Il movimento, molto variegato nel suo insieme, abbraccia unioni studentesche, singoli cittadini, ma anche una miriade di gruppi, dagli animalisti agli “anarchici contro il muro”, tutti uniti per chiedere che il governo li ascolti.
Dalle prime tende piantate in boulevard Rotschild quasi due mesi fa, con una manciata di giovani che manifestavano contro il carovita e i prezzi degli alloggi, le proteste accolgono ora le più svariate richieste, dal ritorno al “socialismo” all’aumento delle imposte per le grandi aziende e per le banche. Troppe, secondo una giovane manifestante: “Sono d’accordo con le richieste di giustizia sociale, ma non si può, come vorrebbero alcuni dimostranti, uscire dal capitalismo. La richiesta di tornare a un sistema che Israele ha abbandonato 20 anni fa mi sembra assurda”.
C’era una volta l’edilizia popolare, il welfare state e l’istruzione a portata di tutti. Ma le scelte economiche neoliberiste degli ultimi anni hanno messo in difficoltà una larga fetta della popolazione, rendendo praticamente impossibile per i giovani chiedere un mutuo, o semplicemente affittare un appartamento. Daphni Leef lo sa bene: 25 anni, di professione regista, le era stato presentato un ordine di sfratto dopo 3 anni di locazione. Si è resa conto che i prezzi degli affitti a Tel Aviv erano raddoppiati, se non triplicati, e si è indignata. Con alcuni amici, ha dato il via a una protesta in boulevard Rotschild, piantando una tenda nel posto più chic della città. E molti l’hanno seguita.
E’ lei l’eroina della rivolta, la Marianna di quest’estate 2011. Il momento più atteso di sabato 3 settembre è stato il suo discorso: migliaia di persone aspettavano solo di sentire lei, che assieme a Yitzik Shmuli, dell’Unione studenti universitari, è diventata la leader della protesta. Ha detto di sentirsi “fiera di essere israeliana da 7 settimane a questa parte”. Nel suo discorso ha raccontato quanto la sua vita sia stata segnata solo da eventi tragici: il conflitto con i palestinesi, la guerra in Libano, il rapimento di Gilad Shalit. Ma questo è invece un momento felice, un momento di risveglio. E il governo, che prima li ignorava, ora deve ascoltarli. Una signora di mezza età l’applaude, ride delle sue battute su Netanyahu e la sostiene: “E’ giovane, ma sa quello che vuole. Allegra, ma allo stesso tempo seria, sa andare al nocciolo della questione con grande semplicità. Penso che abbia fatto davvero un bel discorso”.
Il discorso della Leef non ha toccato però alcune questioni che, proprio per la natura sociale della protesta, dovrebbero essere affrontate dai “nuovi israeliani”, come li ha definiti Yitzik Shmuli. L’enorme budget militare, le spese per la sicurezza e le sovvenzioni alle colonie: sono alcuni dei settori reputati intoccabili, ma al contempo il loro ridimensionamento potrebbe giovare all’economia nazionale. La stessa Daphni Leef ha dichiarato di volersi sentire sicura all’interno del suo sistema più che sul piano militare, e il diritto allo studio, all’istruzione e alla sanità costituiscono la sua priorità. E’ mancata inoltre una qualsiasi menzione all’occupazione della Cisgiordania, soprattutto visti i grandi slogan in favore della “giustizia sociale”: proprio lei che nel 2002, in una lettera firmata assieme a molti suoi compagni in età di leva, aveva rifiutato di fare il servizio militare nei Territori occupati. Semplice dimenticanza tra le numerose richieste degli indignados? In realtà sembrerebbe di no: in una recente intervista televisiva la Leef ha dichiarato di non aver prestato servizio militare perché affetta da epilessia. Una scusa per non cadere nella trappola della politicizzazione delle proteste? Forse. Fatto sta che il movimento, e la sua leader, sembrano ora concentrati su una lista di richieste abbastanza concisa. Non si parla in modo approfondito di sicurezza e occupazione e delle loro conseguenze economiche, ma si svia l’argomento forse per non perdere il sostegno di quel 50% di popolazione per la quale la sicurezza è ancora in cima alla lista delle priorità nazionali.
Lo dice chiaro e tondo Uri, un attivista degli “Anarchici contro il muro”, per il quale le richieste avanzate dalla maggior parte dei manifestanti sono superficiali: “La quasi totalità dei dimostranti si interroga poco o niente su questioni che secondo me sono fondamentali, come i costi della colonizzazione e dell’occupazione dei territori palestinesi. In realtà, quello che tutti rivendicano sono alloggio, sanità e istruzione pubbliche. Di equità e giustizia sociale, in realtà, non gliene importa molto”.
Si ha la sensazione che non sia stato detto proprio tutto. E che il vero cambiamento sia ancora lontano. Da’ speranza una turista italiana che, camminando tra un fiume di israeliani festosi, riflette: “Tutti i grandi movimenti non sono nati già grandi, ma c’è voluto del tempo perché diventassero più maturi e strutturati. Aspettiamo e vediamo”.
Nena News (foto Activestill) Gerusalemme 5 settembre 2011 ( da globalproject.info )
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