Come è noto ad alcuni domenica 23 novembre, fra qualche
ora, si svolgeranno le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Entrambe
anticipate rispetto alla primavera del 2015 quando è previsto il voto in metà delle regioni italiane. A causa delle
sfortune giudiziarie di Errani (PD) in Emilia R. e di Scopelliti (PDL- FI fino
a ieri) in Calabria, circa 5,2 milioni di elettori su 50 ( 3,5 e 1,7 milioni
rispettivamente) sono chiamati al voto regionale.
Poche parole sulla Calabria dove al momento i vari
gruppi che si spartiscono, al posto dello Stato, la gestione delle risorse del
territorio, e che si sono per anni aggregati attraverso l'uso delle variegate e
variabili componenti del centro-destra sembra si stiano orientando a cambiare
cavallo per continuare a fare le stesse cose. Forti anche di un cambiamento
delle regole elettorali per le quali solo coalizioni o partiti che superano
l'8% possono ottenere degli eletti. Disegnato inizialmente prevalentemente in
funzione antigrillina, oggi sembra quasi un operazione superflua. Il M5S sembra
aver fatto tutto da solo. Ben lontano dal risultato trionfale ottenuto alle politiche
del 2013 non è stato in grado di aggregare forze significative sul territorio.
Nelle elezioni del comune di Reggio Calabria di un mese fa dal 25% è passato al
2%. Non eleggerà nessuno.
Molto più problematica la situazione emiliana, la
regione storicamente più immobile elettoralmente dal dopoguerra che dopo le
regionali del 2010 caratterizzate da un inaspettato astensionismo ( 500mila
nuovi astenuti in più su 3,5 milioni di elettori ), ha visto notevoli
cambiamenti nelle elezioni politiche del febbraio 2013 ( successo del M5S) e nelle europee del maggio 2014. Il successo del
M5S ma anche un astensionismo che si
profila come inarrestabile sono state una vera novità nella tradizionale
roccaforte della tradizionale sinistra.
In Emilia sono quattro i candidati più significativi: Stefano Bonaccini del PD, bersaniano,
oggi renziano, e soprattutto segretario regionale del PD nonché responsabile
Enti locali nella direzione nazionale, con due altre liste di sostegno,
praticamente la parte di apparato di SEL ed una civica ad hoc. Giulia Gibertoni per il M5Stelle, prima
non eletta alle europee e scelta in rete nella regione dove i problemi interni
al movimento si sono manifestati già da tempo. Alan Fabbri della Lega Nord, a capo della coalizione comprendente
anche Forza Italia e Fratelli d' Italia (una componente proveniente da AN non
confluita in Forza Italia ). Cristina
Quintavalla per L'altra Emilia Romagna cioè i referenti locali della lista
Tsipras comprendente anche candidati di Rifondazione e Comunisti Italiani.
Poiché il quorum delle liste è per tutte al 3% non è
chiaro se ci saranno risultati a destra per il gruppo degli ex AN da soli e se le
due componenti a sinistra del PD separate ( SEL e Tsipras ) riusciranno a
elidersi a vicenda. C'è anche Rondoni , candidato di una coalizione NCD/UDC che
sa molto di provvisorio e Mazzanti di Liberi Cittadini per l'Italia ispirata da
vari ex grillini ( Salsi-Favia anche sostenuti da altri fuoriusciti più
recentemente dal gruppo in Parlamento) ma anche da candidati di varie liste
civiche di piccoli comuni. Con pochissime chance per sé ma qualcuna per far
perdere un eletto al M5S e/o ai Tsipras emiliani. L'immancabile tritacarne
degli ''alternativi'' a cui siamo ormai,
purtroppo, quasi abituati.
Il PD emiliano è stato negli ultimi mesi particolarmente
sfortunato: scandali, candidati inquisiti e quindi ritiratisi, tensioni fra
renziani della prima, della seconda e della terza ora. Si resta esterefatti nel
leggere le parole dell'ex capogruppo PD in regione, un po’ il parafulmine
dell'inchiesta ''spese pazze'' che ha
portato a rispondere di fronte ai magistrati un bel numero di consiglieri
regionali di vari gruppi ( 41 su 50),
inquisiti per l'uso improprio dei fondi dei gruppi consigliari. In un incontro
di capigruppo, registrato di nascosto da Di Franceschi, eletto del M5S, per
mettere a punto una linea di difesa, l'ex capogruppo ( mica uno qualunque)
esprime la sua visione culturale a riguardo dei media, e in particolare per la
TV rispetto a Report, che ai fatti della
regione hanno dato qualche risalto, sostenendo: ''Io guardare Report? Con quella troia della Gabanelli! Appena la vedo
mi viene l’orchite''. Un compagno di partito , nel frattempo già volato in
parlamento, osserva: Non
nascondiamoci… la parte più critica delle spese ce l’abbiamo proprio su questo:
pranzi, cene e rimborsi chilometrici”. C' è anche chi ha
problemi di tenuta: '' sulla foto di
Monti io ci piscio sopra''. Ma le aspirazioni riformatrici rispetto a casta
e informazione appaiono chiare: '' se
fossi Berlusconi con cinque reti andrei tutte le sere in televisione a dire che
quelli della carta stampata sono delle teste di cazzo''.
Al colmo della
sfortuna anche Hera, la multiutility di successo di Bologna che gestisce gas,
luce, acqua e rifiuti nella città, diventa un problema. Nell’ultima puntata di
Report è “saltato fuori” che il territorio sul quale Hera opera con 700
dipendenti è inquinato di idrocarburi, non è stato bonificato e che i vertici
della società sono stati in affari, però a loro insaputa, con la famiglia
camorrista dei Cosentino. Vertici comunque di certo efficienti considerato che
il presidente dell’Hera guadagna 1.500 euro
al giorno.
Non stupisce che nel confronto fra i quattro candidati principali in
chiusura della campagna elettorale su Sky, concentratosi alla fine su la casta,
i soldi e la politica, la candidata del M5S abbia, secondo tutti gli
osservatori, trionfato. Un sondaggio istantaneo le ha attribuito il 45% dei
consensi, seguita dal 25% del candidato leghista ed il 24% del candidato PD.
Ma il PD vincerà le elezioni comunque. Viene considerato
un buon obiettivo avere ''solo'' il 50% di astensionismo e conquistare il 50%
dei voti validi per la coalizione. In una regione dove fino al 2008 andava al
voto un po’ meno dell'80% degli elettori e il partito di Errani, con il suo
terzo mandato di governatore da molti considerato fuori dalla legge, andava
sempre ben al di sopra del 50%.
Non tira buona aria comunque per i risultati del M5S,
dove tensioni fra gruppi interni , espulsioni e lacerazioni avranno i loro
prevedibili effetti. Grillo, che è stato molto defilato rispetto alla campagna
elettorale, è comparso infine, senza preavviso , ad un incontro di chiusura a
cui partecipava Di Maio nel quale in modo un po’ criptico ha sostenuto che è tempo
che gli attivisti del movimento inizino a imparare a cavarsela da soli. Contro
il 25 ed il 20% degli ultimi test del 2013 e 2014 verrebbe considerato un buon
risultato superare il 15% ed ottenere 5 o 6 eletti. Sarò il solito pessimista
ma vedo le ragioni per essere un po’ più prudenti…
L'astensionismo e insieme la misura della tenuta del
residuo elettorato PD, del ripiegamento
grillino, dell'espansione leghista nella nuova versione ''nazionale'' di
Salvini, sono le quattro incognite del voto.
L'astensionismo in particolare si presenta come l'ultima
vera arma di salvezza della casta dei partiti. Insieme allo smantellamento
definitivo delle regole elettorali che si profila attraverso il
supermaggioritario dell' italicum sono le due armi con le quali si
confermerebbe ''il trionfo del gattopardo'' italiano.
In
allegato alcuni dati sugli andamenti elettorali tratti da uno studio di
qualche tempo fa svolto dalla Giunta regionale emiliana.
Nessun commento:
Posta un commento