Non si lasci nelle mani di chi ha
potere economico il campo strategico della comunicazione. Per loro è facile
imporre contenuti su tv e media.
Su
Globalist, nei giorni scorsi è apparso un illuminante pezzo di Paolo Berdini sugli appetiti delle lobby che
guidano, di fatto, le azioni della politica nel Paese. "È la deregulation
che ha dominato il paese negli ultimi 20 anni", dice l'urbanista. Nel caso
specifico si parla di Tav e della nascita della cultura delle Grandi opere,
senza alcuna coerenza tra loro, ma regolate dalla berlusconiana legge Obiettivo
(443 - dicembre 2001). Scrive Berdini: "Con la consueta bravura mediatica
subito amplificata dalla disinformazione imperante, quella decisione fu
descritta come il passaggio da una visione burocratica alla modernità. In
realtà era il contrario: si colpiva al cuore la già debole funzione pubblica e
ci allontanavamo dai paesi che conservano gli strumenti programmatori".
Questo è un
punto: il fatto che per le più discutibili operazioni vengano usati i media,
oltre che la politica. Usati, sottolineo, da una lobby che oltre a farsi gli
interessi propri, vuole anche far credere che tutto venga fatto a fin di bene
comune. Non sempre e non solo perché i padroni dei giornali o delle televisioni
sono in genere gli stessi che si avvantaggiano dagli affari. Ma anche per una
diffusa, generalizzata vocazione dell'informazione a prendere per buone le
verità della televisione, i progetti di plastica, l'effetto trascinante
convincente della ricchezza, la retorica che copre il significato vero degli
affari in questione. Ed è peggio. Sarebbe addirittura meglio la censura. Ma non
ce n'è più bisogno: i grandi affari sono come le guerre: potere economico,
politico e mediatico viaggiano a braccetto.
Andrea De
Benedetti, autore di Binario Morto, sul Tav: "Davvero per realizzare i 130 chilometri di Tav
Torino-Milano ne hanno costruiti più di 400 di asfalto fra strade d'accesso,
cavalcavia e raccordi, alla faccia della retorica finto-ecologista dei promotori
dell'opera? Davvero il costo per chilometro del Tav italiano è il quintuplo
rispetto a Francia e Spagna? . È che di certe cose non parla quasi nessuno. Non
i quotidiani a grande tiratura nazionale e men che meno le televisioni. I treni
italiani non sono abbastanza veloci? Può essere. Ma di sicuro non c'è nulla,
nel nostro paese, che viaggi più lento delle notizie. Sempre che giungano a
destinazione, ovviamente: perché alcune non ci arrivano del tutto, oppure
arrivano distorte, oppure ancora arrivano capovolte. .. Alla fine,
l'impressione che se ne ricava è che la battaglia più urgente, verrebbe quasi
da dire più giusta, non è tanto quella che si combatte da anni intorno ai
perimetri di cantieri con affaccio sul nulla, avviati solo per cominciare a smuovere
qualche metro cubo di terra e tagliare qualche nastro in favore di telecamera,
quanto quella per un'informazione più corretta, puntuale e plurale.
Un'informazione in cui, anche le notizie scomode possano godere del privilegio
dell'alta velocità e non siano condannate anch'esse ad arenarsi in un binario
morto".
Che
aggiungere? Che funziona così. La libertà d'informazione naviga a vista
inondata da una moltitudine infinita di notizie e notiziole. Di fonte
imprecisata, fesse, distorte, approssimative o perfette nel loro portare
l'acqua a logiche che al lettore o al telespettatore sfuggono. Che se poi uno
fa il punto si rende conto che alla fine della giornata tremila telegiornali,
una valanga di giornali, di carta o online, hanno dipinto una realtà di pochi
pochissimi temi, quasi sempre gli stessi, fatti di tante chiacchiere e poca
sostanza. Di allarmi, emergenza, paure, semplici posizioni da difendere nel
nome di Silvio o contro Silvio. Nette, predisposte, conformiste, da una parte o
dall'altra (non importa come la pensiate, l'importante è che la pensiate su
quelle cose). Peccato che l'informazione sia una cosa diversa, e che questo
blob sommerga il senso critico. E che i temi che dovrebbero stare a cuore ai
cittadini, perché riguardano la vita e il futuro di tutti, non i destini dorati
di alcuni, restano nell'ombra, dimenticati.
Umanità
infinita. Nella parte
finale di un libro fondamentale ed eretico, Fight-Specific Isola, c'è un passaggio scritto da due
architetti, Constantin Petcou e Doiba Petrescu che, parlando sulla battaglia di
resistenza civile, culturale, politica di Isola Art Center contro le
trasformazioni urbanistiche violente a Milano per mano di una multinazionale
Hines coglie il tema dell'importanza strategica del controllo dei media:
"Bisogna davvero crederci e avere una umanità infinita. È molto importante
riuscire a comunicare il progetto. Normalmente si trascura l'aspetto della
comunicazione fino a quando non si è coinvolti in progetti molto intensi.
Occorre che la gente si possa render conto della forza dei valori sociali
contro l'individualismo prodotto dalle regole ultraliberiste. Non si può
lasciare alle multinazionali e ai loro collaboratori il campo strategico della
comunicazione. Per loro è facile imporre immagini e contenuti su televisioni e
media. È molto importante non perdere questa battaglia per la visibilità, sia
su scala locale che su grande scala, per preservare e disseminare la
solidarietà sociale e la cultura propria dei nostri quartieri e delle nostre
città europee".
*
da globalist.it , 20 settembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento