di Sara
Nicoli *
Il danno e
la beffa. Non c’è luogo comune più abusato, ma stamattina, quando il terremoto
ha scosso il Nord, non poteva non venire in mente che solo un paio di settimane
fa, con un decreto, il governo ha chiuso
con i risarcimenti ai cittadini colpiti dalle calamità naturali,
aprendo la strada alle assicurazioni private. L’iper liberista Monti,
dopo aver ripristinato la possibilità di rispolverare la “tassa sulle
disgrazie”, attraverso l’aumento dell’accise della benzina, con beffarda
lungimiranza ha polverizzato la speranza di chi rimane vittima di alluvioni, terremoti
e altri disastri naturali: niente soldi, non ce ne sono. Il Tesoro ha le casse
vuote, è stato spiegato al momento, quindi che gli italiani si arrangino. Anche
nei momenti più difficili – questo il messaggio, inutile dare letture diverse –
non contate più sullo Stato.
Già, lo
Stato. Questa entità che si sente il bisogno di evocare quando una bomba uccide
una ragazzina a Brindisi – e chissà poi se è veramente la criminalità
organizzata oppure il gesto di un folle – o quando la retorica inonda la celebrazione
dei morti ammazzati dalla mafia o da un destino carogna, come gli operai del turno di notte della
fabbrica di Sant’Agostino, caduti sul lavoro sotto le macerie come
tanti, sempre troppi ogni giorno. E’ uno Stato che latita, la cui immagine
plastica di queste ore è quella di Mario Monti, in pulloverino azzuro polvere
(ovviamente di cachemire), che da oltre Oceano parla come un automa di “rigore
e vicinanza alle famiglie delle vittime”, ma non sembra sfiorato dal pensiero
di fare dietrofront, invece di restare a far passerella (anche personale) ad un
G8 inutile come tutti quelli di sempre.
Ed è uno
Stato che trova il verso d’indignarsi, certo, attraverso la faccia feroce del
suo più alto rappresentante, ma solo perché c’è un Grillo che sta attentando
alla sopravvivenza del corrotto sistema partitocratico. Che non c’entra nulla
con la politica, sia chiaro, ma fa tanto comodo far credere che sia così. “Lo
Stato, lo Stato…”, cantilenava amara, scuotendo la testa, dal pulpito di una
chiesa stracolma di grandi papaveri delle Istituzioni Rosaria Costa, la
vedova dell’agente di scorta di Giovanni Falcone, Vito Schifani, davanti alla
bara del marito.
Son passati
vent’anni e questo Paese è ancora inchiodato lì, vittima di pazzi, di
mafia o di anarchici, ostaggio di una politica immonda e di una crisi che prima
di essere economica è di identità, di struttura, di principi comuni. E che
adesso – proprio adesso – dovrà anche guardare in faccia le vittime di questo
ennesimo terremoto e spiegargli che siccome dobbiamo restare in Europa, per
loro di Stato non potrà fare nulla; a Ferrara e dintorni non arriverà una lira.
Lo stato di calamità non sarà più qualcosa che si dichiara
con
leggerezza. Come non vedranno un soldo i genitori di Melissa o le altre ragazze
di Brindisi la cui bellezza
resterà
sfigurata per sempre. Gli italiani vittime di qualunque nemico saranno chiamati
ad arrangiarsi ancora. L’hanno sempre fatto, in questo Paese logoro e sudato di
pazienza antica. Infinita no, però..
* da: ilfattoquotidiano, 20 maggio 2012
* da: ilfattoquotidiano, 20 maggio 2012
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