21 gennaio 2011

Partiti, movimenti, reti


di Massimo Marino

Esistono ancora i Partiti in Italia, quanti sono, chi o cosa rappresentano, su cosa si dividono, hanno obiettivi che riguardano il paese o sono autoreferenziali, sono ancora utili, è possibile oggi allearsi con qualcuno di loro?
Quali e quanti sono i movimenti che aspirano al cambiamento, chi rappresentano, perché sono divisi, che cosa impedisce la loro unione, hanno un peso e quale nella società italiana, sono in grado di cambiare il paese, gli interessa, con quale percorso possono farlo?

Per discuterne è ben cominciare dall’inizio.


1 Già Max Weber, sociologo tedesco, agli inizi del ‘900 affermava con chiarezza che il ruolo dei partiti era quello di ottenere il controllo del governo (e prima del parlamento), dare il potere ai loro capi (leader), ottenere vantaggi (personali e di gruppo).

Contemporaneamente garantire forme di controllo dei governati sui governanti, mediare quindi fra Cittadini e Stato, educare tutti alla democrazia rappresentativa. Sebbene influenzato da Marx ciò non lo portava all’idea che questo percorso in parte virtuoso potesse risultare insopportabile per questa o quella area o classe sociale e spingere necessariamente a scelte rivoluzionarie.


Maurice Duverger, giurista francese, qualche decennio dopo chiariva già che i sistemi elettorali hanno grande influenza sul sistema dei partiti e sulla politica (fino a determinarne le caratteristiche). In particolare chiarendo che i sistemi maggioritari ( specie se a turno unico) spingono al bipolarismo, quelli proporzionali al multipartitismo. Fuori dal regime democratico i sistemi autoritari spingono, ovviamente, al partito unico. Per quanto in paesi dell’area anglosassone e non solo si facesse strada il sistema dei collegi uninominali ( strumentalmente giustificati da esigenze di stabilità) Duverger ammette che nella maggior parte dei paesi il sistema della democrazia è quello del proporzionalismo e quindi del tendenziale pluralismo.


Il nostro Giovanni Sartori, andando per le spiccie, sostiene da tempo che i partiti che contano sono quelli che hanno potere di ricatto, cioè che sono determinanti per promuovere coalizioni di governo, ( potenziale di governo e di ricatto) quindi devono essere medio-grandi; quelli piccoli o che comunque non vogliono governare, (irresponsabili o antagonisti) non servono, quindi tantovale trovare il sistema per eliminarli.
Secondo Sartori sopra i 5 partiti si passa dal pluralismo moderato al pluralismo polarizzato, con presenze antisistema, centro occupato, partiti irresponsabili; pessima situazione (secondo lui) che da anni propina ( per giunta a pagamento) la sua idea singolare di democrazia nelle TV e nei giornali da noi finanziati .


Stein Rokkan, politologo norvegese, una trentina di anni fa affermò che l’origine genetica dei partiti è il prodotto di fratture sociali ( cleavages ), che hanno origini in interessi materiali e/o ideologici di gruppi sociali contrapposti, di 4 possibili tipi: Capitale/Lavoro, Stato/Chiesa, Centro/Periferia, Città/Campagna. I “costruttori della nazione” di Rokken, che potremmo un po’ più brutalmente chiamare da noi “quelli che hanno il potere vero nelle mani “, nei momenti di fratture si alleano inevitabilmente ad uno o più di questi poli a discapito degli altri per sopravvivere alla crisi. ....................

leggi la continuazione sul portale del Gruppo delle Cinque Terre:

www.gruppocinqueterre.it/node/732




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