Gli americani sono al voto
in queste ore, o così si dice. Il primo martedì di novembre ogni 4 anni da
sempre. Storicamente il martedì perché la domenica si va ( si andava) a messa, il lunedì si riprendeva il lavoro, ( specie nei campi) e quindi il
martedì era il primo giorno utile; praticamente poco più di 12 ore dalle 6 alle
19,30. Anche in conseguenza di questa tradizione si vota anche per posta (un
quarto dei probabili votanti ha già votato e abbiamo già sondaggi, proiezioni ed exit poll mentre
ancora si vota) altrimenti il rischio è che i seggi restino deserti. Perché è
ormai considerato normale che almeno metà degli americani non vada a votare e
che il Presidente degli Stati Uniti non sia scelto mai da più di uno su quattro dei suoi concittadini. La cosa non
sembra più interessare quasi nessuno ed anche in Italia poco se ne parla
nell’informazione. Le ragioni del non
voto sono parecchie, a partire dal fatto che se non richiedi espressamente il
diritto di votare con una procedura ben definita nessuno te lo chiede.
Ma la ragione di fondo è che il sistema
elettorale è demenziale, una specie di surrogato della democrazia
rappresentativa. Il paese è suddiviso in 50 grandi collegi corrispondenti agli
Stati federati, ognuno dei quali nomina un numero di “grandi elettori” più o
meno corrispondente alla sua dimensione ( di abitanti e di territorio ) ma il
sistema è maggioritario secco. In altre parole il partito che prende un voto in
più prende tutti i seggi del collegio, il secondo nessuno. Un elettore
repubblicano dello stato di New York non ha nessun particolare motivo per
votare alle presidenziali, a meno che non abbia un appuntamento al seggio con
una amica, perché da sempre lì vincono i democratici. Lo stesso per un
democratico in alcuni grandi stati del sud. Quindi sono alcuni stati “ grigi”,
cioè incerti, che decidono, una minoranza su quelli blu (democratici) e quelli
rossi (repubblicani).
Ciò che aggrava la situazione è che i partiti sono
praticamente sempre e soltanto due. In realtà non è vero ma pochi lo sanno, almeno da noi; perché i
candidati sono quattro: oltre a Obama e Romney
c’è Jill Stein per i Verdi e Gary Johnson per il Partito Libertario. Perché
questi ultimi non compaiono ? Per una questione di soldi e perché negli Stati
Uniti vige la censura. Devono comparire solo in due perché pagano una valanga
di soldi per essere presenti nell’informazione, perché a loro volta ricevono ,
bypartisan, una valanga di soldi da finanzieri, petrolieri e pochi altri che decidono
e controllano, stato per stato, la stragrande maggioranza dei prossimi
componenti del Parlamento e quindi condizionano pesantemente tutte le azioni e le scelte del Presidente.
Quest’anno
si è raggiunto il record di 6 milardi di dollari ( se non lo avete chiaro vuol
dire quasi diecimila miliardi delle vecchie lire nostrane), più o meno
distribuiti fra i due contendenti; ricevuti da chi non si può sapere perché le
regole non impongono alle “fondazioni” varie che finanziano i due, di dichiarare da chi
hanno ricevuto i soldi. Si dice che la finanza di Wall Strett abbia privilegiato
Romney, ma forse il trucco è proprio qui. Vincerà probabilmente Obama, forse
perché la moglie è più gradevole della
collega del nemico o forse perché l’apparato di Romney è in parte
impresentabile ( l’ultimo caso il futuro
senatore repubblicano secondo il quale se una donna violentata resta incinta
è volontà di Dio). Finanzieri, petrolieri e soci decidono chi vince ma
nessuno deve stravincere e nessuno deve disturbare.
E chi si oppone alla censura filo RepDem (
esercitata attraverso la Commission on Presidential
Debates che dovrebbe regolare i dibattiti in tv) può anche finire in
galera. Come è accaduto alle due candidate dei verdi (Presidente e Vice) , Jill
Stein e Cheri Honkala che hanno organizzato un sit-in davanti all'università di
Hofstra, dove si sarebbe tenuto il dibattito tra Obama e Romney, pretendendo di
potervi partecipare. Sit-in pacifico, sul marciapiede, ma non autorizzato. Sono
scattate le manette e le due donne sono state portate via dalla polizia e,
ovviamente, il dibattito l'hanno potuto seguire solo in tv; anche se oggi sulla scheda elettorale ci sarà anche il loro
nome, ma quasi nessuno saprà chi sono.
In due recenti film
documentari, pochissimo circolati nel nostro paese, si descrive qualche squarcio dei
retroscena della vera America.
Inside Job, di
Charles Ferguson, vincitore nel 2011 di un Awards internazionale per il
migliore documentario del settore descrive il ruolo degli sciacalli della
finanza e delle banche nel provocare la recente
crisi del 2008 ( a partire dallo scoppio della bolla dei mutui sulla casa fino
ad oggi ). Lanciati verso un rapido
gigantesco arricchimento negli anni ’80 dalla deregulation di Reagan, passati
poi indifferentemente con Clinton, Bush fino ad Obama non uno solo di loro è
finito in galera, nessuno ha perso un dollaro. La crisi è costata
l’impoverimento di decine di milioni di americani ( nove milioni hanno venduto
la casa per procurarsi da mangiare ) ma i suoi responsabili sono tutti
approdati, più ricchi e potenti di prima, ad occupare ruoli determinanti nel
nuovo organigramma 2008-2012, a partire dalla Federal Reserve , dell’
amministrazione Obama. Ed oggi sono responsabili della nuova bolla in
deflagrazione dei prestiti di studio a milioni di studenti americani, che oggi
laureati e in molti disoccupati, a meno di 30 anni sono già sul lastrico per
l’impossibilità di pagare il debito (naturalmente alle solite banche ).
The Big Fix , dei coniugi Josh e Rebecca Tickell vincitore del Festival Cinemambiente 2012, svela i retroscena del disastro petrolifero della piattaforma
marina BP nell’aprile 2010 nel Golfo del Messico. Fornisce le prove del
perdurare della fuoriuscita di petrolio per mesi, accuratamente nascosta con
l’uso di valanghe di Corexit, un addensante cancerogeno che ha aggravato
l’inquinamento di gran parte del Golfo del Messico ( anche la regista si è
gravemente ammalata girando il film nella zona coinvolta della Luisiana ).
Impressionante l'intreccio mostrato di ragion di stato, interessi economici e
corruzione che regge il sistema delle lobby del petrolio. Compreso il finanziamento
da parte delle società petrolifere della campagna elettorale di praticamente
tutti i principali candidati repubblicani e democratici ( molte centinaia di
migliaia di dollari per ognuno ) per le
elezioni dello stato della Luisiana, che è praticamente sotto il pieno
controllo delle società petrolifere. Prodotto da Peter Fonda e Tim Robbins, il
documentario fece scandalo l'anno scorso a Cannes quando Fonda accusò Obama di
complicità con le corporation, incontrando da quel momento ostacoli e traversie
nella distribuzione in USA . Nel film viene mostrato il famoso bagno in mare
della famiglia Obama al completo nelle acque del Golfo, per mostrare che tutti
i problemi di inquinamento, mentre centinaia di persone continuavano ad ammalarsi
e morire, erano risolti. Rivelando che
si trattava di un falso e che il bagno si era svolto in un area marina
protetta a mille km di distanza dalla
zona indicata.
In una lunga auto-intervista di Noam Chomsky
, 83enne professore dell’ MIT noto da decenni come contestatore della sinistra
radicale, attivo sostenitore pacifista all’epoca della protesta contro la
guerra in Vietnam e ancora oggi critico dell’intero sistema politico americano, si descrive fra l’altro la inconsistenza
del confronto elettorale fra i due candidati alla presidenza che minimizzano o
ignorano volutamente molti problemi
reali del paese. Rimandando all’intervista per chi interessato, concludiamo con
un breve frammento dell’intervista a riguardo del problema della crisi climatica
e della sua sottovalutazione: “Programmare lo sfruttamento di minerali di recente
accessibili nell’Artico e le trivellazioni per cercare altro petrolio, vuol
dire accelerare la catastrofe. Dimostra una straordinaria volontà di
sacrificare la vita dei nostri figli e nipoti a favore di guadagni a breve
termine, o forse una volontà ugualmente notevole di chiudere gli occhi in
modo da non vedere il pericolo incombente; queste cose talvolta si notano nei
bambini piccoli; una cosa sembra pericolosa, allora chiudo gli occhi e non
voglio guardarla.”
nella foto: Jill Stein e Cheri Honkala candidate Presidente e Vice presidente degli
Stati uniti per i Verdi
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