Di guerra e di pace: Le scimmie eterna metafora dell'umanità.
La
storia del film
Sono passati dieci anni da quando
delle scimmie rese più evolute da un virus confezionato dagli uomini sono evase
e hanno combattuto gli esseri umani sul ponte di San Francisco. In questo
periodo la razza umana è stata quasi annichilita da quello stesso virus che si
è rivelato per loro letale, è rimasta in vita solo una piccola percentuale di
persone naturalmente immuni. Dall'altra parte le scimmie, sempre capitanate da
Cesare, si sono ritirate nella foresta, hanno creato una loro città, vivono in
pace, cacciano e procreano nella convinzione che ormai gli uomini non esistano
più. L'incontro tra le due razze (gli uomini devono avere accesso ad una diga
vicino al villaggio delle scimmie per poter riottenere l'elettricità) porterà
ad una spaccatura tra chi vuole la guerra e chi invece pensa si possa vivere in
pace.
di Roy Menarini
Non sono
note le divergenze creative che hanno portato Rupert
Wyatt ad abbandonare il progetto del sequel di L'alba del pianeta delle scimmie né
ovviamente sappiamo come sarebbe stato il suo film rispetto a quello ora in
sala diretto da Matt Reeves. Certo è che il primo episodio pareva
più coraggioso nel gettarsi a capofitto dentro le tensioni contemporanee: il
virus "scimmiesco" come metafora del contagio mondiale economico, e
la rivolta dei primati - giusta e violenta insieme - come allegoria dei
movimenti di dissenso internazionale che proprio in quei mesi stavano
incendiando sia il mondo arabo sia le piazze occidentali.
Apes Revolution,
invece, sembra fermarsi un passo al di qua del pericolo, in una zona ideologica
più sfumata, sebbene sempre molto chiara nel monito contro i comportamenti di
belligeranza mondiale. E proprio questo tema - in un film che altrimenti si fa
notare solamente per la stupefacente perfezione del motion capture realizzato
dalla Weta - sembra il più suggestivo.
Come già è stato notato, la battaglia interna ai due schieramenti non è certo tra superiori e inferiori (classica dicotomia che ogni guerra asimmetrica pretende di trasmettere), ma tra chi dialoga e chi preferisce far parlare le armi. La leadership, dunque, deve essere esercitata attraverso la forza ma anche la ragionevolezza e soprattutto la lungimiranza. Quello che sembra mancare infatti ai conflitti odierni (paradossalmente dopo oltre cento anni di guerra cosiddetta moderna) è un'idea di uscita dai conflitti. Pensiamoci un attimo: in Afghanistan si combatte dal 2002, in Iraq dal 2003, in Palestina e Israele addirittura dal 1948 (sia pure a intervalli di calma apparente), in Siria, Egitto, Libia, non si vede alcuna risoluzione alle tragedie fratricide, e così via. Colpiscono, del mondo contemporaneo e postmoderno, la totale mancanza di strategia internazionale e la confusione che regna nel dopo-Muro, quando lo scacchiere delle grandi potenze è stato ridisegnato e ormai nessuna di esse è in grado di bloccare un conflitto che si sviluppa altrove.
Come già è stato notato, la battaglia interna ai due schieramenti non è certo tra superiori e inferiori (classica dicotomia che ogni guerra asimmetrica pretende di trasmettere), ma tra chi dialoga e chi preferisce far parlare le armi. La leadership, dunque, deve essere esercitata attraverso la forza ma anche la ragionevolezza e soprattutto la lungimiranza. Quello che sembra mancare infatti ai conflitti odierni (paradossalmente dopo oltre cento anni di guerra cosiddetta moderna) è un'idea di uscita dai conflitti. Pensiamoci un attimo: in Afghanistan si combatte dal 2002, in Iraq dal 2003, in Palestina e Israele addirittura dal 1948 (sia pure a intervalli di calma apparente), in Siria, Egitto, Libia, non si vede alcuna risoluzione alle tragedie fratricide, e così via. Colpiscono, del mondo contemporaneo e postmoderno, la totale mancanza di strategia internazionale e la confusione che regna nel dopo-Muro, quando lo scacchiere delle grandi potenze è stato ridisegnato e ormai nessuna di esse è in grado di bloccare un conflitto che si sviluppa altrove.
Questa
guerra permanente non è al centro di Apes Revolution, ma avrebbe potuto esserlo
con un maggior grado di consapevolezza da parte dei realizzatori. Anche così,
tuttavia, il film offre spunti di riflessione e soprattutto si mostra
pessimista - dunque realista - sulla possibilità che due popoli in guerra,
anche quando mettono a tacere gli estremismi - possano trovare un punto di
intesa e seppellire l'odio. Ecco perché la pellicola di Matt
Reeves insiste tanto su Cesare, il vero centro del racconto e il
leader dal cui carisma e saggezza dipendono le sorti di ben due specie. E noi
uomini, in chi ci specchiamo? Forse servirebbe anche a noi una scimmia
sapiente, in grado di guidarci lontano dal presunto sviluppo che sta lentamente
sgretolando gli equilibri mondiali.
da mymovies.it , 2 agosto 2014
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