7 dicembre 2021

Bollette ostaggio del gas, servono più rinnovabili per abbassare i prezzi

Dare a gas e nucleare la patente green sarebbe una beffa oltre che un errore madornale

di Rossella Muroni *

Riemerge a tratti come fiume carsico l’aumento del costo dell’energia, insieme alla voglia di gas e nucleare nella tassonomia verde europea. Da settembre a oggi quasi non è passata settimana in cui qualcuno non abbia dato l’allarme sul caro bollette. Pressoché sempre sul banco degli imputati è stata messa la transizione. Anziché i principali responsabili, ossia il costo del gas, le speculazioni e la forte ripresa degli ordinativi superata la fase più critica della pandemia.

Mentre il governo italiano ha spesso usato toni allarmistici, il mondo ecologista – insieme ad alcune autorevoli voci politiche tra cui quella del vice presidente della Commissione europea Timmermans – ha da subito fatto una diagnosi precisa. Risentiamo tanto delle oscillazioni del costo del gas perché c’è ancora troppo metano nel nostro mix energetico. Se avessimo più rinnovabili e fossimo più avanti nella transizione energetica non subiremmo questi rincari, non dipenderemmo dalle fluttuazioni di mercato né dalle speculazioni. In altre parole il problema è il nostro ritardo sulla transizione energetica.

Lo ha ribadito con parole più accese l’A.D. dell’Enel Starace, che non può certo venire annoverato nella categoria degli ambientalisti ideologici. A pochi giorni dalla presentazione del nuovo piano di sviluppo con cui Enel anticipa al 2040 l’obiettivo ‘net zero’, ha usato più o meno queste parole: “Da decenni viviamo esposti alla volatilità dei prezzi del gas. Perché dobbiamo dipendere da questa strana follia?”. Riconoscere questa evidenza, ovviamente, non significa pensare che il governo non debba preoccuparsi di come sterilizzare i rincari per famiglie e piccole imprese.  Ma il problema non si risolve aumentando la nostra dipendenza dal gas, che ne è la causa.

La risposta di Cingolani è arrivata dal vertice dei ministri europei dell’energia, in cui ha perorato la causa del nucleare di nuova generazione – come la fusione, che però nella vita reale non siamo in grado di realizzare – nella tassonomia. Senza chiudere neanche ad altre tecnologie e alla ricerca sulla cattura di CO2. Che evidentemente servono per includere anche il gas. Una escursione termica siderale. Anziché preoccuparsi di come sbloccare le rinnovabili, il ministro della Transizione ecologica è andato in Europa a parlare di fusione e gas. Indizio piuttosto evidente che questo governo forse non crede davvero alla transizione.

Più o meno nelle stesse ore, un articolo di Repubblica aggiungeva un particolare interessante. Eni ha annunciato di avere preso parte al recente round di finanziamento di CFS. Ovvero la società spin-out del MIT di cui il Cane a sei zampe è già il maggiore azionista. CFS ha raccolto dal mercato complessivamente oltre 1,8 miliardi di dollari mentre lavora per raggiungere l’obiettivo di immettere nella rete energia da fusione a confinamento magnetico entro i primi anni del decennio 2030. E la quota in carico ad Eni sarebbe raddoppiata arrivando a 360 milioni di dollari. Una assonanza e un tempismo così in sintonia tra le uscite di Cingolani e Descalzi che è lecito chiedersi chi decida davvero della politica energetica italiana.

Tornando in Europa, dare a gas e nucleare la patente di attività verde sarebbe una beffa oltre che un errore madornale. Il nucleare ad oggi non ha risolto il problema della sicurezza durante il funzionamento. Né quello delle scorie. E ha costi e tempi incompatibili con quelli della transizione. Sprecare per il gas gli investimenti che dovrebbero andare alla conversione ecologica ci renderebbe ancora dipendenti dai fossili e toglierebbe risorse alle rinnovabili. Si rallenterebbe così la nostra transizione. Non abbiamo più tempo e gli sforzi maggiori verso l’obiettivo delle zero emissioni nette li dobbiamo compiere nei prossimi 10 anni. Per questo è tanto importante che atomo e gas fossile restino fuori dalla tassonomia.

La risposta al caro bollette non deve mettere all’indice la transizione ecologica, né contestare gli obiettivi climatici e le misure europee. Questo è il tempo di accelerare per un’Italia e un’Europa sempre più rinnovabili ed efficienti. Perché è quello che serve per affrontare la crisi climatica e per l’economia. Proprio ora che la differenza tra costo dell’energia fossile e rinnovabile si è ulteriormente ampliata. Infatti gli investimenti sulle fonti pulite sono ancora più convenienti e avrebbero ritorni in tempi ancora più brevi. Ma è chiaro che non possiamo contare su questo MiTe per ridimensionare il ruolo del gas e per rivedere in questo senso anche il capacity market.

Tutto questo mi preoccupa come pure il fatto che nella Legge di Bilancio manchi un contributo forte del ministero della Transizione Ecologica. La manovra, ad esempio, non prevede l’avvio del necessario taglio ai sussidi ambientalmente dannosi. Oltre 19 miliardi secondo il ministero addirittura oltre 34 secondo Legambiente. Fondi che potrebbero essere meglio impiegati per spingere la transizione e sostenere soggetti fragili e settori più colpiti. Ma non manca un nuovo rinvio della plastic tax. 

Non proprio le giuste premesse per la transizione. 

* da Huffington Post – 6 dicembre 2021

( la pubblicazione dell’intervento non comporta la totale condivisione dei contenuti

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