di Fabio
Marcelli *
Sono reduce
da alcuni giorni di Germania: Francoforte e poi una bella traversata in autobus
fino a Berlino, città dove oggi affluiscono non a caso dall’estero migliaia di
giovani, anche italiani. Dopo aver parlato giustamente tanto
male della Merkel, giustizia vuole che oggi
io parli bene del suo Paese. Perché se lo merita e perché sottolineare talune
caratteristiche del sistema tedesco giova secondo me anche al nostro, ben più
squinternato, sofferente ed iniquo.
Voglio
partire da un dato: la dignità del lavoro, ben più rispettato e
considerato in Germania che da noi. Non è casuale che viga là una legislazione di vincolo sui
licenziamenti ben più ampia e rigida di quella della quale il
governo Monti-Marchionne-Fornero, con l’appoggio esterno dei capicasta Alfano,
Bersani e Casini, ha voluto rabbiosamente sbarazzarsi, nella sciocca illusione
che questo porterà a un’alluvione di investimenti esteri in Italia. Anche
la cosiddetta “riforma” Schroeder, tanto sbandierata dai neoliberisti, ha
appena scalfito queste garanzie.
La verità è
che la radice della migliore situazione economica tedesca non stanno nella
schiavitù del lavoro salariato, che si vorrebbe imporre da noi come ricetta di
successo, ma nel maggior dinamismo della classe imprenditoriale, che proprio da
un rapporto più corretto e rispettoso con i dipendenti trae linfa di
rinnovamento e iniziativa, oltreché in un ruolo più dinamico dello Stato.
Non è
casuale che in Germania il lavoro sia retribuito ben più che da noi. Non è
casuale che in Germania viga la Mitbestimmung, codecisione fra lavoratori
e imprenditori sulle questioni che riguardano la gestione degli
stabilimenti. Non è casuale che in Germania ci sia, per passare ad altro
argomento, una legge elettorale che non ha bisogno del meccanismo
antidemocratico del premio di maggioranza per conferire stabilità ai
governi. Non è casuale che la possibilità di ricorrere alla Corte
costituzionale contro le leggi che si ritengono antidemocratiche sia ben più
ampia che da noi. Non è casuale che il Paese in questione sia organizzato
e i suoi cittadini dotati di maggiore senso civico.
Certo, anche
la Germania è oggi sotto l’attacco della globalizzazione sregolata sotto
il segno e negli interessi del capitale finanziario. Prova ne sia che aumentano
anche lì le disuguaglianze e i guadagni di tipo speculativo. Perfino
sull’organo del moderato Partito socialdemocratico (SDP) ho trovato un vibrante
atto d’accusa contro la finanza.
C’è poi il
pericolo del razzismo che come sempre si affaccia con maggiore
determinazione nei momenti di crisi. Una destra violenta che soffia sul
fuoco dell’odio razziale nei confronti degli immigrati. Un centinaio di
attacchi a sfondo razziale nella sola Berlino due anni fa. Una destra più ampia
che cavalca il razzismo nei confronti degli Europei del Sud, ritenuti ingiustamente
fannulloni e spendaccioni, quando il problema riguarda semmai le classi
politiche di questi Paesi, ma anche la loro imprenditoria assistita e
parassitaria che dopo aver campato per anni e anni sui contributi statali
scopre oggi la “dimensione globale” sputando nel piatto dove ha mangiato. Con
l’ottica non dell’imprenditore onesto ma del predone opportunista. Quella oggi
imposta dalla finanza dominante.
Ma la
Germania produce anche importanti anticorpi. Dai gruppi
antifascisti che si oppongono in modo militante ai neonazisti, ad intellettuali
come Habermas, che rilancia oggi il discorso di una nuova Europa
effettivamente democratica e solidale.
Da questa
Germania, che rinnova e attualizza le conquiste intellettuali di Kant, Karl
Marx, Rosa Luxemburg e molti altri, non possiamo e non dobbiamo oggi
dividerci. Dobbiamo al contrario rafforzare i nostri legami con essa, nella
prospettiva di un’Europa che sia finalmente all’altezza delle sfide che pone la
contemporaneità. Riscoprendo la centralità del lavoro e liberandoci
finalmente dei parassiti politici e sociali,
da Formigoni a Marchionne, da Penati a Lombardo, dalla Polverini a Riva, a
troppi altri, che stanno mandando in malora il nostro Paese.
* dal blog su ilfattoquotidiano.it – 21 settembre 2012
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