Edizioni Ediesse *
Il modello capitalista imperniato sul dogma della crescita senza se e
senza ma, per sopravvivere, ha la necessità di trasformare in merce tutto,
allargando così il campo su cui è possibile estendere il profitto e la crescita
economica. Tutto viene trasformato in merce compresi i diritti conquistati in
secoli di lotte sociali oggi declassati a servizi inseriti nella disponibilità
del mercato. Partendo da questo presupposto Giuseppe De Marzo portavoce di Asud
ha scritto il suo libro Buen vivir (edizione Ediesse) che, costruito su
fondamenta assolutamente condivisibili, quelli dell'economia ecologica proposta
da Herman Daly e Joan Martinez Alier (la Società internazionale per l'economia
ecologica viene fondata nel 1982, www.ecoeco.org ), si pone come obbiettivo l'individuazione di un modello
alternativo e totalmente distaccato da quello capitalistico, ispirato alla
democrazia della terra e ai diritti della natura.
Ed è proprio la prima parte del libro che dal nostro punto di vista è
maggiormente interessante: De Marzo spiega che la crisi globale del 2008
è anzitutto un insieme di crisi - ambientale - economica - finanziaria -
sociale: crisi che ha costretto il modello occidentale capitalistico a
fare i conti non solo con il problema della sovrapproduzione, ma anche con i
limiti naturali del pianeta.
Oggi è acclarata l'impossibilità del nostro pianeta e delle sue
risorse di sostenere gli attuali standard occidentali di consumo, di
produzione, di scarti che questo modello produce.
Il mito della dematerializzazione della società, che quindi avrebbe
azzerato anche i suoi scarti, è stato sgretolato dalla nascita
dell'economia ecologica, definita da De marzo come «una delle gambe su cui si
fonda il buen vivir e che ha come obiettivo la misurazione dei flussi di
energia e di materia». Perché mentre sotto l'aspetto energetico anche
l'opinione pubblica è ormai piuttosto consapevolizzata su temi quali il
risparmio energetico, l'efficienza energetica, le rinnovabili, per quanto riguarda
i flussi di materia si fa finta che il problema non sussista.
L'economia ecologica parte proprio dal presupposto che l'economia sia
sottesa all'ecologia: l'economia è cioè lo strumento con cui chi governa,
dovrebbe gestire nell'interesse collettivo l'insieme delle risorse naturali,
ovvero l'ecologia.
Non è una novità. A meta del secolo scorso l'economista rumeno Georgescu
Roegen, che avrà tra i suoi allievi proprio Herman Daly, scriveva: «ogni
processo economico inserito in un contesto eco sistemico incrementa
inesorabilmente ed irreversibilmente l'entropia del sistema terra: tanta più
energia si trasforma in uno stato indisponibile, tanta più energia sarà
sottratta alle generazioni future e tanto più disordine proporzionale sarà
riversato nell'ambiente».
Una dei concetti chiave dell'economia ecologica è per De marzo quello del
Metabolismo sociale: che descrive «la circolazione delle merci e le
relazioni umane con la natura, intese per misurare i flussi energetici e di
materia utilizzati dalla produzione capitalista». Assegnare valori alle risorse
naturali e ai servizi ambientali - che detto così potrebbe far inorridire i
puristi dell'ecologismo - consentirebbe di ancorare le scelte a
valutazioni che prendano in esame tutta la catena del prodotto - dalla culla
alla culla, per citare un altro dei libri più recenti sull'argomento -
considerando le cosiddette esternalità.
«Se infatti - dice ancora De Marzo - includessimo queste esternalità
all'interno della contabilità e dei bilanci di molte imprese scopriremmo che i
risultati di queste attività - su scala globale - non rappresentano un aumento
della ricchezza ma una perdita netta».
Qui le strade divergono, sulla tesi. Perché l'economia ecologica e una
contabilizzazione ambientale significherebbe per noi dare gli strumenti per un
governo sostenibile della cosa pubblica, che indirizzi verso una riconversione
ecologica dell'economia, individuando cosa può e deve crescere, e cosa invece
non può e non deve crescere in funzione della sua diseconomicità.
Per De Marzo invece la classe dirigente ha fallito a tutti i
livelli e non c'è nessuna speranza che la politica possa guidare un modello
alternativo di sviluppo sostenibile, men che meno dentro un sistema
capitalistico: la soluzione è dunque la democrazia della terra e i diritti
della natura, che rifacendosi alla costituzione di Bolivia ed Ecuador
concepisce l'uomo come amministratore dei beni comuni e non come divoratore
delle risorse naturali.
Concetti come quello di "scienza postnormale" («fondata su
saperi e conoscenze non acquisite attraverso i canali e gli strumenti della
scienza cosiddetta normale»), "debito ecologico" («accumulato
dai Paesi del nord dai governi e dalle multinazionali nei confronti dei popoli
e paesi del sud del mondo a causa dello sfruttamento, della depredazione e
dell'usufrutto delle risorse naturali, dell'energia, dello spazio
bioriproduttivo...»), "razzismo ambientale" ed "ecologismo dei
poveri", servono a De Marzo per dimostrare come dal suo punto di vista sia
necessario passare «dai movimenti sociali alle società in movimento: non più
quindi un movimento che guida il cambiamento a partire dalla sua classe
dirigente illuminata ma relazioni territoriali che contribuiscono, a partire
dall'autogoverno e da forme di partecipazione dal basso, a coinvolgere più
soggetti dando forma a società in movimento, attraverso l'elemento unificante
della necessità di sopravvivenza della stessa comunità, delle sue diversità
delle sue possibilità di futuro». Gli esempi sono tutti in Sudamerica e riguardano
tutte piccole comunità che hanno vinto clamorose battaglie contro governi e
multinazionali.
E' vero che ci troviamo davanti a un drammatico deficit di classe dirigente
mondiale, ma è anche vero che la scala dei movimenti, almeno nel nord del mondo
è completamente sparpagliata sui territori e non è sommabile in nulla per
proposte alternative: il basso produce conflitti spesso patologici e speculari
alla patologia dell'alto.
Ma in un mondo in cui anonime e incontrollabili società di rating possono
decidere le sorti di un Paese intero e in un mondo in cui con un click inviato
da una macchina si decide in un millisecondo il destino delle materie prime e
dell'energia che sono i veri beni comuni, ci sembra che inquadrare il contesto
reale sia fondamentale.
( * recensione su greenreport.it 14 luglio
2011 )
Giuseppe De Marzo: Attivista,
economista-ecologista, giornalista e scrittore, nato nel 1973, lavora da anni nelle reti sociali, nei
movimenti italiani e in America Latina a fianco delle popolazioni e
organizzazioni indigene, sindacali e rurali. Nel 2002 viene arrestato in
Ecuador, per le attività contro le multinazionali petrolifere, detenuto per tre
giorni nel carcere speciale CDP, e trasferito negli Stati Uniti. Nel 2003 è tra
i fondatori dell'Associazione A Sud, di cui da allora è portavoce. Ha pubblicato
“Il sangue della Terra” - primo Atlante geografico del petrolio nell’Amazzonia
ecuadoriana; ha scritto, con altri autori, “Cuba, orgoglio e pregiudizi”; con
Sheiwiller ha pubblicato il libro “Da Seattle a Porto Alegre”. È stato relatore
sui temi della globalizzazione finanziaria dell’economia, dei beni comuni e
della democrazia partecipativa in numerosi forum internazionali, come i Forum
Sociale Mondiali a Belem, Porto Alegre e Caracas. È consulente politico per
molte organizzazioni sindacali e forze politiche di paesi dell’America Latina.
Dal 2007 è co-fondatore e coordina le attività di ricerca, formazione e
elaborazione testi del CDCA (Centro Documentazione di Conflitti Ambientali).
Scrive per diverse testate giornalistiche tra cui “il Manifesto”,
“Latinoamerica”, “Loop”, “Carta”. È membro di reti internazionali tra cui
l’ISEE - International Society for an Ecological Econom.
nel video: un recente intervento ad un assemblea nazionale di Alba a Parma.
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