Le conseguenze della marea nera sulla salute dei lavoratori molto peggiori di quanto sia stato detto
di Umberto Mazzantini *
Tre anni dopo l'esplosione e il naufragio della
piattaforma offshore Deepwater Horizon della Bp nelle acque del Golfo del
Messico, quello che Barack Obama definì il più grande disastro ambientale della
storia Usa sembra in gran parte dimenticato, relegato nei trafiletti dei
giornali mentre la rabbia popolare si assopiva. I media statunitensi e
stranieri parlano di altro e solo i giornali economici si stanno seriamente
interessando di quello che il Financial Times definisce «Il processo del
secolo», cioè quello in corso a New Orleans, dove la Bp sta facendo di tutto
per non pagare le decine di miliardi di dollari di potenziali sanzioni per il
disastro.
Lo stesso presidente Obama, che all'inizio della crisi
della Deepwater Horizon denunciò «Il rapporto scandalosamente stretto»
tra le compagnie petrolifere e le autorità di regolamentazione del
governo federale, durante la sua campagna elettorale si è vantato di aver
approvato numerosi permessi per nuovi pozzi di petrolio e gas. Ma
"Newsweek" non solo non sembra essersi dimenticato della catastrofe
della Deepwater Horizon, ma tira fuori una vicenda della quale in pochissimi si
sono occupati e che la Bp cerca in tutti i modi di tenere nascosta e
riporta la storia di Jamie Griffin, una capo-cuoca che preparava i pasti per
gli uomini che stavano lavorando alla bonifica del disastro petrolifero e si
occupava della pulizia della mensa. Secondo Griffin l'uomo inviato dalla Bp a
coordinare i lavori disse che il "gunk", la melma vischiosa,
viscida ed iridescente che si era infilata anche dentro gli stivali dei
lavoratori, «E' sicura come il detersivo per piatti Dawn», Griffin, cercava di
ripulirlo dalla mensa, ma non funzionava nemmeno l'acqua bollente, il
rappresentante della BP disse che bastava sfregare bene, come per qualsiasi
altro pavimento sporco.
Quella sostanza che si attaccava agli stivali degli
operai e che penetrava sotto i loro vestiti era quella che stava vomitando il
pozzo di Macondo esploso alle 21,45 ora locale del 20 aprile 2010, uccidendo 11
operai e ferendone 17 feriti, provocando una marea nera nell'area che fornisce
un terzo del pesce mangiato negli Usa ed insozzando le spiagge dal Texas alla
Florida che hanno un'economia turistica da miliardi di dollari. In molti se lo
sono dimenticati, ma il disastro della Deepwater Horizon, la debole reazione di
Obama e la controffensiva di repubblicani e Big Oil rischiò di compromettere la
sua rielezione a presidente degli Stati Uniti, la sua popolarità nei sondaggi
calava a picco e anche la sua figli 11enne gli chiese: «"Daddy, did you
plug the hole yet?».
Griffin fece come le era stato detto e ora spiega a
"Newsweek" «Ho cercato di toglierlo con il
Pine-Sol, candeggina, ho anche provato il Dawn su quei piani», ma
mentre rimuoveva questo "sporco" resistentissimo, il mix di
detergente e "gunk" gli ha imbrattato anche braccia e viso e
nel giro di pochi giorni questa madre single 32enne fu colta da tosse con
sangue e da fortissimi mal di testa, dopo perse la voce: «Avevo la gola come se
avessi ingoiato lamette da barba». Poi le cose sono andate molto peggio: come
centinaia, forse migliaia, di lavoratori impegnati nella bonifica del greggio,
Griffin presto si è ammalata di un insieme di quelli che "Newsweek"
definisce «Strazianti, bizzarri e grotteschi disturbi». A luglio la
capo-cuoca e molti lavoratori si contorcevano per spasmi muscolari
inarrestabili e le loro mani si erano trasformate in artigli inamovibili, poi
hanno iniziato a perdere la memoria a breve termine. La Griffin, dopo aver
lavorato 10 anni come cuoca, non riusciva a ricordarsi nemmeno la ricetta della
zuppa di verdure, una mattina è salita in macchina per andare al lavoro e poi
si è accorta di non aver indossato i pantaloni. Non era finita, come racconta
lei stessa, «Il lato destro, ma solo il lato destro, del mio corpo ha iniziato
ad agire follemente. Mi sentivo come se i nervi mi stessero venendo fuori
dalla pelle. E' stato così doloroso. La mia caviglia della mia gamba
destra era così gonfia da sembrare quella di un vitello e la mia pelle prudeva
incredibilmente».
Michael Robichaux, un medico ed ex
senatore della Louisiana che ha curato Griffin e 113 altri pazienti con sintomi
simili, dice che «Questi sono gli stessi sintomi sperimentati dai soldati che
tornavano dalla guerra del Golfo, con la sindrome della Guerra del Golfo. Non
ho mai visto questo gruppo di sintomi insieme: problemi della pelle, disturbi
neurologici, oltre a problemi polmonari». Solo mesi più tardi, dopo che Kaye H.
Kilburn, un ex professore di medicina presso la University of Southern
California e uno dei massimi esperti statunitensi di salute ambientale, è
arrivato in Louisiana ed ha eseguito test su 14 dei pazienti di Robichaux, i
due medici hanno fatto il collegamento con la sindrome della Guerra del Golfo,
una malattia che affligge circa 250.000 veterani di quella guerra per il
petrolio con una misteriosa combinazione di stanchezza infiammazioni cutanee e
problemi cognitivi.
Intanto, mentre i lavoratori sguazzavano nel
"gunk" tossico, il mondo assisteva con il fiato sospeso alla catena
di pasticciati e fallimentari tentativi della Bp di fermare il colossale
sversamento di greggio che intanto veniva irrorato con centinaia di tonnellate
di disperdenti ancora più tossici e pericolosi. Ci vollero 87 giorni per
fermare un disastro che dal giorno dopo la Bp e le Big Oil hanno iniziato a
minimizzare. Ma il 15 luglio, quando l'inferno di Macondo fu turato, 210
milioni di galloni di Louisiana sweet crude erano finite nel Golfo del Messico
e il più grande sversamento petrolifero accidentale nella storia del mondo
aveva appena iniziato a provocare conseguenze inimmaginabili sull'ambiente e la
salute umana. Alcune di queste, come le sofferenze di Jamie Griffin e degli
altri lavoratori che hanno salvato le coste del Golfo da un disastro ancora
peggiore, la Bp vorrebbe che non facessero ingresso, che fossero ignorate al
processo di New Orleans.
da greenreport.it 24
aprile 2013
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