13 giugno 2009

Marco Boato: i Verdi hanno ancora un futuro in Italia?

Per la seconda volta nel giro di un anno mi sono trovato, esclusivamente per lealtà politica, a fare una campagna elettorale per i Verdi in riferimento a due scelte politiche che non ho condiviso. L’anno scorso per la “Sinistra Arcobaleno” alle elezioni politiche e quest’anno per “Sinistra e Libertà” alle elezioni europee.
Prima delle elezioni parlamentari del 2008, quando anche i Verdi furono spazzati via dal Parlamento italiano, dove erano stati presenti fin dal 1987, avevo affermato: “Io sono nei Verdi fin dall’inizio, con Alex Langer, e penso che non sia immaginabile che un lavoro fatto per un quarto di secolo, anche in Europa, di costruzione di questo soggetto politico possa essere liquidato per un fenomeno di insipienza politica e di incapacità di direzione politica, che purtroppo ormai è sotto gli occhi di tutti”.


Detto questo prima delle elezioni del 2008 - quando avevo anche ammonito: “Fermiamoci prima che sia troppo tardi e si sfascino i Verdi!” -, subito dopo lo tsunami del risultato elettorale, ero intervenuto nel Consiglio federale nazionale dei Verdi l’11 maggio 2008 a Roma ed ho successivamente stampato e diffuso il mio discorso, intitolandolo: “I Verdi hanno ancora un futuro in Italia?”. Questa domanda drammatica (almeno per chi ha dedicato a questo impegno quasi metà della propria vita) ritorna oggi, dopo le elezioni europee e quelle amministrative, con una attualità sconvolgente.
Perché queste mie faticose riflessioni non sembrino il frutto amaro del “senno del poi” (di cui sono piene le fosse), riporto qui una tra le tante argomentazioni di quell’intervento dell’11 maggio 2008: “Dunque, o i Verdi cambiano radicalmente rotta e gruppo dirigente, metodo di direzione politica e rapporto con la società e le istituzioni a tutti i livelli, in un’ottica autenticamente federalista anche al proprio interno, superando inoltre ogni mentalità centralistica da piccolo partito monocratico o oligarchico, per ritornare all’altezza delle sfide epocali sul piano politico, ma anche culturale e scientifico, e persino umano e degli stili di vita, oppure i Verdi italiani sono destinati rapidamente a scomparire, non solo dal Parlamento nazionale ma anche da quello europeo, e via via anche dalle Regioni e dagli enti locali, dove pure sono nati con l’Arcipelago verde e poi con la Federazione delle Liste verdi negli anni ‘80”.


Qualcuno mi considerò allora come una sorta di “profeta di sventura”, ma io stesso non avrei immaginato fino a che punto quella terribile previsione dell’anno scorso si sarebbe puntualmente verificata nel giro di un solo anno (con qualche rara eccezione, a cominciare dal Trentino-Alto Adige).
Avevo ammonito che i Verdi, senza una svolta profonda, sarebbero arrivati rapidamente al capolinea. Aggiungendo tuttavia: “Ma non è arrivata al capolinea la questione ecologica, la centralità della questione ambientale, l’importanza di uno stretto rapporto tra economia ed ecologia, la promozione dei diritti umani e la tutela dei diritti civili, la cultura della pace e della convivenza, la battaglia per la giustizia e lo Stato di diritto. E non è arrivata al capolinea la crescente necessità di una cultura ecologica di governo, nel momento in cui i cambiamenti climatici, l’effetto serra, la questione energetica, l’inquinamento atmosferico, le malattie di origine ambientale, il dramma dell’acqua e della desertificazione, e via elencando, sono tra i punti prioritari dell’agenda politica europea e mondiale, e dovrebbero esserlo anche dell’agenda poltica italiana”.


La svolta profonda, che era la pre-condizione per un possibile recupero della “ragione sociale” di un progetto ecologista coraggioso, aperto, plurale, lungimirante, non c’è stata. La scelta di una alleanza elettorale che ha nuovamente ricompreso i Verdi nell’alveo consunto della “Sinistra” si è dimostrata (sia pure senza i comunisti della falce e martello, fortunatamente) altrettanto perdente di quella precedente con la “Sinistra Arcobaleno”.
Le ragioni di un progetto ecologista sono letteralmente scomparse nell’immagine nazionale della “Sinistra di Vendola e Fava” (ottime persone, del resto, ma che nessuno ha mai deciso di nominare nostri leader…), così identificata non solo prima, ma anche nei commenti successivi alle elezioni. I Verdi, per la seconda volta nel giro di un anno, sono politicamente scomparsi dalla scena politica nazionale, ed era quindi inevitabile (oltre che per altre ragioni di carattere locale, pur esistenti) che questa sostanziale assenza e invisibilità politica si ripercuotesse nelle concomitanti elezioni amministrative. Appunto, come avevo ammonito inascoltato: “oppure i Verdi sono destinati rapidamente a scomparire…”. Era necessario “un nuovo inizio”. Siamo invece precipitati in una nuova catastrofe, siamo stati travolti da un altro tsunami, purtroppo facilmente prevedibile.


E’ vero che c’è una forte ondata di destra (politica e culturale) in Italia e in Europa. Ma in molti paesi europei sono stati proprio i Verdi ad affermare una proposta politica e una identità culturale alternativa, facendo passare il Gruppo verde al Parlamento di Strasburgo da 43 (tra cui due italiani) a 53 eurodeputati (senza alcun italiano), affermandosi come quarta forza politica a livello europeo.

Proviamo ad elencare, per non precipitare nel solipsismo italico: 14 eurodeputati eletti in Germania (col 12,1 %, terza forza politica), 14 in Francia (col 16,28, appena lo 0,2 meno dei socialisti), 5 in Gran Bretagna (13,36 %), 3 in Belgio e 3 in Olanda, 2 in Austria ( 9,5%,), 2 in Finlandia (col 12,4), 2 in Svezia (col 10,08), 2 in Danimarca, 1 in Lussemburgo (col 16,84), ma anche 1 in Romania, 1 in Lettonia e 1 in Grecia, 2 in Spagna.
Dunque, non è più solo l’Europa centro-settentrionale a vedere l’affermazione storica dei Verdi, ma anche paesi che, come l’Italia, appartengono all’Europa mediterranea: basti pensare al risultato strepitoso in Francia, ma anche alla presenza in Spagna e in Grecia.


Nessuno poteva pensare di poter ripetere in Italia gli straordinari risultati di Dany Cohn-Bendit in Francia, ma c’era un messaggio esplicito in quella iniziativa. Non una alleanza “di sinistra”, ma la proposta aperta di “Europe écologie”. Dunque nel simbolo e nel programma sia l’Europa (di fronte alla “nazionalizzazione” di tutte le campagne elettorali) sia l’Ecologia, duplice punto di riferimento non per “andare da soli”, ma per costruire una alleanza davvero innovativa, davvero trasversale, fuori dagli schemi ideologici consunti ereditati dal Novecento (e persino dall’Ottocento!).
I Verdi sono un movimento politico nato proprio per superare le vecchie ideologie politiche e invece per la seconda volta si sono ritrovati in Italia assorbiti e sostanzialmente annichiliti in una delle tante e stanche riedizioni della “Sinistra”, con tutto il rispetto parlando per chi sente ancora questo “richiamo della foresta”.


Per qualche mese, dopo la fallimentare esperienza della “Sinistra Arcobaleno” c’è stato chi ha tentato di mantenerla in vita con la respirazione artificiale. Ora, spazzati via anche dal Parlamento europeo oltre che dal Parlamento nazionale, c’è chi ha il coraggio di considerare soddisfacente il risultato del 3,1% e medita di praticare il “bocca a bocca” pure su questo secondo esperimento fallito e fallimentare.
Tutto il mio rispetto per chi pensa di proseguire su questa strada, perché si tratta di persone rispettabili con oneste convinzioni. Ma con tutto questo i Verdi non hanno nulla a che fare non tanto in termini di alleanze elettorali (sempre possibili, purchè almeno siano innovative e vincenti), quanto in termini di progetto politico.
Un anno fa avevo proposto ai Verdi “un nuovo inizio”, non per chiudersi in se stessi, ma per recuperare identità culturale, aperta e plurale, e autonomia politica, capace di confrontarsi con gli altri soggetti politici, grandi o piccoli che fossero. Ma se si cancella l’identità culturale e si distrugge l’autonomia politica, il progetto ecologista è destinato a scomparire, nonostante ci siano tutte le ragioni – oggi molto più di ieri – per la sua esistenza, per la sua attualità, per il suo futuro.
In fondo, anche negli anni ’80 questo progetto è nato ed è partito da zero, facendo tesoro dei nuovi movimenti che avevano cominciato ad esprimersi nella società dopo il crollo delle ideologie totalizzanti. Ora, per insipienza politica e debolezza culturale, siamo ritornati quasi al punto di partenza, quasi dovunque (ma in Alto Adige i candidati verdi, riaffermando in ogni occasione la loro identità verde, hanno ottenuto il 10,9%!).


Ripeto la domanda: “I Verdi hanno ancora un futuro in Italia?”. Ripeto la risposta, oggi assai più problematica e difficile di ieri, dopo un anno perso nella coazione a ripetere: “Un nuovo inizio”… Davvero, “errare humanum est, perseverare diabolicum”. Del resto, un anno fa, prima del ritorno dalla Germania di Daniel Cohn-Bendit, i Verdi francesi non erano messi molto meglio dei Verdi italiani. Ma bisogna crederci, bisogna volerlo, prima che sia troppo tardi. O è già troppo tardi?
Marco Boato (ex senatore, portavoce dei Verdi del Trentino )

1 commento:

  1. Anonimo10:56

    mi dispiace dirlo ma i verdi, dopo 20 anni di guai combinati dai nostri dirigenti, non hanno un futuro. noi abitiamo in Italia dove l'ambientalismo è una virtù di pochi, e i casi del nord europa possiamo solo ammirarli ma non riusciremo mai a portarli da noi.

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