E’ la regina della coca. La
‘ndrangheta domina ormai il mercato della polvere bianca in Europa. Grazie ai
rapporti coi narcos colombiani e soprattutto alla recente alleanza con uno dei
principali cartelli della droga messicani: Los Zetas.
Negli ultimi dieci anni, rotte e
gestione del traffico di coca hanno subito una rivoluzione. Quest’ultima
proviene quasi interamente da tre Paesi latinoamericani: Colombia, Bolivia e
Perù. Negli anni Ottanta e Novanta erano i colombiani a gestire il business: la
droga veniva inviata nei centri di consumo (Stati Uniti ed Europa) via aerea o
con la collaborazione dei malviventi messicani. Che, però, si limitavano ad
agevolare il trasporto degli stupefacenti sul loro territorio: dove, come e a
quanto smerciare era deciso dai boss di Cali e Medellín. Dall’inizio del 2000 –
in seguito all’indebolimento dei grandi gruppi criminali colombiani -, il
sistema è cambiato. I messicani hanno assunto la gestione diretta del traffico.
Non si limitano a trasportare la coca – a svolgere il lavoro di “muli” come si
dice nel gergo mafioso -: ora ne decidono il prezzo, le rotte, le destinazioni.
Queste attualmente sono principalmente tre: il mercato Usa – a cui è destinato
il 40 per cento della coca prodotta – attraverso la porosa frontiera Sud -,
quello europeo – dove arriva una identica quantità mediante il corridoio
caraibico: le Antille sono il trampolino verso il vecchio continente – e quello
emergente africano. Spesso i narco-voli diretti in Europa fanno scalo nei pochi
controllati aeroporti dell’Africa occidentale. La maggior parte della coca
prosegue via nave verso l’Italia, la Spagna o l’Olanda. Un 20 per cento resta
lì, per incrementare il consumo locale. Europa e Africa sono sbocchi sempre più
rilevanti per le bande criminali, specie dopo che l’aumento dei controlli lungo
il confine statunitense ha reso meno allettante il mercato americano.
La ‘ndrangheta è il partner
perfetto: con la sua rete capillare riesce a smerciare la droga per tutto il
continente. L’alleanza è vantaggiosa per entrambi. I messicani si occupano del
trasporto all’interno del continente e del viaggio intercontinentale. La
ndrangheta si occupa di garantire sbocchi sicuri e una serie di piazze
redditizie. Per una curiosa ironia della sorte, ‘ndrangheta e Los Zetas sono
“cresciuti” insieme. Ovvero hanno scalato i vertici criminali negli stessi
anni. La prima ha soppiantato “Cosa nostra” nel grande business della droga. I
secondi, ex militari arruolati come sicari dal cartello del Golfo, se ne sono
staccati nel 2009, per diventare ora il gruppo più diffuso sul territorio
messicano. Los Zetas, infine, preferiscono la ndrangheta a Cosa nostra perché
difficilmente i calabresi si pentono, dato che il legame criminale in genere è
sovrapposto a quello familiare, di sangue. I legami fra i due sono state
dimostrate da quattro operazioni realizzate dalla Procura distrettuale
antimafia di Reggio Calabria.
Il 17 settembre 2008 sono state
arrestate 166 persone tra Italia, Messico e Stati Uniti nell’ambito dell’operazione
Solare. Mesi di indagini, con la collaborazione della Dea e dell’Fbi, hanno
permesso di smantellare una rete che agiva da entrambe le sponde dell’Atlantico
con l’obiettivo di introdurre coca in Italia, dal porto di Gioia Tauro. A
coordinare il traffico, la cosca Aquino-Coluccia che, attraverso una cellula a
New York (la famiglia Schirrippa), aveva stretto un “patto criminale” con Los
Zetas – all’epoca ancora parte del cartello del Golfo - per rifornirsi di
polvere bianca.
Il 13 luglio 2010, la Procura regina
ha dato il via all’operazione “Il Crimine”, seguito di Solare. Quest’ultima ha
colpito le principali famiglie di Regio Calabria, Vibo Valentia e Crotone come
i Pelle di San Luca, i Comisso di Siderno, gli Aquino Coluccio e i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i
Pesce-Bellocco e gli Oppesano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di
Polistena, gli Iamonte di Porto salvo. Arrestato anche il capo della ndrangheta
in Lombardia, Pino Neri. Oltre ai fermi, l’inchiesta ha dimostrato che la mafia
calabrese non era più un insieme di cosche scoordinate ma si era data
un’organizzazione verticistica, fortemente strutturata su base territoriale,
articolata su vari livelli e capillarmente diffusa.
L’11 marzo 2011 è scattata
“Crimine 2” che si è concentrata sulla penetrazione della ndrangheta in
Lombardia e sulle sue ramificazioni estere (in Svizzera, Germania, Canada e
Australia). L’indagine ha permesso di mettere in luce il “modello ndrangheta”
che agisce attraverso succursali provinciali saldamente legati ai vertici che,
da Reggio Calabria, gestiscono il traffico di droga e armi e si infiltrano
nella rete economica legale dei territori in cui operano.
Queste tre operazioni sono state
in qualche modo “propedeutiche” a “Crimine 3” o “Soleare 2” perché hanno permesso
ai magistrati di comprendere
funzionamento e organizzazione della ndrangheta.
Il 14 luglio 2011, a tre anni da
Solare, “Crimine 3” è riuscita a documentare nel dettaglio le relazioni tra
ndrangheta e Zetas. Tra il 2004 e il 2008, il Cartello del Golfo ha introdotto
negli Usa, 80 tonnellate di cocaina pura. Poi, aveva cominciato a concentrarsi
sul mercato europeo, delegando la mediazione al suo braccio armato, Los Zetas.
Una cellula, situata a New York, ha preso contatti con i calabresi attraverso
la famiglia Schirrippa, una cosca di profilo minore, dietro cui si celavano le
potenti famiglie Macrì e Coluccio. Al vertice, secondo quanto emerso da
“Crimine 3” c’era Domenico Oppedisano, super boss arrestato nel 2010. Dopo il
colpo subito con Solare, il business non si è fermato. La rete “transoceanica”
si è ricostituita sotto il controllo delle cosche Bruzzese, Aquino, Commisso,
Jerino di Siderno e Gioiosa Jonica che, grazie all’alleanza coi Pesce di
Rosarno, si sono infiltrate nel porto di Gioia Tauro e agivano attraverso la
compagnia fantasma Diamante Fruit.
I rapporti tra narcos e
ndrangheta sono ormai documentati. Nonostante le operazioni condotte e gli
arresti fatti, il traffico tra le due sponde dell’Atlantico prosegue.
L’obiettivo di questo convegno è analizzare la rete criminale che unisce due
mondi apparentemente diversi, Messico e Italia. E collega direttamente
quest’ultima a un fenomeno tragico quanto “invisibile” nei mezzi di
comunicazione e nella coscienza dell’opinione pubblica: la narcoguerra che
dilania il Paese latinoamericano. Dal 2006, lì sono state massacrate circa
60mila persone nella duplice lotta tra cartelli della droga e autorità e gruppi
criminali rivali per il controllo della “piazza”. A farne le spese è la
popolazione civile. Dato che in Messico, appena il 2 per cento dei crimini
viene risolto, nessuno può conoscere l’esatto bilancio di vittime civili
sacrificate in nome del business di coca. Di certo sono tante, troppe. I
convegni non risolvono i problemi. Ma li rendono visibili. Danno voce e dignità
ai sessantamila morti messicani. Che sono, sempre più, anche un problema
italiano.
* giornalista di Avvenire, esperta di
questioni messicane
Torino: sabato 23 giugno ore 9,30 - palazzo Capris, via S.Maria 1, Fondazione
Fulvio Croce dell’ Avvocatura
LA NARCO-GUERRA IN MESSICO
Così lontana così vicina. Un problema
anche italiano
CONVEGNO promosso da International Help
Onlus e SUR, Società Umane Resistenti
introducono Gianni Sartorio e Gianfranco
Crua
intervengono: Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire,
esperta di questioni messicane - Piero
Innocenti, già Questore e Dirigente della Polizia di Stato con incarichi
di intelligence e contrasto al
narcotraffico in America Latina
sul narcotraffico leggi anche qui
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