La Shell ha comunque espresso cauto ottimismo a proposito della possibilità di iniziare le trivellazioni la prossima estate. L’Artico è l’ultima grande zona selvaggia rimasta nell’emisfero Nord. Il mare di Beaufort, lontano da rotte commerciali, è prediletto da balene, beluga e uccelli. Ovvio che per gli ambientalisti questo vialibera preliminare sia inescusabile. E poi: vi immaginate cosa accadrebbe se il petrolio finisse in mare?
Il permesso che la Shell sembra sul punto di ottenere riguarda quattro esplorazioni in acque basse alla ricerca di idrocarburi. Il freddo amplificherebbe la difficoltà della natura a degradare i veleni dispersi nell’ambiente. Gli ecologisti non sono i soli a sottolineare i rischi per l’ambiente naturale, gli animali e le comunità indigene. A quanto riferisce Afp, è preoccupato anche l’ammiraglio in pensione della Guardia Costiera Thad Allen, che l’anno scorso per conto del governo statunitense ha guidato gli sforzi per arginare la marea nera nel Golfo del Messico. Egli, all’inizio di quest’anno, ha infatti avvertito che gli Stati Uniti sarebbero mal equipaggiati per far fronte ad uno sversamento di petrolio in Alaska: poche infrastrutture, acque burrascose, iceberg alla deriva. In molti luoghi, poi, la più vicina base della Guardia Costiera si trova a centinaia di miglia di distanza.
La morale della favola è sempre la stessa: le riserve di idrocarburi della Terra sono tutt’altro che infinite. Ormai si può continuare a vivere come siamo vissuti finora solo a patto di andare a prendere il petrolio in luoghi impossibili, tipo i fondali oceanici o le regioni polari: costi quel che costi all’ambiente. E alle tasche di chi va a fare il pieno di benzina.
Su Afp gli Stati Uniti aprono la strada alle trivellazioni della Shell nell’oceano Artico
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da blogeko agosto 2011 (Maria)
Nella cartina, redatta dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, in beige l’estensione del ghiaccio nell’estate scorsa. In grigio scuro i luoghi in cui si ritiene ci siano riserve di idrocarburi ancora da sfruttare.
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