9 settembre 2012

Per una nuova democrazia della terra


Economia ecologica: Buen Vivir , un libro di Giuseppe De Marzo 
 Edizioni Ediesse *

Il modello capitalista  imperniato sul dogma della crescita senza se e senza ma, per sopravvivere, ha la necessità di trasformare in merce tutto, allargando così il campo su cui è possibile estendere il profitto e la crescita economica. Tutto viene trasformato in merce compresi i diritti conquistati in secoli di lotte sociali oggi declassati a servizi inseriti nella disponibilità del mercato. Partendo da questo presupposto Giuseppe De Marzo portavoce di Asud ha scritto il suo libro Buen vivir (edizione Ediesse) che, costruito su fondamenta assolutamente condivisibili, quelli dell'economia ecologica proposta da Herman Daly e Joan Martinez Alier (la Società internazionale per l'economia ecologica viene fondata nel 1982, www.ecoeco.org ), si pone come obbiettivo  l'individuazione di un modello alternativo e totalmente distaccato da quello capitalistico, ispirato alla democrazia della terra e ai diritti della natura.
Ed è proprio la prima parte del libro che dal nostro punto di vista è maggiormente interessante: De Marzo spiega che la crisi  globale del 2008 è anzitutto  un insieme di crisi - ambientale - economica - finanziaria - sociale: crisi che  ha costretto il modello occidentale capitalistico a fare i conti non solo con il problema della sovrapproduzione, ma anche con i limiti naturali del pianeta.

Oggi è acclarata l'impossibilità  del nostro pianeta e delle sue risorse di sostenere gli attuali standard occidentali di consumo, di produzione, di scarti che questo modello produce.
Il mito della dematerializzazione della società, che quindi avrebbe azzerato anche i suoi scarti,  è stato sgretolato dalla nascita dell'economia ecologica, definita da De marzo come «una delle gambe su cui si fonda il buen vivir e che ha come obiettivo la misurazione dei flussi di energia e di materia». Perché mentre sotto l'aspetto energetico anche l'opinione pubblica è ormai piuttosto consapevolizzata su temi quali il risparmio energetico, l'efficienza energetica, le rinnovabili, per quanto riguarda i flussi di materia si fa finta che il problema non sussista.


L'economia ecologica parte proprio dal presupposto che l'economia sia sottesa all'ecologia: l'economia è cioè lo strumento con cui chi governa, dovrebbe gestire nell'interesse collettivo l'insieme delle risorse naturali, ovvero l'ecologia.
Non è una novità. A meta del secolo scorso l'economista rumeno Georgescu Roegen, che avrà tra i suoi allievi proprio Herman Daly,  scriveva: «ogni processo economico inserito in un contesto eco sistemico  incrementa inesorabilmente ed irreversibilmente l'entropia del sistema terra: tanta più energia si trasforma in uno stato indisponibile, tanta più energia sarà sottratta alle generazioni future e tanto più disordine proporzionale sarà riversato nell'ambiente».
Una dei concetti chiave dell'economia ecologica è per De marzo quello del Metabolismo sociale: che  descrive «la circolazione delle merci e le relazioni umane con la natura, intese per misurare i flussi energetici e di materia utilizzati dalla produzione capitalista». Assegnare valori alle risorse naturali e ai servizi ambientali - che detto così potrebbe far inorridire i puristi dell'ecologismo -  consentirebbe di ancorare le scelte  a valutazioni che prendano in esame tutta la catena del prodotto - dalla culla alla culla, per citare un altro dei libri più recenti sull'argomento - considerando le cosiddette esternalità.
«Se infatti - dice ancora De Marzo - includessimo queste esternalità all'interno della contabilità e dei bilanci di molte imprese scopriremmo che i risultati di queste attività - su scala globale - non rappresentano un aumento della ricchezza ma una perdita netta».

Qui le strade divergono, sulla tesi. Perché l'economia ecologica e una contabilizzazione ambientale significherebbe per noi dare gli strumenti per un governo sostenibile della cosa pubblica, che indirizzi verso una riconversione ecologica dell'economia, individuando cosa può e deve crescere, e cosa invece non può e non deve crescere in funzione della sua diseconomicità.
Per De Marzo invece  la classe dirigente ha fallito a  tutti i livelli e non c'è nessuna speranza che la politica possa guidare un modello alternativo di sviluppo sostenibile, men che meno dentro un sistema capitalistico: la soluzione è dunque la democrazia della terra e i diritti della natura, che rifacendosi alla costituzione di Bolivia ed Ecuador  concepisce l'uomo come amministratore dei beni comuni e non come divoratore delle risorse naturali.

Concetti come quello di  "scienza postnormale" («fondata su saperi e conoscenze non acquisite attraverso i canali e gli strumenti della scienza cosiddetta normale»), "debito ecologico"  («accumulato dai Paesi del nord dai governi e dalle multinazionali nei confronti dei popoli e paesi del sud del mondo a causa dello sfruttamento, della depredazione e dell'usufrutto delle risorse naturali, dell'energia, dello spazio bioriproduttivo...»), "razzismo ambientale" ed "ecologismo dei poveri", servono a De Marzo per dimostrare come dal suo punto di vista sia necessario passare «dai movimenti sociali alle società in movimento: non più quindi un movimento che guida il cambiamento a partire dalla sua classe dirigente illuminata ma relazioni territoriali che contribuiscono, a partire dall'autogoverno e da forme di partecipazione dal basso, a coinvolgere più soggetti dando forma a società in movimento, attraverso l'elemento unificante della necessità di sopravvivenza della stessa comunità, delle sue diversità delle sue possibilità di futuro». Gli esempi sono tutti in Sudamerica e riguardano tutte piccole comunità che hanno vinto clamorose battaglie contro governi e multinazionali.
E' vero che ci troviamo davanti a un drammatico deficit di classe dirigente mondiale, ma è anche vero che la scala dei movimenti, almeno nel nord del mondo è completamente sparpagliata sui territori e non è sommabile in nulla per proposte alternative: il basso produce conflitti spesso patologici e speculari alla patologia dell'alto.
Ma in un mondo in cui anonime e incontrollabili società di rating possono decidere le sorti di un Paese intero e in un mondo in cui con un click inviato da una macchina si decide in un millisecondo il destino delle materie prime e dell'energia che sono i veri beni comuni, ci sembra che inquadrare il contesto reale sia fondamentale.

( * recensione su  greenreport.it  14 luglio 2011 ) 

Giuseppe De Marzo: Attivista, economista-ecologista, giornalista e scrittore, nato nel 1973,  lavora da anni nelle reti sociali, nei movimenti italiani e in America Latina a fianco delle popolazioni e organizzazioni indigene, sindacali e rurali. Nel 2002 viene arrestato in Ecuador, per le attività contro le multinazionali petrolifere, detenuto per tre giorni nel carcere speciale CDP, e trasferito negli Stati Uniti. Nel 2003 è tra i fondatori dell'Associazione A Sud, di cui da allora è portavoce. Ha pubblicato “Il sangue della Terra” - primo Atlante geografico del petrolio nell’Amazzonia ecuadoriana; ha scritto, con altri autori, “Cuba, orgoglio e pregiudizi”; con Sheiwiller ha pubblicato il libro “Da Seattle a Porto Alegre”. È stato relatore sui temi della globalizzazione finanziaria dell’economia, dei beni comuni e della democrazia partecipativa in numerosi forum internazionali, come i Forum Sociale Mondiali a Belem, Porto Alegre e Caracas. È consulente politico per molte organizzazioni sindacali e forze politiche di paesi dell’America Latina. Dal 2007 è co-fondatore e coordina le attività di ricerca, formazione e elaborazione testi del CDCA (Centro Documentazione di Conflitti Ambientali). Scrive per diverse testate giornalistiche tra cui “il Manifesto”, “Latinoamerica”, “Loop”, “Carta”. È membro di reti internazionali tra cui l’ISEE - International Society for an Ecological Econom.

nel video: un  recente intervento ad un assemblea nazionale  di Alba a Parma.

Nessun commento:

Posta un commento