22 novembre 2025

Africa: Gerontocrazia 4.0

45 giorni di passione elettorale restituiscono un'Africa apparentemente immutata. Ma tra proteste e nuove generazioni, il continente ribolle di passione. Una panoramica di Andrea Spinelli Barrile sul voto in Malawi, Costa d'Avorio, Camerun e Tanzania. 

Immagine che contiene aria aperta, cielo, fuoco, vestiti

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Potrebbe sembrare che la politica africana non sia cambiata poi molto nel periodo di 45 giorni che, tra metà settembre e fine ottobre, ha visto susseguirsi un’improbabile coincidenza di appuntamenti elettorali nel continente. Se la politica cambia poco le società africane, invece, si stanno trasformando profondamente.

Il 16 settembre i malawiani sono andati a votare per eleggere il loro presidente. L’ultima volta, nel 2019, la Corte costituzionale aveva dichiarato nullo il risultato elettorale, con i cinque giudici in giubbotto antiproiettile ad annunciare la decisione in tv: fu favorito il presidente in carica, Peter Mutharika, contro Lazarus Chakwera, che però meno di un anno dopo, nella ripetizione del voto, prevalse. Nel sequel 2025 di questo scontro Mutharika, 85 anni, si è imposto su Chakwera, 70, con il 56,8% ed è stato dichiarato presidente.

Il 12 ottobre, quasi un mese dopo, è stato il turno del Camerun: il risultato, con il 92enne presidente Paul Biya candidato per la sesta volta, era scontato. Meno i suoi effetti: un po’ per la caratura politica dell’avversario, Issa Tchiroma Bakary, un po’ per lo scollamento dalla realtà dell’establishment camerunese (Biya, nato quando Hitler diventava cancelliere del Reich, non ha potuto fare campagna elettorale a causa delle sue condizioni di salute, in un Paese dove i nati nel 2006 rappresentano l’età media), le proteste sono dilagate in tutto il Paese e non solo rinfocolando il vecchio dilemma coloniale tra le popolazioni francofone e anglofone. A fine mandato, se sopravvivrà a se stesso, Biya potrebbe avere quasi 100 anni.

Due settimane dopo, il 25 ottobre, in Costa d’Avorio Alassane Ouattara, 83 anni, ha ottenuto quasi il 90% dei voti e un quarto mandato presidenziale: al potere dal 2010, le ambizioni di Ouattara all’inizio di questo millennio hanno portato il Paese sull’orlo del collasso ma lui ne è uscito da re incontrastato: quando finirà questo mandato, Ouattara avrà poco meno di 88 anni.

Il 29 ottobre è stato il turno della Tanzania, in quella che è stata la tornata elettorale più sanguinosa dell’anno: le elezioni si sono svolte in un cimitero, da mesi nel Paese è stata scatenata quella che Amnesty International ha definito «ondata di terrore», con migliaia di critici e oppositori (ci vuole poco, basta un commento sbagliato al post sbagliato) incarcerati e il leader dell’opposizione, Tundu Lissu, accusato di tradimento e a rischio pena di morte. Il giorno del voto la rabbia è esplosa e nonostante il blackout di internet (un blocco molto efficace per gli standard africani, durato diversi giorni e che ha impedito a testimonianze, informazioni, denunce e proteste di uscire dal Paese) a migliaia hanno protestato a Dar-Es-Salaam, Arusha, Mbeya e Mwanza, beccandosi proiettili veri sparati mirando alla testa. A due settimane dalla mattanza non è ancora chiaro il numero delle vittime (tra le 3000 e le 10000 – sì, diecimila), alle quali si sono aggiunti gli omicidi di massa mirati nei centri abitati sospettati di essere roccaforti dell’opposizione. Omicidi che vanno avanti ancora oggi.

Persino l’Unione africana abbia dichiarato le elezioni tanzaniane “truccate” (Samia è stata dichiarata vincitrice con il 98% dei voti) ma è bastato ignorarla: ora l’appuntamento è al 9 dicembre, giorno dell’Indipendenza, quando i giovani tanzaniani torneranno in piazza a sfidare le mitragliatrici.

E non è finita qui: il 23 novembre sarà la Guinea Bissau ad andare al voto, un ex-narcostato (nemmeno troppo “ex”) il cui Parlamento è stato chiuso dal suo presidente, Umaro Sissoco Embalò, a dicembre 2023. Il favorito è proprio lui, Embalò, che a marzo aveva detto di non volersi ricandidare, salvo farlo dietro consiglio della moglie.

Il 28 dicembre l’anno si chiuderà con altre due elezioni presidenziali importanti, in Guinea e Repubblica Centrafricana. Nel primo caso il favorito è il leader della giunta militare attualmente al potere, Mamady Doumbouya, diplomatosi ufficiale in Francia, alla guida dell’unica giunta militare dell’Africa occidentale a non avere subito sanzioni internazionali di alcun genere e che, anzi, gode di un certo favore dei governi europei. Nel secondo caso invece il favorito è l’ex-professore di matematica Faustine Archange Touadera, alla ricerca di un terzo (illegittimo fino a un anno fa) mandato. Anche lui, amico di tutti: ha la guardia personale e i consiglieri della sicurezza che sono ex-Wagner russi, fa lavorare gli americani come contractor, ospita nel Paese una missione di caschi blu e viene a Roma molto spesso per riunioni su sicurezza e disarmo alla Comunità di Sant’Egidio.

Mentre fioccavano tutte queste elezioni, in Madagascar c’è stato un colpo di Stato e il presidente se ne è scappato in Francia, lasciando il posto a un militare.

Di fronte a tutti questi voti con i risultati sempre uguali viene da chiedersi se l’Africa ha un futuro e, diversamente da come ci saremmo risposti all’inizio della carriera politica di questi dinosauri, la risposta è Sì: lo dimostrano i numeri della demografia (l’età media, nel continente, è di poco superiore ai 19 anni), le proteste della GenZ che dilagano ovunque, le statistiche della scolarizzazione, sempre più diffusa e sempre più alta come grado scolastico e formazione professionale. Da buona società anziana, benestante e colonialista, noi europei guardiamo con paternalismo alla politica africana, dimenticandoci lo sforzo del provare a comprenderla. Ma se l’Africa ha un futuro, l’Europa può dire altrettanto?

* Nord Sud Ovest Est. Per non perdere l'orientamento

 da il manifesto 18 novembre 2025 (Vai agli articoli )



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