di Giuseppe
Travaglini
Alla politica di
moderazione salariale e alla crescente flessibilità del lavoro la risposta
delle imprese è stata il disimpegno negli investimenti e nella ricerca.
Nel 1930 scriveva
Keynes che in quegli anni, alla nozione secondo cui «se si paga meglio una
persona la si rende più efficiente», si andava sostituendo la massima più
moderna «per cui se si paga meglio una persona si rende il suo datore di lavoro
più efficiente, forzandolo a scartare metodi ed impianti obsoleti ... elevando
così lo standard generale» ("The question of high wages", The
Political Quarterly, 1930).
Viene da chiedersi:
quanto è attuale questa riflessione? Se guardiamo alle trasformazioni in negativo
della nostro sistema produttivo la risposta è: molto. Difatti, alla politica di
moderazione salariale, all'introduzione del doppio livello di contrattazione e
alla crescente flessibilità del lavoro la risposta delle imprese è stata il
disimpegno negli investimenti reali e nella ricerca, con ricadute drammatica su
produttività e salari. E dunque? Credo sia una opinione condivisa che il costo
del lavoro non costituisce solo, se molto elevato, un fattore di perdita di
competitività ma anche, se basso, un minore incentivo al dinamismo delle
imprese. Così, credo che l'attuale deriva del sistema produttivo italiano offra
una base statistica concreta a questo punto di vista. Insomma, per l'Italia
emerge un quadro macroeconomico coerente con le considerazioni keynesiane
secondo cui un basso costo del lavoro può avere l'effetto di disincentivare «le
energie latenti dell'imprenditore grazie alle quali è possibile finanziare
l'aumento salariale». Perciò, dobbiamo trovare il modo di fuoriuscire dalla
trappola della flessibilità che sostituendo il lavoro di bassa qualità al
capitale e alla tecnologia, ed erodendo la produttività, mantiene
l'occupazione, e le imprese, in uno stato di sopravvivenza.
Questa
considerazione è rivolta anche alla più recente riforma del mercato del lavoro,
attualmente in gestazione. Vanno creati nuovi posti di lavoro. Ma, non è
deregolamentando ulteriormente il lavoro che si crea occupazione buona e
stabile. C'è bisogno di un nuovo modello di sviluppo sostenibile fondato sulla
centralità della conoscenza e della ricerca, che crei occupazione di qualità in
un contesto di investimenti e salari crescenti. Non ci sono altre vie
praticabili per una occupazione buona e stabile. La trappola della
flessibilità, difatti, crea solo posti di lavoro transitori che erodono la
produttività. Li consuma, e poi li espelle, seppellendo, insieme ai posti di
lavoro, le stesse imprese sempre meno capaci di competere lungo la scala della
competitività internazionale.
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da www.sbilanciamoci.info - 20 giugno
2014
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