di Francesca Coin *
Lo scorso 25
Febbraio il Corriere della Sera per mano del direttore Ferruccio de Bortoli
riassumeva il risultato delle elezioni così: in queste elezioni si è
verificato «un voto anti europeo che va preso drammaticamente sul serio
e in cui ci sono due grandi sconfitti: Monti e Napolitano». E così, in lode
agli elettori, ecco finalmente il governo che tutti desideravano non
avere, il Letta-Alfano benedetto da Napolitano, una strana alleanza ove
il peggio degli ultimi vent’anni trova rinnovata compattezza nel perseguimento
di ciò che nessuno voleva, l’austerità.
Il
non-eletto Letta-Alfano ha allontanato quel che rimaneva del Pd
da tutti i ministeri importanti: Esteri, Interni, Giustizia, Difesa,
Economia, Lavoro, per affidarli alla destra, quasi a umiliare ancora una
volta gli elettori Piddini che si ostinano a perdonare. “I contenuti della
lettera di Draghi e Trichet rappresentano la base su cui impostare politiche
per far uscire l’Italia dalla crisi. Qualunque governo succederà al governo Berlusconi
dovrà ripartire dai contenuti di quella lettera”, dichiarava Letta nel 2011. E così, se
buoni principi pagano, ecco oggi alla guida del paese un governo saldamente
ispirato a quell’idea di austerità che le elezioni hanno bocciato e che, come
ricordava Krugman due giorni fa sul
New York Times, è non solo socialmente letale ma anche interamente screditata.
Mentre tutto
il mondo critica l’errata codifica dei dati nel foglio excel del paper
di Reinhart e Rogoff, infatti, e la regola per cui, “i tassi di crescita
mediana per i paesi con debito pubblico superiore al 90% del Pil sono
all’incirca dell’1% più bassi di una situazione diversa da questa”, il
governo Letta sceglie di ispirarsi proprio ai loro errori. Ecco
allora il neo-ministro dell’economia Saccomanni, che nel 2011
dichiarava: “le misure di austerity più che causare una recessione, spingeranno
la crescita attraverso una riduzione dei tassi di interesse in tutti i settori
dell’economia”. E Enrico Giovannini, che qualche giorno fa, ospite a Ballarò,
aveva il coraggio di sostenere che “il pareggio strutturale di bilancio è
l’unico modo di proteggere il risparmio degli Italiani” – stiamo
parlando del Presidente dell’Istat, uno che i dati reali li ha.
Si è parlato
con scandalo del novello inciucio tra Pd e Pdl, e molte allusioni sono state
fatte alla composizione ambigua del M5S. Ma il punto non è solo, in
entrambi i casi, la confluenza d’interessi tra destra e sinistra. Il
punto è che la sovrapposizione tra destra e sinistra tanto nel Pd-L quanto nel
M5S rivela una dirimente diseguaglianza sociale e contrapposizione tra le
classi: in un certo senso possiamo dire che Pd-L da un lato e M5S dall’altro
riflettono una divisione politica tra creditori e debitori, tra chi fa proprie
le finalità del Fiscal Compact e chi vuole l’abolizione di Equitalia,
tra chi dall’austerità guadagna e chi non ha che da perderne. L’austerità è la
politica dell’1%, scriveva Krugman sul New York Times.
E dunque, se anche nessuno (a parte Grillo) ha il coraggio di parlarne, il vero
scandalo di questo governo non è solo l’inciucio, è la strumentalità
dell’inciucio all’austerità, al solo scopo di difenderla, il
clientarismo che connette come un filo rosso l’ossequio al Fiscal Compact e le
parole della Finocchiaro: «non so che cosa vogliano questi signori»,
riferendosi agli elettori. Che cosa ci sia da attendersi, dunque, è
chiaro.
Già il mese
scorso, il Ministro Giarda aveva prospettato i prossimi interventi
relativamente alla spesa pubblica. Si tratta di cifre da capogiro, tagli
per 135,6 miliardi di euro per beni e servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni,
24,1 di trasferimenti alle imprese e contributi alla produzione, 13,2 di
contributi alle famiglie e alle istituzioni sociali, tutto entro il 2014. Come
ammette anche Giovannini, si tratta di interventi a tutti gli effetti negativi,
che non lasciano molto scampo all’avvitamento del debito. Gli elettori
del Pd continuino, dunque, a disquisire sui pregi e le virtù di ogni ministro
animati di vorace speranza, e tentino di discernere se sia meglio questo o
quest’altro. Nel frattempo, diceva Warren Buffett, “la guerra di classe esiste
e l’abbiamo vinta noi”.
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dal blog su ilfattoquotidiano.it 28
aprile
2013
Francesca
Coin è sociologa e ricercatrice all'Università di Venezia, si occupa
di lavoro, conoscenza e movimenti sociali. Durante gli otto anni
dell'amministrazione W. Bush viveva ad Atlanta, dove insegnava Race and
Ethnic Relations. Ha lavorato per diversi anni con i campesinos e i
migranti agricoli, dal Messico all'India, avvicinandola nel tempo alle
questioni della terra e alle culture indigene. E’ rientrata in Italia nel 2008.
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