La crisi politica degli anni 1992 – 93 e l’esito del referendum promosso da Mario Segni su una disposizione della legge elettorale per il Senato della Repubblica hanno indotto tanti a ritenere che per la governabilità del paese fosse necessario abbandonare il sistema proporzionale ed accogliere quello maggioritario. Tale convincimento sta alla base della legge elettorale nota come Mattarellum, con la quale è stato introdotto per la Camera dei deputati un sistema misto caratterizzato dal ricorso ai collegi uninominali per il 75 per cento dei seggi e dalla previsione della ripartizione proporzionale del restante 25 per cento con abolizione della preferenza. La nuova legge elettorale aveva come finalità dichiarata dai proponenti quella di promuovere un’evoluzione della società verso forme chiaramente bipolari.
I collegi uninominali anche per la Camera avrebbero dovuto favorire un maggiore controllo da parte degli elettori e un’aggregazione delle forze politiche verso la formazione di due grandi schieramenti contrapposti. Pochi si accorsero che, così ragionando, si scambiava la causa con l’effetto. Non la legge elettorale crea la società bipartitica, ma la società bipartitica trova nella legge elettorale maggioritaria un sistema di elezione ad essa adeguato.
La legge elettorale per la Camera dei deputati, modificata con la legge 4 agosto 1993, n. 277, lungi dal favorire l’aggregazione delle forze politiche, ha esaltato la funzione delle piccole formazioni, che hanno preteso prima del voto di contrattare la loro adesione chiedendo di essere garantite con candidature in collegi sicuri.
La situazione non è cambiata con le vigenti leggi elettorali. Esse prevedono per la Camera dei deputati e, su base regionale, per il Senato della Repubblica un premio di maggioranza per la lista o la coalizione di liste che ottenga il maggior numero di voti. Anche queste leggi, che non prevedono il voto di preferenza, accentuano il peso delle piccole formazioni che potrebbero contrattare la loro adesione allo schieramento chiedendo di essere garantite con l’inserimento di propri candidati in posizione utile nelle varie liste.
Dal momento che nessuna legge elettorale ha favorito la formazione di due grandi schieramenti politici, non resta che tornare al sistema proporzionale. I piccoli partiti avranno così in parlamento una rappresentanza non definita attorno a un tavolo prima delle elezioni, ma proporzionale alla loro effettiva consistenza.
Appare opportuna la previsione di una soglia di sbarramento al fine di evitare un’eccessiva frantumazione della rappresentanza. Appare, inoltre, opportuno ripristinare la preferenza per sottrarre la scelta degli eletti alle oligarchie partitiche.
Le leggi elettorali auspicate appaiono conformi allo spirito della vigente Costituzione. Occorre impedire che il Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale e che al quarto scrutinio può essere eletto a maggioranza assoluta dei voti dal Parlamento in seduta comune integrato dai rappresentanti delle Regioni venga eletto da una maggioranza parlamentare che nel paese potrebbe essere in effetti minoranza. Nei termini che precedono ritengo di avere esposto in modi semplici e schematici il mio pensiero sulle leggi elettorali per i due rami del Parlamento.
* Partito Democratico nella Città di Riposto (CT) - Professore universitario di Istituzioni di Diritto Pubblico
( da L’Espresso blog "Fatti e Opinioni" del giornalista Mario Salvo Pennisi 27 agosto 2011 )
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