di Piergiorgio Odifreddi *
Anni fa il
PD si è autonominato “democratico”, così come aveva fatto decenni fa la DC.
Nell’autunno scorso gli elettori del Democratico Partito hanno votato per
eleggere un segretario. Due mesi fa il neosegretario del partito, dopo aver
spergiurato fino al giorno prima che essendo stato eletto per fare il
segretario del partito avrebbe fatto il segretario del partito, con un colpo di
mano suo e del suo Democratico Partito si è invece insediato al governo. E ora
cerca di far passare, con altri colpi di mano, riforme costituzionali di vasta
portata, imponendo di testa sua i “valori irrinunciabili” che esse devono riflettere.
Solo voci
isolate, da Rodotà a Zagrebelsky, si levano per dire a Renzi, e al suo
Democratico Partito, che un parlamento eletto con una legge anticostituzionale,
e un presidente del Consiglio la cui unica investitura popolare è una primaria
di partito che ha coinvolto meno del 10% dell’elettorato, non hanno alcun
mandato per imporre all’intero popolo italiano una nuova Costituzione, secondo
linee decise da un patto di “galantuomini” della stazza di un usurpatore come
Renzi e un condannato come Berlusconi.
L’imputridimento
della concezione democratica del nostro paese è facilmente tracciabile sulla
base di alcune tappe fondamentali. Nel primo dopoguerra, per scrivere la
Costituzione si elesse nel 1946 a suffragio universale (e l’89% di affluenza)
un’Assemblea Costituente, che nel 1947 promulgò la nuova Carta. E nel 1953,
quando si cercò di assegnare al partito di maggioranza assoluta un
premio di seggi, si gridò giustamente e con successo alla “legge truffa”. E a
gridare c’erano coloro di cui il presidente della Repubblica e il presidente
del Consiglio di oggi millantano di essere gli eredi politici.
Qualche
decennio dopo, quando la Costituzione cominciò a mostrare i suoi anni, si
cominciò a pensare che ci si poteva accontentare di riformarla sulla base dei
lavori di Commissioni Bicamerali, come quelle presiedute prima da Bozzi
(1983–1985), poi da De Mita e la Iotti (1993–1994), e infine da D’Alema (1997).
Il che è un po’ come pretendere che le sentenze vengano emesse non più dai
giudici, ma dagli imputati. O le promozioni non più dagli esaminatori, ma dagli
esaminandi. Nel frattempo, si smantellava il sistema proporzionale e
democratico, per imporre varie forme di “leggi truffa” maggioritarie e
antidemocratiche.
Nel 2001
l’Ulivo, predecessore del Democratico Partito di oggi, si macchiò del peccato
originale di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza semplice, invece
che qualificata: cosa permessa dalle regole della legge, ma non dai princìpi
della democrazia. La riforma fu poi approvata dal 20% della popolazione
italiana (32% di affluenza e 64% dei votanti) in un referendum. Stabilito il
precedente, anche il centrodestra fece la sua modifica della Costituzione nel
2005, sempre a colpi di maggioranza semplice: riforma poi rifiutata dal 35%
della popolazione italiana (54% di affluenza e 62% dei votanti).
Oggi il
patto scellerato tra l’usurpatore e il condannato cerca di far passare una
riforma costituzionale sul Senato imposta senza nessuna discussione, se non gli
insulti lanciati su tutti coloro che ardiscono obiettare alcunché: non solo
Grasso a Rodotà, ma anche alcuni sparuti parlamentari del Democratico Partito.
Solo Renzi e Berlusconi hanno voce in capitolo, e potere di decisione. Per
quanto riguarda la legge elettorale, poi, essi ripropongono un porcellinum
con le stesse caratteristiche di incostituzionalità già rilevate dalla Corte
Costituzionale per il porcellum, solo leggermente annacquate: in
particolare, liste bloccate dai partiti, e premio al partito di maggioranza relativa.
Immagino che
tra poco lo sgangherato duopolio imporrà anche un giuramento di fedeltà al
nuovo regime. E sono pronto a scommettere che, di fronte alla richiesta del
Duce di oggi, gli italiani (che già gli si stanno accodando nei sondaggi,
servili come sempre) si comporteranno eroicamente, come già fecero nel 1931 i
professori universitari ai quali il Duce di allora impose di giurare: lo fecero
tutti, eccetto 12. Anche questa volta a non giurare non saranno di più, e gli
altri ci regaleranno un altro bel ventennio, dopo i due di Mussolini e di
Berlusconi.
Noi italiani
siamo candidi componenti di un gregge: il che, come diceva Einstein, significa
che siamo pecore. Anzi, pecoroni. Se no, giurato che non avremmo permesso a
Renzi di arrivare dove sta, e non gli permetteremmo di rimanerci un attimo di
più, sapendo che presto sarà troppo tardi per levarcelo.
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