Il 12 giugno è morta Elinor Ostrom, insignita nel 2009
del premio Nobel per l'Economia. La ricordiamo pubblicando un estratto
dell'introduzione al volume "La conoscenza come bene comune. Dalla teoria
alla pratica", a cura di E. Ostrom e di C. Hess, pubblicato da Bruno
Mondadori nel 2009. *
Con la parola “conoscenza” (knowledge) si intendono
in questo libro tutte le idee, le informazioni e i dati comprensibili, in
qualsiasi forma essi vengano espressi o ottenuti. Il nostro approccio è in
linea con quello di Davenport e Prusak (1998, p. 6), i quali scrivono che «la
conoscenza deriva dalle informazioni come le informazioni derivano dai dati».
Machlup (1983, p. 641) ha introdotto questa distinzione fra dati, informazioni
e conoscenza, in cui i primi sono frammenti di informazione allo stato grezzo,
le informazioni sono costituite dall’organizzazione contestualizzata dei dati,
e la conoscenza è l’assimilazione delle informazioni e la comprensione del modo
in cui esse vanno utilizzate. In questo libro impieghiamo il termine
“conoscenza” per riferirci a tutte le forme di sapere conseguito attraverso
l’esperienza o lo studio,8 sia esso espresso in forma di cultura locale,
scientifica, erudita o in qualsiasi altra. Il concetto include anche le opere
creative come per esempio la musica, le arti visive e il teatro. Alcuni
ritengono che la conoscenza sia “dialettica”, nel senso che possiede una doppia
“faccia”: in quanto merce e in quanto elemento fondante della società (Reichman
e Franklin 1999; Braman 1989). Questa doppia funzionalità – come esigenza umana
e come bene economico – è indizio immediato della natura complessa di questa
risorsa. Acquisire e scoprire conoscenza è al contempo un processo sociale e un
processo profondamente personale (Polanyi 1958).
Ancora: la conoscenza è cumulativa. Nel caso delle
idee l’effetto cumulativo genera vantaggi per tutti nella misura in cui
l’accesso a tale patrimonio sia aperto a tutti, ma sia quello dell’accesso sia
quello della conservazione erano problemi seri già molto prima dell’avvento
delle tecnologie digitali. Una quantità infinita di conoscenza attende di
essere disvelata. La scoperta delle conoscenze future è un tesoro collettivo di
cui dobbiamo rispondere di fronte alle generazioni che ci seguiranno. Ecco
perché la sfida di quella attuale è tenere aperti i sentieri della scoperta.
Assicurare l’accesso alla conoscenza diventa più
facile se se ne analizza la natura e si mette bene a fuoco la sua peculiarità
di bene comune. Questo approccio è in contrasto con la corrente letteratura
economica, nella quale la conoscenza è stata spesso indicata come tipico
esempio di bene pubblico “puro”: un bene disponibile per tutti e il cui uso da
parte di una persona non limita le possibilità d’uso da parte degli altri.
Nella trattazione classica dei beni pubblici, Paul A. Samuelson (1954, pp. 387-
389) ha classificato tutti i beni che possono essere utilizzati dagli esseri
umani come puramente privati o puramente pubblici. Samuelson e altri, tra cui
Musgrave (1959), hanno posto tutta l’enfasi sull’esclusione: i beni dal
cui uso gli individui potevano essere esclusi andavano considerati privati.
Nell’affrontare questi problemi, gli economisti si concentrarono dapprima
sull’impossibilità dell’esclusione, per poi orientarsi verso una
classificazione basata sull’alto costo dell’esclusione. Da quel momento i beni
sono stati trat-tati come se esistesse una sola dimensione. Solo quando gli
studiosi hanno sviluppato una duplice classificazione dei beni (V. Ostrom ed E.
Ostrom 1977), è stato pienamente riconosciuta l’esistenza di un loro secondo
attributo. Il nuovo approccio ha introdotto infatti il concetto di sottraibilità
(a volte definita anche rivalità) – per cui l’uso del bene da parte
di una persona sottrae qualcosa dalla disponibilità dello stesso per gli altri
– come fattore determinante di pari importanza per la natura di un bene. Ciò ha
condotto a una classificazione bidimensionale dei beni. La conoscenza, nella
sua forma intangibile, è rientrata allora nella categoria di bene pubblico, dal
momento che, una volta compiuta una scoperta, è difficile impedire ad altre persone
di venirne a conoscenza. L’utilizzo della conoscenza (come per esempio la
teoria della relatività di Einstein) da parte di una persona non sottrae nulla
alla capacità di fruizione da parte di un’altra persona. Questo esempio,
naturalmente, si riferisce alle idee, ai pensieri e al sapere derivanti dalla
lettura di un libro: non al libro in quanto oggetto, che sarebbe classificato
come bene privato.
In questo volume impieghiamo le espressioni beni
comuni della conoscenza e beni comuni dell’informazione in maniera
intercambiabile. Alcuni capitoli si concentrano in particolare sulla
comunicazione scientifica e accademica, ma le questioni discusse hanno
un’importanza cruciale che si estende ben al di là della “torre
d’avorio”. Ciascun capitolo si dedica a un particolare aspetto della
conoscenza in forma digitale, principalmente perché le tecnologie che
consentono una distribuzione globale e interattiva dell’informazione
hanno trasformato radicalmente la struttura della conoscenza come
risorsa. Uno dei fattori critici relativi alla conoscenza digitale è la
continua e radicale trasformazione (“ipercambiamento” o hyperchange)9
delle tecnologie e delle reti sociali che coinvolge ogni aspetto della
gestione e del governo delle conoscenze, compresi i modi in cui esse sono
generate, immagazzinate e conservate.
I sempre più numerosi studi sui vari approcci ai beni
comuni della conoscenza mostrano la complessità e la natura interdisciplinare
di queste risorse. Alcuni beni comuni della conoscenza risiedono al livello
locale, altri al livello globale o in una posizione intermedia e tutti sono
suscettibili di una molteplicità di utilizzi diversi e sono oggetto di
interessi in competizione. Le aziende hanno premuto per misure più rigide a
tutela di brevetti e copyright, mentre molti ricercatori, studiosi e
professionisti si impegnano per assicurare il libero accesso alle informazioni.
Le università si trovano su entrambi i fronti del dibattito sui beni comuni: da
una parte, sono detentrici di un crescente numero di brevetti e fanno sempre
più affidamento sulle sovvenzioni alla ricerca da parte delle aziende;
dall’altra, incoraggiano il libero accesso alla conoscenza e la creazione di
archivi digitali per i risultati delle ricerche svolte nei loro dipartimenti.
Gran parte dei problemi e dilemmi che affrontiamo in
questo libro sono sorti in seguito all’invenzione delle nuove tecnologie
digitali. L’introduzione di nuove tecnologie può rivelarsi decisiva per la
robustezza o la vulnerabilità di un bene comune. Le nuove tecnologie possono
consentire l’appropriazione di quelli che prima erano beni pubblici gratuiti e
liberi: così è avvenuto, per esempio, nel caso di numerosi “beni comuni
globali” come i fondali marini, l’atmosfera, lo spettro elettromagnetico e lo
spazio. Questa capacità di appropriarsi di ciò che prima non consentiva
appropriazione determina una meta-morfosi sostanziale nella natura stessa della
risorsa: da bene pubblico non sottraibile e non esclusivo, essa è convertita in
una risorsa comune che deve essere gestita, monitorata e protetta, per
garantirne la sostenibilità e la preservazione.
* da www.sbilanciamoci.info 14 giugno 2012
Nessun commento:
Posta un commento