23 novembre 2014

Emilia Romagna e Calabria: premesse al voto, se voteranno



di Massimo Marino

Come è noto ad alcuni domenica 23 novembre, fra qualche ora, si svolgeranno le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Entrambe anticipate rispetto alla primavera del 2015 quando è previsto il voto in  metà delle regioni italiane. A causa delle sfortune giudiziarie di Errani (PD) in Emilia R. e di Scopelliti (PDL- FI fino a ieri) in Calabria, circa 5,2 milioni di elettori su 50 ( 3,5 e 1,7 milioni rispettivamente) sono chiamati al voto regionale. 

Poche parole sulla Calabria dove al momento i vari gruppi che si spartiscono, al posto dello Stato, la gestione delle risorse del territorio, e che si sono per anni aggregati attraverso l'uso delle variegate e variabili componenti del centro-destra sembra si stiano orientando a cambiare cavallo per continuare a fare le stesse cose. Forti anche di un cambiamento delle regole elettorali per le quali solo coalizioni o partiti che superano l'8% possono ottenere degli eletti. Disegnato inizialmente prevalentemente in funzione antigrillina, oggi sembra quasi un operazione superflua. Il M5S sembra aver fatto tutto da solo. Ben lontano dal risultato trionfale ottenuto alle politiche del 2013 non è stato in grado di aggregare forze significative sul territorio. Nelle elezioni del comune di Reggio Calabria di un mese fa dal 25% è passato al 2%. Non eleggerà nessuno.

Molto più problematica la situazione emiliana, la regione storicamente più immobile elettoralmente dal dopoguerra che dopo le regionali del 2010 caratterizzate da un inaspettato astensionismo ( 500mila nuovi astenuti in più su 3,5 milioni di elettori ), ha visto notevoli cambiamenti nelle elezioni politiche del febbraio 2013 ( successo del M5S)  e nelle europee del maggio 2014. Il successo del M5S ma anche un  astensionismo che si profila come inarrestabile sono state una vera novità nella tradizionale roccaforte della tradizionale sinistra.

 
In Emilia sono quattro i candidati più significativi: Stefano Bonaccini del PD, bersaniano, oggi renziano, e soprattutto segretario regionale del PD nonché responsabile Enti locali nella direzione nazionale, con due altre liste di sostegno, praticamente la parte di apparato di SEL ed una civica ad hoc. Giulia Gibertoni per il M5Stelle, prima non eletta alle europee e scelta in rete nella regione dove i problemi interni al movimento si sono manifestati già da tempo. Alan Fabbri della Lega Nord, a capo della coalizione comprendente anche Forza Italia e Fratelli d' Italia (una componente proveniente da AN non confluita in Forza Italia ). Cristina Quintavalla per L'altra Emilia Romagna cioè i referenti locali della lista Tsipras comprendente anche candidati di Rifondazione e Comunisti Italiani. 

Poiché il quorum delle liste è per tutte al 3% non è chiaro se ci saranno risultati a destra per il gruppo degli ex AN da soli e se le due componenti a sinistra del PD separate ( SEL e Tsipras ) riusciranno a elidersi a vicenda. C'è anche Rondoni , candidato di una coalizione NCD/UDC che sa molto di provvisorio e Mazzanti di Liberi Cittadini per l'Italia ispirata da vari ex grillini ( Salsi-Favia anche sostenuti da altri fuoriusciti più recentemente dal gruppo in Parlamento) ma anche da candidati di varie liste civiche di piccoli comuni. Con pochissime chance per sé ma qualcuna per far perdere un eletto al M5S e/o ai Tsipras emiliani. L'immancabile tritacarne degli ''alternativi''  a cui siamo ormai, purtroppo,  quasi abituati. 

Il PD emiliano è stato negli ultimi mesi particolarmente sfortunato: scandali, candidati inquisiti e quindi ritiratisi, tensioni fra renziani della prima, della seconda e della terza ora. Si resta esterefatti nel leggere le parole dell'ex capogruppo PD in regione, un po’ il parafulmine dell'inchiesta  ''spese pazze'' che ha portato a rispondere di fronte ai magistrati un bel numero di consiglieri regionali  di vari gruppi ( 41 su 50), inquisiti per l'uso improprio dei fondi dei gruppi consigliari. In un incontro di capigruppo, registrato di nascosto da Di Franceschi, eletto del M5S, per mettere a punto una linea di difesa, l'ex capogruppo ( mica uno qualunque) esprime la sua visione culturale a riguardo dei media, e in particolare per la TV rispetto a Report,  che ai fatti della regione hanno dato qualche risalto, sostenendo: ''Io guardare Report? Con quella troia della Gabanelli! Appena la vedo mi viene l’orchite''. Un compagno di partito , nel frattempo già volato in parlamento, osserva: Non nascondiamoci… la parte più critica delle spese ce l’abbiamo proprio su questo: pranzi, cene e rimborsi chilometrici”. C' è anche chi ha problemi di tenuta: '' sulla foto di Monti io ci piscio sopra''. Ma le aspirazioni riformatrici rispetto a casta e informazione appaiono chiare: '' se fossi Berlusconi con cinque reti andrei tutte le sere in televisione a dire che quelli della carta stampata sono delle teste di cazzo''. 
Al colmo della sfortuna anche Hera, la multiutility di successo di Bologna che gestisce gas, luce, acqua e rifiuti nella città, diventa un problema. Nell’ultima puntata di Report è “saltato fuori” che il territorio sul quale Hera opera con 700 dipendenti è inquinato di idrocarburi, non è stato bonificato e che i vertici della società sono stati in affari, però a loro insaputa, con la famiglia camorrista dei Cosentino. Vertici comunque di certo efficienti considerato che il  presidente dell’Hera guadagna 1.500 euro al giorno. 

Non stupisce che nel confronto fra i quattro candidati principali in chiusura della campagna elettorale su Sky, concentratosi alla fine su la casta, i soldi e la politica, la candidata del M5S abbia, secondo tutti gli osservatori, trionfato. Un sondaggio istantaneo le ha attribuito il 45% dei consensi, seguita dal 25% del candidato leghista ed il 24% del candidato PD.


Ma il PD vincerà le elezioni comunque. Viene considerato un buon obiettivo avere ''solo'' il 50% di astensionismo e conquistare il 50% dei voti validi per la coalizione. In una regione dove fino al 2008 andava al voto un po’ meno dell'80% degli elettori e il partito di Errani, con il suo terzo mandato di governatore da molti considerato fuori dalla legge, andava sempre ben al di sopra del 50%. 

Non tira buona aria comunque per i risultati del M5S, dove tensioni fra gruppi interni , espulsioni e lacerazioni avranno i loro prevedibili effetti. Grillo, che è stato molto defilato rispetto alla campagna elettorale, è comparso infine, senza preavviso , ad un incontro di chiusura a cui partecipava Di Maio nel quale in modo un po’ criptico ha sostenuto che è tempo che gli attivisti del movimento inizino a imparare a cavarsela da soli. Contro il 25 ed il 20% degli ultimi test del 2013 e 2014 verrebbe considerato un buon risultato superare il 15% ed ottenere 5 o 6 eletti. Sarò il solito pessimista ma vedo le ragioni per essere un po’ più prudenti…

L'astensionismo e insieme la misura della tenuta del residuo elettorato PD, del  ripiegamento grillino, dell'espansione leghista nella nuova versione ''nazionale'' di Salvini, sono le quattro incognite del voto.
L'astensionismo in particolare si presenta come l'ultima vera arma di salvezza della casta dei partiti. Insieme allo smantellamento definitivo delle regole elettorali che si profila attraverso il supermaggioritario dell' italicum sono le due armi con le quali si confermerebbe ''il trionfo del gattopardo'' italiano. 

In allegato alcuni dati sugli andamenti elettorali tratti da uno studio di qualche tempo fa svolto dalla Giunta regionale emiliana.   

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