di Andrea Bertaglio *
Lo studio
di Global Coal Risk Assessment sui progetti delle compagnie energetiche di
tutto il mondo. Tre quarti riguardano il subcontinente asiatico e la Cina, ma
anche l'Europa fa la sua parte. Andrea Boraschi (Greenpeace): "Contributo
enorme a gas serra, si va verso il caos climatico"
Il futuro è
sporco: nero come il carbone che alimenta le centrali di oggi e,
soprattutto, quelle di domani. Secondo l’Agenzia Internazionale per
l’Energia, “la domanda di carbone nel mondo crescerà del 21% entro il
2035”. Sono già più di mille i nuovi impianti in arrivo: bruciando il
buon vecchio combustibile fossile, immetteranno in atmosfera una quantità di gas
serra pari a quelle dell’intera Cina, ormai il più grande
inquinatore del pianeta. Catastrofe climatica assicurata, avverte il World
Resources Institute, ma l’allarme cade nel vuoto: l’importante, per i
super-produttori, è garantirsi energia a basso costo. Proprio la Repubblica
Popolare, insieme all’India, ospiterà più di tre quarti di questi nuovi
impianti. I due giganti asiatici però non sono soli: fra i 10 principali
importatori e utilizzatori di carbone restano anche nazioni europee “virtuose”
come la Germania, il Regno Unito e, nonostante la forte vocazione
nuclearista, la Francia.
Il
combustibile più inquinante del mondo non passa mai di moda: come 200 anni fa,
è ancora leader nell’industria energetica. Sono infatti 483 le compagnie
elettriche che, in tutti i continenti, si apprestano a costruire ben 1.199
nuove centrali. Impianti che, come evidenzia lo studio Global Coal Risk
Assessment (qui il documento
integrale, in inglese), saranno capaci di fornire elettricità per oltre 1.400 Gw: una
quantità di energia enorme, pari a quattro volte quella attualmente prodotta
(con il carbone) negli Stati Uniti d’America. Il record di progetti è detenuto
dall’India, che da sola costruirà 455 nuove centrali; segue la Cina, con 363. E
le 381 rimanenti? Saranno sparse in 57 altri Paesi. Fra cui l’Italia,
dove lo studio prevede i cantieri per l’avvio di 4 nuovi impianti.
Si presenta
uno scenario pericoloso che ci allontana dalla possibilità di tenere sotto
controllo gli effetti del riscaldamento globale, avverte il Wri. Eppure,
secondo la coordinatrice dello studio, Ailun Yang, le speranze di rimediare al
peggio ci sono. Se non altro per le politiche climatiche che, nei prossimi
anni, renderanno meno appetibile l’opzione del “carbon power” anche a livello
finanziario. A partire dai nuovi limiti delle emissioni previsti per gli
Usa o per la stessa Cina che, appunto, “potranno dare segnali molto forti circa
i rischi per la futura performance finanziaria del carbone”. Sì, perché al di
là dell’aspetto ambientale, sono enormi le cifre investite dalle principali
banche del pianeta nel combustibile più “sporco”. A partire dalla Banca
Mondiale che, nonostante i suoi recenti appelli
allarmistici sulla crisi climatica globale, solamente negli ultimi sei anni ha finanziato la coal
industry per un totale di 5,3 miliardi dollari.
Se il
vecchio carbone vivrà una nuova giovinezza in Europa e in Giappone, ci
sono Paesi come Turchia e Russia che – riguardo a nuove centrali
– coltivano progetti ambiziosi ma ancora incerti. Senza contare la
costellazione di economie emergenti (dal Senegal alla Cambogia,
fino all’Uzbekistan) che hanno fame di energia immediata e poco costosa,
ma non dispongono di giacimenti entro i propri confini.
Tra
vent’anni, in ogni caso, la domanda sarà enormemente accresciuta, conferma
l’Aie nel suo World Energy Outlook annuale. Uno scenario che, secondo
il responsabile della Campagna Energia e Clima
di Greenpeace Italia, Andrea Boraschi, deve preoccupare: costruire oggi infrastrutture
energetiche di quel tipo vuol dire “aggiungere un contributo enorme alle
emissioni di gas serra per almeno 30 o 40 anni”. E’ questione di numeri,
avverte Boraschi: anche se l’Europa dovesse frenare, “se Cina e India non
invertiranno presto la rotta, la strada verso il caos climatico sarà sempre più
breve e diretta”.
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* da ilfattoquotidiano.it - 24 novembre 2012
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