6 novembre 2012

Te la do io l’America… cosa votano gli americani ?



di Massimo Marino

Gli americani sono al voto in queste ore, o così si dice. Il primo martedì di novembre ogni 4 anni da sempre. Storicamente il martedì perché la domenica si va ( si andava)  a messa, il lunedì si riprendeva  il lavoro, ( specie nei campi) e quindi il martedì era il primo giorno utile; praticamente poco più di 12 ore dalle 6 alle 19,30. Anche in conseguenza di questa tradizione si vota anche per posta (un quarto dei probabili votanti ha già votato e abbiamo già sondaggi, proiezioni ed exit poll mentre ancora si vota) altrimenti il rischio è che i seggi restino deserti. Perché è ormai considerato normale che almeno metà degli americani non vada a votare e che il Presidente degli Stati Uniti non sia scelto mai da più di uno su quattro dei suoi concittadini. La cosa non sembra più interessare quasi nessuno ed anche in Italia poco se ne parla nell’informazione.  Le ragioni del non voto sono parecchie, a partire dal fatto che se non richiedi espressamente il diritto di votare con una procedura ben definita nessuno te lo chiede.

Ma la ragione di fondo è che il sistema elettorale è demenziale, una specie di surrogato della democrazia rappresentativa. Il paese è suddiviso in 50 grandi collegi corrispondenti agli Stati federati, ognuno dei quali nomina un numero di “grandi elettori” più o meno corrispondente alla sua dimensione ( di abitanti e di territorio ) ma il sistema è maggioritario secco. In altre parole il partito che prende un voto in più prende tutti i seggi del collegio, il secondo nessuno. Un elettore repubblicano dello stato di New York non ha nessun particolare motivo per votare alle presidenziali, a meno che non abbia un appuntamento al seggio con una amica, perché da sempre lì vincono i democratici. Lo stesso per un democratico in alcuni grandi stati del sud. Quindi sono alcuni stati “ grigi”, cioè incerti, che decidono, una minoranza su quelli blu (democratici) e quelli rossi (repubblicani).

Ciò che aggrava la situazione è che i partiti sono praticamente sempre e soltanto due. In realtà non è vero  ma pochi lo sanno, almeno da noi; perché i candidati sono quattro: oltre a Obama e Romney  c’è Jill Stein per i Verdi e Gary Johnson per il Partito Libertario. Perché questi ultimi non compaiono ? Per una questione di soldi e perché negli Stati Uniti vige la censura. Devono comparire solo in due perché pagano una valanga di soldi per essere presenti nell’informazione, perché a loro volta ricevono , bypartisan, una valanga di soldi da finanzieri, petrolieri e pochi altri che decidono e controllano, stato per stato, la stragrande maggioranza dei prossimi componenti del Parlamento e quindi condizionano pesantemente tutte  le azioni e le scelte del Presidente.

Quest’anno si è raggiunto il record di 6 milardi di dollari ( se non lo avete chiaro vuol dire quasi diecimila miliardi delle vecchie lire nostrane), più o meno distribuiti fra i due contendenti; ricevuti da chi non si può sapere perché le regole non impongono alle “fondazioni” varie  che finanziano i due, di dichiarare da chi hanno ricevuto i soldi. Si dice che la finanza di Wall Strett abbia privilegiato Romney, ma forse il trucco è proprio qui. Vincerà probabilmente Obama, forse perché la moglie è più gradevole  della collega del nemico o forse perché l’apparato di Romney è in parte impresentabile ( l’ultimo caso il futuro  senatore repubblicano secondo il quale se una donna violentata resta incinta è volontà di Dio). Finanzieri, petrolieri e soci decidono chi vince ma nessuno deve stravincere e nessuno deve disturbare.  
E chi si oppone alla censura filo RepDem ( esercitata attraverso la Commission on Presidential Debates che dovrebbe regolare i dibattiti in tv) può anche finire in galera. Come è accaduto alle due candidate dei verdi (Presidente e Vice) , Jill Stein e Cheri Honkala che hanno organizzato un sit-in davanti all'università di Hofstra, dove si sarebbe tenuto il dibattito tra Obama e Romney, pretendendo di potervi partecipare. Sit-in pacifico, sul marciapiede, ma non autorizzato. Sono scattate le manette e le due donne sono state portate via dalla polizia e, ovviamente, il dibattito l'hanno potuto seguire solo in tv; anche se oggi  sulla scheda elettorale ci sarà anche il loro nome, ma quasi nessuno saprà chi sono. 

In due recenti film documentari, pochissimo circolati nel nostro paese, si descrive qualche squarcio dei retroscena della vera America.

Inside Job, di Charles Ferguson, vincitore nel 2011 di un Awards internazionale per il migliore documentario del settore descrive il ruolo degli sciacalli della finanza e delle banche  nel provocare la recente crisi del 2008 ( a partire dallo scoppio della bolla dei mutui sulla casa fino ad oggi ). Lanciati verso un  rapido gigantesco arricchimento negli anni ’80 dalla deregulation di Reagan, passati poi indifferentemente con Clinton, Bush fino ad Obama non uno solo di loro è finito in galera, nessuno ha perso un dollaro. La crisi è costata l’impoverimento di decine di milioni di americani ( nove milioni hanno venduto la casa per procurarsi da mangiare ) ma i suoi responsabili sono tutti approdati, più ricchi e potenti di prima, ad occupare ruoli determinanti nel nuovo organigramma 2008-2012, a partire dalla Federal Reserve , dell’ amministrazione Obama. Ed oggi sono responsabili della nuova bolla in deflagrazione dei prestiti di studio a milioni di studenti americani, che oggi laureati e in molti  disoccupati,  a meno di 30 anni sono già sul lastrico per l’impossibilità di pagare il debito (naturalmente alle solite banche ).

The Big Fix , dei coniugi  Josh e Rebecca Tickell vincitore del Festival Cinemambiente 2012, svela i retroscena del disastro petrolifero della piattaforma marina BP nell’aprile  2010  nel Golfo del Messico. Fornisce le prove del perdurare della fuoriuscita di petrolio per mesi, accuratamente nascosta con l’uso di valanghe di Corexit, un addensante cancerogeno che ha aggravato l’inquinamento di gran parte del Golfo del Messico ( anche la regista si è gravemente ammalata girando il film nella zona coinvolta della Luisiana ). Impressionante l'intreccio mostrato di ragion di stato, interessi economici e corruzione che regge il sistema delle lobby del petrolio. Compreso il finanziamento da parte delle società petrolifere della campagna elettorale di praticamente tutti i principali candidati repubblicani e democratici ( molte centinaia di migliaia di dollari per ognuno )  per le elezioni dello stato della Luisiana, che è praticamente sotto il pieno controllo delle società petrolifere.  Prodotto da Peter Fonda e Tim Robbins, il documentario fece scandalo l'anno scorso a Cannes quando Fonda accusò Obama di complicità con le corporation, incontrando da quel momento ostacoli e traversie nella distribuzione in USA . Nel film viene mostrato il famoso bagno in mare della famiglia Obama al completo nelle acque del Golfo, per mostrare che tutti i problemi di inquinamento, mentre centinaia di persone continuavano ad ammalarsi e morire,  erano risolti. Rivelando che si trattava di un falso e che il bagno si era svolto in un area marina protetta  a mille km di distanza dalla zona indicata.  

In una lunga auto-intervista di Noam Chomsky , 83enne professore dell’ MIT noto da decenni come contestatore della sinistra radicale, attivo sostenitore pacifista all’epoca della protesta contro la guerra in Vietnam e ancora oggi critico dell’intero  sistema politico  americano, si descrive fra l’altro la inconsistenza del confronto elettorale fra i due candidati alla presidenza che minimizzano o ignorano volutamente molti  problemi reali del paese. Rimandando all’intervista per chi interessato, concludiamo con un breve frammento dell’intervista a riguardo del problema della crisi climatica e della sua sottovalutazione: “Programmare lo sfruttamento di minerali di recente accessibili nell’Artico e le trivellazioni per cercare altro petrolio, vuol dire accelerare la catastrofe. Dimostra una straordinaria volontà di sacrificare la vita dei nostri figli e nipoti a favore di guadagni a breve termine, o forse una volontà ugualmente notevole  di chiudere gli occhi in modo da non vedere il pericolo incombente; queste cose talvolta si notano nei bambini piccoli; una cosa sembra pericolosa, allora chiudo gli occhi e non voglio guardarla.”

nella foto: Jill Stein e  Cheri Honkala  candidate Presidente e Vice presidente degli Stati uniti per i Verdi

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