di Enrico Piovesana *
Mentre giovedì
a Roma il presidente Letta e i ministri Bonino e Mauro
rassicuravano il segretario generale della Nato Rasmussen sulla
prosecuzione dell’impegno militare italiano in Afghanistan, fuori città,
nelle campagne laziali di Monte Romano, truppe aviotrasportate dell’esercito e
forze speciali si addestravano in azioni di combattimento in vista della
partenza per il fronte e altri soldati, sulle montagne friulane sopra Gemona,
si esercitavano con il supporto di elicotteri da attacco Mangusta “simulando un
tipico scenario afghano”.
Uno scenario
sempre più caldo dove, per far fronte al moltiplicarsi degli attacchi della
guerriglia contro le nostre truppe e le nostre basi, il contingente italiano a
Herat – dove Letta sarà in visita il 12 agosto – sta rafforzando le
misure di sicurezza anche nel quartier generale di Camp Arena, in cui
nei giorni scorsi è entrato in servizio un piccolo drone soprannominato ‘la
civetta’ che veglierà dall’alto 24 ore su 24 sulla sicurezza delle nostre
truppe e che nei prossimi mesi sarà affiancato sul terreno da
robottini-sentinella da combattimento. Da gennaio 2015, conclusa la missione
Isaf (che anche quest’anno ci è costata all’incirca 750 milioni di euro,
di cui 300 ancora da stanziare a settembre), nell’ambito della nuova missione
Nato Resolute Support rimarranno in Afghanistan 1.800
militari italiani, destinati a ridursi progressivamente a meno della metà,
circa 800, e ci rimarranno almeno fino al 2017, anche se
all’estero già si parla apertamente di un probabile prolungamento della
missione fino al 2020.
Ufficialmente,
come hanno ribadito Letta e Rasmussen durante la conferenza stampa congiunta a
Palazzo Chigi, la futura missione non sarà più “combat”, ma solo di
addestramento e supporto alle forze armate afgane. In realtà, negli ambienti
militari si dà per scontato che con il deteriorarsi della situazione
conseguente alla riduzione delle truppe Nato e vista la pessima condizione
reale dell’esercito locale, “gli afgani avranno bisogno di molto più del
semplice addestramento”. Le truppe italiane schierate sul fronte ovest (di cui
manterranno il comando dalla base di Herat) assisteranno le truppe afgane in
azione e all’occorrenza interverranno direttamente con una forza di reazione
rapida e con supporto aereo.
Come spiega
l’esperto di affari militari Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it,
“a protezione dei nostri addestratori e consiglieri militari rimarrà
necessariamente una componente di forze speciali italiane in grado
d’intervenire in caso di emergenza, magari sarà numericamente ridotta rispetto
a oggi, ma ci sarà sicuramente”. Oggi la Task Force 45 italiana conta
duecento uomini: parà del Col Moschin, incursori del Comsubin e
del 17° Stormo, Ranger del 4° Alpini e Gis dei Carabinieri. Anche
i tedeschi, del resto, continueranno a schierare sul fronte settentrionale la
loro Task Force 47 di forze speciali. “Per le stesse esigenze di
protezione del contingente – prosegue Gaiani – manterremo in Afghanistan anche
una componente aerea formata da droni ed elicotteri da attacco, e non è detto
che basteranno: dato che le forze aeree afgane non dispongono di
cacciabombardieri, non è escluso che dovremo lasciare là anche i nostri Amx.
Insomma, altro che ritiro…
Ma quanto ci
costerà il prolungamento dell’impegno militare sul fronte afgano? Nei prossimi
tre anni almeno 600-800 milioni di euro: 300-400 milioni nel 2015 e la
metà nei due anni successivi. A questi vanno aggiunti, per lo stesso periodo,
altri 360 milioni (120 l’anno) come contributo nazionale al fondo Nato
che finanzierà le forze governative afgane per consentire loro di proseguire la
guerra contro i ribelli talebani: un impegno finanziario preso l’anno scorso al
vertice Nato di Chicago dall’allora ministro Terzi. Per la cronaca, la
Francia, che ha già ritirato tutte le sue forze di combattimento, non solo ha
deciso di uscire completamente dall’Afghanistan entro la fine del 2014
chiamandosi fuori dalla futura missione Resolute Support, ma per ora non sembra
nemmeno intenzionata a partecipare alla colletta di guerra a sostegno
dell’esercito afgano che Washington e Nato le hanno chiesto a compensazione del
ritiro anticipato.
La zelante
Italia, invece, sarà la prima a pagare e l’ultima a uscire dall’Afghanistan
sulla base di impegni presi dal governo senza mai consultare il Parlamento, che
invece avrebbe pieno titolo di esprimersi su una scelta così importante come
quella di impantanarci per altri anni nell’infinita guerra afgana. Una
guerra che in dodici anni ha tolto la vita a oltre 75mila afgani
(quarantamila talebani, quindicimila civili e ventimila militari) e a 3.350
soldati occidentali caduti sul campo, di cui 53 italiani, più altre
centinaia suicidi al fronte o in patria
* da ilfattoquotidiano.it , 28 luglio 2013
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