di MauroVolpi
( costituzionalista e membro del Consiglio Superiore della Magistratura fino al luglio 2010 )*
Nello stato di dissolvimento della fase della Repubblica apertasi nel 1993 e definita impropriamente «Seconda Repubblica» può anche accadere che vengano presentati, su sollecitazione di una componente minoritaria del maggior partito di opposizione, due quesiti referendari, il cui scopo principale è quello di contrastare le tre richieste referendarie, avanzate da Passigli e da vari altri intellettuali, che si propongono di eliminare gli aspetti più negativi dell'attuale legge elettorale: le liste bloccate, il premio di maggioranza, le ridicole soglie di sbarramento previste per le liste che facciano parte di una coalizione.
Gli «argomenti» avanzati per contrastare i referendum Passigli oscillano tra la falsificazione e l'inconsistenza. È del tutto falso che essi produrrebbero il ritorno a un proporzionale puro, analogo a quello esistente prima del 1993. Infatti, in caso di esito referendario abrogativo, la soglia di sbarramento del 4% varrebbe per tutte le liste, mentre l'attuale sistema non solo prevede una soglia del 2% per le liste coalizzate, ma ne salva anche alcune, interne alle coalizioni, che ottengano una percentuale inferiore al 2% (com'è avvenuto nel 2006 per l'Udeur e nel 2008 per l'Mpa). Anche ai tempi del tanto decantato Mattarellum, le liste minori, che avevano ottenuto meno del 4% dei voti nella quota proporzionale, entravano in Parlamento grazie ai propri candidati di coalizione nei collegi uninominali.
Quindi, con buona pace dei maggioritaristi a oltranza, il successo dei referendum Passigli produrrebbe un sistema proporzionale più selettivo rispetto sia al Porcellum che al Mattarellum e molto più simile a quello proporzionale corretto esistente nella grande maggioranza delle democrazie europee. Un secondo argomento sostiene che il primo dei quesiti referendari volto a superare le liste bloccate non riuscirebbe nello scopo e si esporrebbe a un giudizio di inammissibilità della Corte Costituzionale. Non vi è dubbio che, specie in materia elettorale, il referendum abrogativo sia uno strumento imperfetto. Ma il senso dell'iniziativa referendaria è chiaro: restituire agli elettori il potere di scegliere i propri rappresentanti. Quindi il successo nella raccolta delle firme non mancherebbe di incidere su una riforma parlamentare, che resta la via maestra. Ma i referendum pro Mattarellum si espongono molto di più a un giudizio di inammissibilità, in quanto l'idea, disattesa dalla maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, della «reviviscenza» della vecchia legge elettorale in seguito all'abrogazione delle successive norme abrogatici costringe i promotori a presentare dei quesiti il cui esito positivo non produrrebbe affatto un sistema di risulta tale da consentire comunque l'elezione del Parlamento (come richiede la giurisprudenza costituzionale).
Quanto poi all'affermazione che con il Mattarellum gli elettori avrebbero scelto il «loro» deputato, chi ha buona memoria ricorda come, nelle tre elezioni in cui è stato applicato, nella quasi totalità dei collegi uninominali i candidati sono stati imposti dai vertici dei partiti coalizzati senza nessuna voce in capitolo a livello locale né degli iscritti né degli elettori.
Infine, si sostiene che i referendum Passigli tornerebbero ad affidare la formazione del governo ai vertici di partito nella fase postelettorale. In realtà, essi determinerebbero l'ingresso in Parlamento di un numero ridotto di liste (stando ai sondaggi non più di 6) e nulla vieterebbe ai partiti di concordare una futura alleanza di governo sulla base di convergenze programmatiche effettive, e magari anche di scegliere il leader della coalizione con le primarie, mentre non si avrebbero più coalizioni coattive, tenute insieme dall'obbiettivo primario di sconfiggere la coalizione avversaria. È un fatto che nella maggioranza delle democrazie europee l'adozione di sistemi elettorali corretti non esclude affatto le coalizioni né pregiudica la democrazia dell'alternanza.
Ma anche se le coalizioni di governo fossero formate dopo le elezioni, com'è avvenuto perfino nel Regno Unito, patria del maggioritario a turno unico, dove starebbe lo scandalo? Con ogni probabilità avremmo governi più solidi, in quanto formati da un numero ridotto di partiti, e più efficienti, in quanto costituiti sulla base di reali convergenze programmatiche, di quelli che ci ha regalato la «Seconda Repubblica», attraversati da divisioni profonde, instabili (sono stati ben otto tra il 1994 e il 2005 sotto la vigenza del Mattarellum) e dipendenti da maggioranze variabili.
In definitiva è tempo di abbandonare il mito del maggioritario, che ha aperto la strada al leaderismo plebiscitario e all'affossamento di tutti i canali di mediazione tra società e istituzioni; dai partiti politici, ridotti a partiti personali alla ricerca di un leader telegenico, al Parlamento, divenuto organo di mera ratifica e privo di reali poteri di controllo. E allora perché lanciare salvagenti a un sistema agonizzante e sempre più distaccato dalla società, e ad alcuni leader politici sempre meno popolari, anziché staccare la spina e impegnarsi nella costruzione di un nuovo sistema politico-istituzionale più conforme al quadro costituzionale e a quanto avviene nella maggioranza delle democrazie europee?
* Mauro Volpi è stato uno dei 100 firmatari dell’appello contro il Lodo Alfano
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