tessera di un partito in tasca
(alcuni come nel gioco delle tre carte la cambiano all’occorrenza).
Il direttore di una rete TV ( pubblica ) ci ha
assillato per giorni e settimane sulle primarie piddine, (lo stesso servizio
ripetuto 10 volte al giorno ) un altro ( sempre di una rete pubblica) ci ha
invaso sulla ridiscesa in campo del difensore dai comunisti ( quasi avesse qualcosa
di urgente da comunicarci ). Entrambi in modo insistente , ripetuto , pesante,
inutile. E dopo poche settimane o addirittura qualche giorno ce li siamo
trovati entrambi capilista nei due partiti di riferimento. Non c’è un solo
paese del continente europeo, di quello americano ne di quello africano o
asiatico dove possa succedere qualcosa di simile. E per molti, a destra, centro
e sinistra è diventato normale.
Che
parlamento dobbiamo aspettarci questa volta? Con questo metodo di selezione e
promozione di una classe dirigente perché stupirsi che esista e si consolidi una
Casta?
Grandi ma modesti
Ci
hanno abituato poco per volta a quella che è ormai una mutazione antropologica
della classe dirigente italiana e ad una alterazione sostanziale dei criteri
della scelta della stessa. Tanti, parlando di elezioni, sono rimasti nella
ottusa convinzione che le elezioni siano sempre Le Elezioni, senza rendersi
conto che non sono più elezioni e che lo spirito e la sostanza di questo rito sono
sostanzialmente alterati. I sudditi elettori non sono più chiamati a scegliere
su di una prospettiva comune, ma a partecipare di tifoserie (fintamente)
contrapposte.
Percependo
in superficie la questione qualcuno si stufa. L’astensionismo non è utile
all’Italia ed è utilissimo alla casta, ma testimonia di una inconscia
consapevolezza: che con queste regole non sarà mai possibile cambiare.
Chi
si ostina a svolgere esercizi di ingegneria politica ( secondo cui se cresce I,
V dovrà spostarsi più a “sinistra” (?) per cui M non può più temere che B si accordi con I
sulla base di una desistenza al Senato per cui dando una rappresentanza a V che superi la soglia alla Camera, etc. etc… ) vive
in un suo mondo onirico di desideri e paure che non ha nulla a che vedere con
la realtà empirica ed i meccanismi giuridici vigenti. L’antipolitica dei
partiti vive , oltre che su molte decine di migliaia di stipendiati , su
qualche milione di incalliti sognatori .
Oggi non esistono le precondizioni per
libere elezioni che possano trasferire nelle istituzioni gli equilibri sociali
del paese.
Riprendiamoci la politica, almeno
proviamo a non regalarla
Non
esiste una vera informazione degli elettori; è scoraggiata, se non impedita, la
partecipazione; i meccanismi elettorali sono addirittura ridicoli prima ancora che iniqui. Se con il 35% prendo il 55% e gli
elettori votanti sono 36 milioni quanti hanno chiaro che il voto di 7, 2 milioni di elettori andrà a partiti
diversi se non opposti a quelli che mi aggradano, ai quali regalo 130 deputati
che spetterebbero a me ? E che nell’altra Camera il mio voto dipende invece
dalla Regione in cui abito? Il porcellum
( e il suo rovescio al Senato ) l’altra volta lo ha voluto Berlusca, questa volta
Bersani ( ma non si deve capire..); ma non sapevano tutti che è una porcata ?
Chi
si straccia le vesti lamentando l’incompletezza di quei copia ed incolla che
circolano svogliatamente e che passano sotto il nome di Programmi Elettorali, o
si gode i ”10 punti irrinunciabili di programma “ provvisori della mia lista provvisoria
del momento, non si rende conto che prima di quelli esiste, e drammatico, un
problema di vera agibilità politica che è negata alla maggioranza della
popolazione. Se non si affronta questo, il resto è gossip o filosofia per
intellettuali mediocri.
L’unica
lista che sembra voler dare corpo e fare qualcosa su questo sconcio e ridare un senso alla politica è quella del
Movimento 5 Stelle di Grillo. Non per nulla l’antipolitica la accusa di
“populismo”. Con tutti i limiti del caso, che sono enormi, questa lista sta svolgendo un ruolo storico in
Italia per permetterci di riappropriarci del voto, in particolare in questa
tornata elettorale: dare voce agli esclusi e tentare di aggredire i meccanismi
che ci impediscono l’esercizio dei nostri diritti costituzionali.
Poi,
dopo il voto, si vedrà che fare. Certo sarà dura.
* del Gruppo
delle Cinque Terre (Lombardia)
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