22 novembre 2025

Perché l'America Latina ha voglia di destra (anche estrema)

di Sara Gandolfi *


«Se Augusto Pinochet fosse vivo voterebbe per me. Se lo avessi incontrato ora, avremmo preso una tazza di tè a La Moneda». Così parlava, nel 2017, José Antonio Kast, superfavorito al ballottaggio del prossimo 14 dicembre in Cile, citando il palazzo presidenziale di Santiago, lo stesso che il dittatore bombardò nel 1973 per eliminare Salvador Allende. Otto anni dopo, alla sua terza corsa elettorale, Kast ha moderato i toni: non parla più con toni nostalgici del generale che governò il Cile fino al 1990 e non promette più di liberare gli ufficiali responsabili di violazioni dei diritti civili in quegli anni. Anche perché c’erano altri candidati, al primo turno di domenica scorsa, più a destra di lui, come Johannes Kaiser, un emulo dell’ultra-libertario argentino Javier Milei, che peraltro ha ora garantito l’endorsement a Kast.

Kast è arrivato secondo alle presidenziali, con il 24,46% dei voti contro il 26,45% della comunista Jeannette Jara, candidata della coalizione di sinistra. Ma le varie formazioni di destra, che si erano presentate separate alle urne per misurare le rispettive forze, si sono ricompattate. E il leader del Partito Repubblicano vincerà, salvo sorprese, portando ancora più a destra il continente.

Dall’Alaska a Punta Arenas, l’America sta virando decisamente a destra. Secondo BMI (società di ricerca britannica, sussidiaria di Fitch Solutions), entro il 2026 solo Venezuela e Uruguay manterranno governi di sinistra, riflettendo un riallineamento politico verso politiche più autoritarie o liberiste. Un processo che è cominciato nel 2023 con la vittoria di Javier Milei in Argentina e di Santiago Peña in Paraguay, e che ha preso il volo quest’anno. A inizio 2025, Daniel Noboa è stato riconfermato presidente dell’Ecuador. In Bolivia il voto del 19 ottobre ha chiuso con una pietra tombale, dopo un ventennio, l’era di Evo Morales e del suo successore: il candidato del partito «oficialista» di sinistra ha ottenuto solo il 3% dei voti al primo turno e al ballottaggio ha vinto il senatore di destra Rodrigo Paz, che ha promesso una rottura decisiva con il passato, e la fine dei rapporti con Venezuela, Cuba e Nicaragua. Anche il Perù, dopo l’arresto del presidente-golpista Pedro Castillo nel 2022, è stato teatro di una decisa svolta a destra, prima con Dina Boluarte, deposta ad ottobre per corruzione, e ora con José Jeri, esponente del partito conservatore «Siamo il Perù», che porterà il Paese fino alle elezioni presidenziali del prossimo 12 aprile. Infine, molti analisti danno già per scontata, nel marzo 2026, la vittoria di un candidato di destra in Colombia, dopo il turbolento governo di Gustavo Petro. La domanda chiave è se l'opposizione conservatrice riuscirà a riorganizzarsi dopo la perdita del suo candidato presidenziale più popolare, il senatore Miguel Uribe Turbay, morto due mesi dopo un attentato, durante la campagna elettorale a Bogotà.

La sinistra democratica resiste in Uruguay con Yamandú Orsi, in Messico con Claudia Sheinbaum e in Brasile con Luis Inácio Lula da Silva (ma quest’ultimo l’anno prossimo deve affrontare, a 81 anni, una nuova sfida elettorale e la destra sta già cercando un candidato post-Bolsonaro). Poi ci sono le dittature – difficili definirle ideologicamente, in realtà - di Venezuela, Cuba e Nicaragua, sempre che il presidente statunitense Donald Trump non decida di forzare la mano con la rinnovata dottrina Monroe, perché «l’America latina è il nostro cortile di casa e abbiamo diritto a garantire anche lì la nostra sicurezza», parafrasando le parole del segretario di Stato Marco Rubio.

Nella svolta a destra, sostiene lo storico e politologo uruguayano Gerardo Caetano, gioca un ruolo centrale l’inquilino della Casa Bianca: «Trump sta intervenendo incessantemente, praticamente in ogni Paese del mondo, e in America Latina in modo molto categorico», ha detto in una recente intervista, sottolineando come in molti Paesi l’estrema destra abbia scavalcato la destra tradizionale, più moderata: «Sta accadendo in Cile e accadrà sicuramente anche in Perù». Non è successo invece in Bolivia, dove Paz ha sconfitto il candidato di estrema destra Jorge Quiroga. Ma nel complesso, rileva Caetano, «esperienze ultra-radicali come quella di Nayib Bukele in El Salvador tendono a prendere piede» e, in contemporanea, «è anche uno spostamento verso un'America Latina in cui l'intervento degli Stati Uniti sta diventando sempre più palese».

Sulla stessa linea, il commento di Ernesto Samper Pizano, ex presidente colombiano (1994-1998) sul Guardian: «Con l'elezione di Trump 2.0, l'estrema destra globale ha trovato una cassa di risonanza in Florida e in tutta la regione, con il sostegno dei leader politici di Stati Uniti, El Salvador e Argentina. Trump, che ha dichiarato "non abbiamo bisogno" dell'America Latina a pochi giorni dall'inizio del suo secondo mandato, ha intensificato l'aggressività anti-latinoamericana attraverso decisioni come la persecuzione dei migranti, la sospensione dei programmi di aiuti tramite USAID, l'inasprimento delle sanzioni contro Cuba e Venezuela e le assurde rivendicazioni territoriali sul Canada, sul Golfo del Messico e sul Canale di Panama. Tutto ciò segna il ritorno dello Zio Sam degli anni '50 e dell'Operazione Condor degli anni '70 e '80».

«Lasciarsi alle spalle il populismo che scoraggia gli investimenti potrebbe essere una buona notizia per la regione - commenta invece sul Miami Herald il noto opinionista Andres Oppenheimer -. Molti fondi di investimento, per quanto assurdo possa sembrare, vedono l'America Latina come un blocco omogeneo e la evitano quando percepiscono sacche di instabilità. La buona notizia è che ci sono sempre più governi responsabili, sia di centro-destra che di centro-sinistra, nella regione. La cattiva notizia è che l'America Latina, come dice il vecchio adagio, non perde mai l'occasione di perdere un'occasione».

Il think tank colombiano El Sectorial parla di «un nuovo ciclo politico che sta rimodellando il panorama economico regionale». A partire dalla schiacciante vittoria alle legislative argentine del partito di Javier Milei, con oltre il 40% dei voti, che «ha segnato una svolta in quello che i mercati chiamano il "mercato elettorale latinoamericano": una scommessa degli investitori globali su una svolta verso politiche pro-mercato». 

In realtà, nel corso del 2025, le borse valori sono cresciute di quasi il 40% in tutte le regioni, con in testa Colombia, Cile e Brasile, dove governa la sinistra. «Tuttavia, dietro l'ottimismo del mercato azionario, persistono sfide strutturali: bassa crescita (la CEPAL prevede un 2,4% per il 2025), alti livelli di occupazione informale (quasi il 50% dei lavoratori) e disuguaglianze che mantengono il 10% più ricco al controllo del 66% della ricchezza della regione», conclude il think tank colombiano.

La scommessa dei mercati è dunque sul tavolo, ma la vera domanda è se la regione riuscirà a trasformare questo «nuovo ciclo del capitalismo» in una crescita economica stabile e sostenibile o se i governi di destra, come accaduto peraltro a Milei, si troveranno a camminare in equilibrio precario. Sempre che non intervengano gli Stati Uniti, come successo in Argentina, o perfino la Cina, per togliere dai guai gli «amici» in difficoltà.

Conor Beakey, responsabile della ricerca sull'America Latina per BMI, è ottimista: anche se le relazioni commerciali potrebbero subire una battuta d'arresto temporanea, l’analista prevede che la crescita economica inizierà a riprendersi verso la fine del 2026 e accelererà significativamente nel 2027. Il fattore determinante, secondo lo studio di BMI, è il riallineamento politico verso una destra più autoritaria e populista. «Questo cambiamento, che si prevede graduale, è guidato da un elettorato sempre più conservatore, in particolare in Sud America, a seguito del fallimento dei movimenti di sinistra nel raggiungere un cambiamento sostenibile e duraturo», sostiene Beakey.
  
Shanna Bober, analista del rischio dell'America Latina in BMI, spiega che la tendenza dei governi a consolidare il potere in nome della stabilità e della governabilità è spinta dalla «fatica politica» dell’elettorato, dalle debolezze economiche strutturali, dagli scandali di corruzione e dal deterioramento della sicurezza. I cittadini stanno «ricompensando i leader che promettono risultati rapidi», anche se questo comporta una regressione della democrazia o una manipolazione istituzionale. 

* Il Punto del Corriere della sera ( Rassegna americana) – 18 novembre 2025

 

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