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«Se Augusto Pinochet fosse vivo voterebbe per me. Se
lo avessi incontrato ora, avremmo preso una tazza di tè a La Moneda».
Così parlava, nel 2017, José Antonio Kast, superfavorito al ballottaggio
del prossimo 14 dicembre in Cile, citando il palazzo presidenziale
di Santiago, lo stesso che il dittatore bombardò nel 1973 per eliminare
Salvador Allende. Otto anni dopo, alla sua terza corsa elettorale, Kast ha
moderato i toni: non parla più con toni nostalgici del generale che governò
il Cile fino al 1990 e non promette più di liberare gli ufficiali
responsabili di violazioni dei diritti civili in quegli anni. Anche perché
c’erano altri candidati, al primo turno di domenica scorsa, più a destra di
lui, come Johannes Kaiser, un emulo dell’ultra-libertario argentino Javier
Milei, che peraltro ha ora garantito l’endorsement a Kast.
 Kast è arrivato secondo alle presidenziali, con il
24,46% dei voti contro il 26,45% della comunista Jeannette Jara, candidata
della coalizione di sinistra. Ma le varie formazioni di destra, che si
erano presentate separate alle urne per misurare le rispettive forze, si
sono ricompattate. E il leader del Partito Repubblicano vincerà, salvo
sorprese, portando ancora più a destra il continente.
Dall’Alaska a Punta Arenas, l’America sta virando
decisamente a destra. Secondo BMI (società di ricerca britannica,
sussidiaria di Fitch Solutions), entro il 2026 solo Venezuela e Uruguay
manterranno governi di sinistra, riflettendo un riallineamento politico
verso politiche più autoritarie o liberiste. Un processo che è cominciato
nel 2023 con la vittoria di Javier Milei in Argentina e di Santiago
Peña in Paraguay, e che ha preso il volo quest’anno. A inizio 2025, Daniel
Noboa è stato riconfermato presidente dell’Ecuador. In Bolivia
il voto del 19 ottobre ha chiuso con una pietra tombale, dopo un ventennio,
l’era di Evo Morales e del suo successore: il candidato del partito «oficialista»
di sinistra ha ottenuto solo il 3% dei voti al primo turno e al
ballottaggio ha vinto il senatore di destra Rodrigo Paz, che ha promesso
una rottura decisiva con il passato, e la fine dei rapporti con Venezuela,
Cuba e Nicaragua. Anche il Perù, dopo l’arresto del
presidente-golpista Pedro Castillo nel 2022, è stato teatro di una decisa
svolta a destra, prima con Dina Boluarte, deposta ad ottobre per
corruzione, e ora con José Jeri, esponente del partito conservatore «Siamo
il Perù», che porterà il Paese fino alle elezioni presidenziali del
prossimo 12 aprile. Infine, molti analisti danno già per scontata, nel
marzo 2026, la vittoria di un candidato di destra in Colombia, dopo
il turbolento governo di Gustavo Petro. La domanda chiave è se
l'opposizione conservatrice riuscirà a riorganizzarsi dopo la perdita del
suo candidato presidenziale più popolare, il senatore Miguel Uribe Turbay,
morto due mesi dopo un attentato, durante la campagna elettorale a Bogotà.
La sinistra democratica resiste in Uruguay con Yamandú
Orsi, in Messico con Claudia Sheinbaum e in Brasile con Luis
Inácio Lula da Silva (ma quest’ultimo l’anno prossimo deve affrontare, a 81
anni, una nuova sfida elettorale e la destra sta già cercando un candidato
post-Bolsonaro). Poi ci sono le dittature – difficili definirle
ideologicamente, in realtà - di Venezuela, Cuba e Nicaragua, sempre
che il presidente statunitense Donald Trump non decida di forzare la mano
con la rinnovata dottrina Monroe, perché «l’America latina è il nostro
cortile di casa e abbiamo diritto a garantire anche lì la nostra sicurezza»,
parafrasando le parole del segretario di Stato Marco Rubio.
Nella svolta a destra, sostiene lo storico e politologo
uruguayano Gerardo Caetano, gioca un ruolo centrale l’inquilino della Casa
Bianca: «Trump sta intervenendo incessantemente, praticamente in ogni
Paese del mondo, e in America Latina in modo molto categorico», ha
detto in una recente intervista, sottolineando come in molti
Paesi l’estrema destra abbia scavalcato la destra tradizionale, più
moderata: «Sta accadendo in Cile e accadrà sicuramente anche in Perù».
Non è successo invece in Bolivia, dove Paz ha sconfitto il candidato
di estrema destra Jorge Quiroga. Ma nel complesso, rileva Caetano, «esperienze
ultra-radicali come quella di Nayib Bukele in El Salvador tendono a
prendere piede» e, in contemporanea, «è anche uno spostamento verso
un'America Latina in cui l'intervento degli Stati Uniti sta diventando
sempre più palese».
Sulla stessa linea, il commento di Ernesto Samper
Pizano, ex presidente colombiano (1994-1998) sul Guardian: «Con l'elezione di Trump
2.0, l'estrema destra globale ha trovato una cassa di risonanza in Florida
e in tutta la regione, con il sostegno dei leader politici di Stati Uniti, El
Salvador e Argentina. Trump, che ha dichiarato "non abbiamo
bisogno" dell'America Latina a pochi giorni dall'inizio del suo
secondo mandato, ha intensificato l'aggressività anti-latinoamericana
attraverso decisioni come la persecuzione dei migranti, la sospensione dei
programmi di aiuti tramite USAID, l'inasprimento delle sanzioni contro Cuba
e Venezuela e le assurde rivendicazioni territoriali sul Canada, sul
Golfo del Messico e sul Canale di Panama. Tutto ciò segna il ritorno dello
Zio Sam degli anni '50 e dell'Operazione Condor degli anni '70 e '80».
«Lasciarsi alle spalle il populismo che scoraggia
gli investimenti potrebbe essere una buona notizia per la regione -
commenta invece sul Miami Herald il noto opinionista Andres
Oppenheimer -. Molti fondi di investimento, per quanto assurdo possa
sembrare, vedono l'America Latina come un blocco omogeneo e la evitano
quando percepiscono sacche di instabilità. La buona notizia è che ci sono
sempre più governi responsabili, sia di centro-destra che di
centro-sinistra, nella regione. La cattiva notizia è che l'America Latina,
come dice il vecchio adagio, non perde mai l'occasione di perdere
un'occasione».
Il think tank colombiano El Sectorial parla di «un nuovo
ciclo politico che sta rimodellando il panorama economico regionale». A
partire dalla schiacciante vittoria alle legislative argentine del partito
di Javier Milei, con oltre il 40% dei voti, che «ha segnato una svolta in
quello che i mercati chiamano il "mercato elettorale
latinoamericano": una scommessa degli investitori globali su una svolta
verso politiche pro-mercato».
In realtà, nel corso del 2025, le borse valori sono
cresciute di quasi il 40% in tutte le regioni, con in testa Colombia,
Cile e Brasile, dove governa la sinistra. «Tuttavia, dietro
l'ottimismo del mercato azionario, persistono sfide strutturali: bassa
crescita (la CEPAL prevede un 2,4% per il 2025), alti livelli di
occupazione informale (quasi il 50% dei lavoratori) e disuguaglianze che
mantengono il 10% più ricco al controllo del 66% della ricchezza della
regione», conclude il think tank colombiano.
La scommessa dei mercati è dunque sul tavolo, ma la
vera domanda è se la regione riuscirà a trasformare questo «nuovo ciclo
del capitalismo» in una crescita economica stabile e sostenibile o se i
governi di destra, come accaduto peraltro a Milei, si troveranno a
camminare in equilibrio precario. Sempre che non intervengano gli Stati
Uniti, come successo in Argentina, o perfino la Cina, per togliere
dai guai gli «amici» in difficoltà.
Conor Beakey, responsabile della ricerca sull'America
Latina per BMI, è ottimista: anche se le relazioni commerciali potrebbero
subire una battuta d'arresto temporanea, l’analista prevede che la crescita
economica inizierà a riprendersi verso la fine del 2026 e accelererà
significativamente nel 2027. Il fattore determinante, secondo lo studio di
BMI, è il riallineamento politico verso una destra più autoritaria e
populista. «Questo cambiamento, che si prevede graduale, è guidato da un
elettorato sempre più conservatore, in particolare in Sud America, a
seguito del fallimento dei movimenti di sinistra nel raggiungere un
cambiamento sostenibile e duraturo», sostiene Beakey.
Shanna Bober, analista del rischio dell'America Latina in BMI, spiega che
la tendenza dei governi a consolidare il potere in nome della stabilità e
della governabilità è spinta dalla «fatica politica» dell’elettorato, dalle
debolezze economiche strutturali, dagli scandali di corruzione e dal
deterioramento della sicurezza. I cittadini stanno «ricompensando i
leader che promettono risultati rapidi», anche se questo comporta una
regressione della democrazia o una manipolazione istituzionale.
* Il Punto del Corriere della
sera ( Rassegna americana) – 18 novembre 2025
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