di Marco Rovelli *
Fin dove
arriva l’estensione dell’impunità? Fin dove ci si può spingere nel massacro e
nel disprezzo del diritto? Fin dove si può farlo nella più totale indifferenza
della comunità internazionale e dei media? Erdogan ci sta mostrando sul campo
che questi confini sono assai estensibili. Quella porzione di Medio Oriente che
dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano prese il nome di Siria, e che adesso
si è dissolta a sua volta, è il luogo ideale per riplasmare i confini di ciò
che è lecito. Ed è lecito tutto ciò che si può fare, come nello stato di natura
di Hobbes e Spinoza. In quello stato di natura non esiste alcuno Stato civile:
l’assoluta libertà di massacro di Erdogan, allora, ci mostra che non è
collassata solo la sovranità statale siriana, ma pure qualsiasi simulacro di
comunità internazionale. Erdogan ha di fatto invaso la Siria, e tutto accade
come nulla fosse: perché, dal punto di vista di una comunità internazionale,
che non esiste in quanto comunità normata da un diritto, nulla è, in effetti.
Erdogan massacra i curdi, tanto combattenti quanto civili, e, ancora, nulla è.
I curdi del resto sono da cent’anni l’assoluto rimosso del Medio Oriente,
vittima silenziosa delle strategie delle sovranità statali.
Negli ultimi
quindici anni i curdi hanno provato a mettere in discussione il principio della
sovranità dello Stato-nazione, attraverso la teoria del confederalismo
democratico: e così adesso, quel Leviatano si abbatte su di loro, in forma di
vendetta, lacerando ancora le carni di quel popolo ribelle. Mentre il
sacrificio si compie, il mondo resta ammutolito. Ma non perché sgomento dalla
terribile entità di quel massacro. Piuttosto, perché nulla sa, e, se sa
qualcosa, preferisce non farne parola. Così appaiono del tutto naturali le
immagini di Erdogan in visita in Italia senza che nessuno dei nostri governanti
abbia osato far cenno dei suoi crimini. Un’infamia inemendabile. E allora, sia
gratitudine a chi è penetrato nei cancelli della fabbrica Agusta, il luogo
primo della nostra complicità nel massacro in corso. È con i nostri elicotteri
Agusta Westland che il massacro viene compiuto. Le pale degli elicotteri fanno
un rumore tale, e le bombe sganciate, che il silenzio dei media e dei
governanti si fa sempre più assordante.
Fanno bene
al cuore le immagini della partecipazione alle manifestazioni per Afrin, certo:
ma è sempre troppo poco quel che possiamo fare, perché il silenzio del discorso
pubblico ci sopravanza. Ciò, ovviamente, non ci esime dal continuare a fare.
Bisogna ricordare, senza posa, a fronte dell’obsolescenza programmata del
discorso pubblico, dove i morti scompaiono dalla scena più velocemente di una
qualsiasi canzone pop, di qualsiasi tormentone estivo, come si getta un bene di
consumo qualsiasi nell’immondizia. Ricordiamo, invece. Ricordiamoci di Alan
Kurdi, quel bambino curdo finito morto riverso sulla spiaggia, che il mondo ha
guardato in faccia per un istante, commuovendosi come sempre per interposta
persona, per poi assistere il giorno dopo a un nuovo spettacolo che cancella
quello del giorno precedente. Ricordiamolo, che migliaia di piccoli Alan Kurdi
sono uccisi, o costretti a un esodo immane, dalle nostre bombe. E ricordiamo
che Erdogan sta provando a uccidere la speranza più luminosa di un Medio
Oriente da troppo tempo disperato, la speranza costruita giorno dopo giorno da
un movimento curdo che tenta di ridare forma e contenuti e pratiche nuovi a una
parola da noi usurata e consunta e abusata: democrazia.
Ricordiamolo, che è
perché i curdi del Rojava sperimentano una democrazia radicale, che sono
massacrati.
* da www.left.it
29 marzo 2018
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