di Alberto Asor Rosa *
Ambiente. La tutela del
paesaggio e del patrimonio artistico sono a rischio dopo il riordino del
Ministero dei beni culturali voluto dal governo Renzi
Quando si scrive di politica… quando io scrivo
di politica, mantengo sempre, per quanto mi riesce, un atteggiamento di
dubbio formale e sostanziale. Sì, è così, mi sembra che sia così,
però… Delle affermazioni e conclusioni contenute in questo articolo
sono invece assolutamente certo. Verrebbe voglia di dire: allarme, cittadini,
sono in pericolo la vostra esistenza e il vostro futuro, e quelli
dei vostri figli. Levate la testa prima che sia troppo tardi.
Mi riferisco agli atteggiamenti e alle promesse
che il governo Renzi dispensa a piene mani in materia di ripresa economica
e, contestualmente, di ambiente, territorio, beni culturali, paesaggi
italiani. Non c’è in giro il minimo straccio di piano industriale. Ma in compenso
c’è, a quanto sembra, un piano ormai pensato ed elaborato, anche nei
suoi particolari dispositivi di attuazione, per quanto riguarda il già
troppo martoriato volto del nostro paese, cui si continua a ricorrere,
in mancanza di altro, tutte le volte in cui si deve dare l’impressione di
rimettere in movimento la macchina. Qui il più spregiudicato nuovismo
coincide con il più arretrato vecchismo: come, per l’appunto, rischia di
essere sempre più naturale in questo nuovo contesto.
Il discorso potrebbe, anzi dovrebbe, essere assai
lungo. Io invece mi liniterò a disegnare una traccia del possibile,
anzi, ormai facilmente prevedibile percorso che ci sta davanti. Bisogna
infatti, in questo caso più che in altri, essere pronti a prevenire,
piuttosto che aspettare, come sempre più spesso accade, che i giochi
siano fatti. Le mie fonti sono esclusivamente quelle parlamentari (dibattito,
decreti legge e disegni legge, ecc.) e quelle rappresentate dalla
grande stampa d’informazione: le une e le altre, mi pare, attendibili.
Si leggano, ad esempio, se ancora non lo si
è fatto, gli articoli apparsi recentemente in rapida successione su
“la Repubblica”.
Già i titoli esprimono con sufficiente eloquenza
di cosa si tratti: «Entro fine luglio arriva “SbloccaItalia”» (2 giugno);
Renzi: «sbloccheremo 43 miliardi» (24 luglio); «Arriva lo SbloccaItalia:
permessi edilizi più facili e grandi opere accelerate, fuori le
imprese in ritardo» (28 luglio); le anticipazioni non fanno molta differenza
fra le opere in ritardo per motivi burocratici o altro, e quelle
nei confronti delle quali si è manifestata la consapevole opposizione
dei cittadini in nome di una vivibilità che fa tutt’uno con il rispetto del
territorio e dell’ambiente. Anzi: facendo intenzionalmente (ripeto:
intenzionalmente) di ogni erba un fascio, si adotta la parola d’ordine dello
sviluppo a tutti i costi, lanciando anatemi contro tutti
i coloro che vi si oppongono in nome di sacrosante pretese.
In un’intervista al «Corriere della sera» (13 luglio)
il nostro leader tira fuori la parte più consistente della sua personalità
etico-politica: «Nel piano SbloccaItalia c’è un progetto molto serio sullo
sblocco minerario… Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni
fra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream,
quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in
Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per
paura delle reazioni di tre, quattro comitatini.…». È noto che il disprezzo
che cala dall’alto si esprime sempre attraverso un tentativo di ridimensionare
la portata degli eventuali antagonisti: «comitatini», appunto, come Minzolini?
ecc. ecc.
Il miracolo della bozza
Ma le ultime anticipazioni indicano con chiarezza
ancora maggiore in quale direzione si muove questo nuovo-vecchio grande
piano di sviluppo. Il giornalista di Repubblica (in questo caso Roberto
Petrini, 28 luglio) spiega infatti che «secondo una bozza del testo… si
andrebbe incontro a una piccola rivoluzione nel rilascio delle concessioni
edilizie…». E cioè: «Con la riforma ci si potrà rivolgere direttamente
allo sportello unico, muniti di autocertificazione con le caratteristiche
essenziali del progetto, realizzata da uno studio professione, che testimonia
il rispetto del piano regolatore e delle altre norme urbanistiche.
A quel punto lo sportello unico avrebbe trenta giorni di tempo per rispondere,
nel caso contrario si potrebbe procedere ai lavori…». Sembra di avviarci
a stare nel paese di Bengodi. Lo sportello unico! Trenta giorni di tempo
per rispondere! Non sarebbe più semplice dire che in Italia si potrà intraprendere
qualsiasi iniziativa edilizia (e consimili, naturalmente), senza che
vi sia più la possibilità di entrare nel merito? L’appello, contemporaneo
e conseguente, che il Premier ha rivolto ai Sindaci affinché presentino
la lista delle loro opere incompiute o non iniziate mira a costituire
una imponente galassia di interventi, mediante la quale premere
sull’opinione pubblica per ottenere il più largo consenso.
Parallelamente al profilo d’interventismo attivo
delineato da progetto di Sbloccaitalia si è mosso il disegno di
legge «per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura
e il rilancio del turismo» che di fatto è una vera riforma del Ministero
dei Beni culturali ed è stato votato dalla Camera dei Deputati il
9 luglio scorso. Le idee basilari mi sembrano due: (1°. Innanzi tutto
l’idea che il patrimonio culturale e artistico, di cui gode l’Italia,
vada considerato nei suoi aspetti di massa economica potenziale da sfruttare
fino in fondo più che come un bene universale umano, innanzi tutto da tutelare
e (2°, conseguente al primo, il tentativo di sbarazzarsi il più possibile
delle competenze e, sì, anche delle resistenze del personale tradizionalmente
investito dallo Stato italiano del compito, innanzi tutto, di difendere
e preservare quel patrimonio da ogni possibile offesa, comprese
quelle che potrebbero provenire da una prevalente prospettiva di sfruttamento
turistico-monetario.
Annientare le resistenze
La lettura ragionata di questo disegno legge
richiederebbe quattro pagine intere del manifesto (ne ha ragionato
a lungo Francesco Erbani sul «manifesto» del 16 luglio).
Scelgo il punto che, secondo me, per le sue possibilità
di generalizzazione, presenta il valore simbolico più elevato. All’art.
12 della Legge suddetta è stato inserito in Commissione un emendamento
(da chi? Non lo so), che suona in codesto modo: «Al fine di assicurare
l’imparzialità (!) e il buon andamento dei procedimenti autorizzativi
in materia di beni culturali e paesaggistici, i pareri,
i nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati
dagli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali
e del turismo, possono essere riesaminati d’ufficio o su segnalazione
delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento, da apposite commissioni
di garanzia per la tutela del patrimonio culturale, costituite esclusivamente
da personale appartenente ai ruoli del medesimo Ministero»…
Trovo stupefacente questo passaggio. Se lo si
dovesse applicare fino in fondo, e a questo mira il disegno di legge, verrebbe affermato il principio secondo
cui un altro funzionario dello Stato, e tale è il cosiddetto Soprintendente,
potrebbe legittimamente essere sospettato
di svolgere la propria funzione non obiettivamente e in vista
d’interessi terzi. In base a tale visione del mondo, si potrebbero allo
stesso modo prevedere commissioni di garanzia destinate a rivedere
ed eventualmente sanzionare i presidi e i professori che portano
a termine uno scrutinio scolastico o un gruppo di medici
e di sanitari nell’atto di pronunciare una diagnosi o di compiere
un’operazione.
Allo stesso atteggiamento (o analogo) va condotto
il principio secondo cui i grandi poli museali del paese non possono
essere retti da Soprintendenti collocati nelle strutture dello Stato,
e andrebbero invece demandati a manager non pubblici, la cui formazione
e scelte dipenderebbero unicamente dalla capacità loro di fare fruttare
il patrimonio culturale, che si sono trovati a gestire (con criteri
inevitabilmente politici).
In difesa del Sistema
Ce n’è abbastanza, insomma, sull’uno come sull’altro
versante, per prevedere e organizzare una vera e propria guerra
contro questa spropositata pessima tendenza. Osservo semplicemente,
a questo proposito, che, al di là delle molto spesso troppo arzigogolate
discussioni in merito alle cosiddette riforme istituzionali (Senato,
e tutto il resto), qui, appare con evidenza massima che non c’è differenza,
non c’è davvero nessuna differenza su questo più concreto terreno fra
ideologia e visione del mondo del Ministro Lupi e quella del presidente
del Consiglio Renzi. Ambedue appartengono a pieno diritto al partito
unico della presunta razionalizzazione del sistema, la quale si rivela contraria,
anzi antitetica non solo alle buone idee della sinistra ambientalista
e democratica ma persino alla perpetuazione del vecchio sistema statuale
borghese, imperfetto ma in una certa misura garantista.
Le associazioni ambientaliste e i Comitati
hanno abbastanza voce per farsi sentire. Perché questo accada, non basta
però la buona volontà. Bisogna avere la consapevolezza che questa
è una battaglia decisiva, per organizzare la quale occorre preliminarmente
una concertazione programmatica di grande serietà e intelligenza.
Proviamoci.
* da il Manifesto - 30 luglio 2014
Nessun commento:
Posta un commento