“Così stanno bruciando il mare, così stanno uccidendo il mare, così stanno umiliando il mare, così stanno piegando il mare…”, cantava Lucio Dalla in una sua famosa canzone. E non ci sarebbero parole più appropriate per raccontare quello che sta succedendo in questi giorni nel Golfo dell’Asinara.
Un disastro ambientale dalle proporzioni ancora non misurabili, che sta avanzando inesorabile nel quasi totale silenzio dei media nazionali (se escludiamo la stampa locale, le associazioni ambientaliste e i siti internet tra cui noi di greenMe.it, che ne abbiamo dato notizia in tempo reale). Chi scrive è nata e cresciuta in questa terra, la splendida Sardegna di cui si parla tanto in estate quando viene invasa dai vip, ma di cui ci si dimentica troppo spesso quando accadono cose che non interessano lo star system o il turismo di massa. Ho mosso i miei primi passi nella spiaggia di Platamona, ricordo il litorale immenso, perdibile a vista d’occhio, le scene di vita quotidiana delle persone che fin dalla primavera affollano le spiagge, i cormorani, le impronte dei gabbiani sulla sabbia, le conchiglie. Tutte cose che si continuano a vedere anche oggi, nell’unica oasi di salvezza per noi sassaresi (ma anche portoterresi e sorsesi) che, nella stagione estiva, non amiamo gli ingorghi e le spiagge affollate. Bene, tutto questo, da martedì scorso, non esiste più. Una fuoriuscita di petrolio, da una delle tubature che portano il carburante dal molo E.On (azienda tedesca produttrice di energia) alla termocentrale di Fiumesanto (Porto Torres), ha danneggiato ben 18 km di costa, inquinando prima il mare e poi le spiagge.
Davanti alle prime immagini ho provato tristezza, che via via si è trasformata in rabbia eindignazione davanti al peggioramento della situazione e al silenzio di media e istituzioni. Un disastro di dimensioni incredibili e di cui, inspiegabilmente, non si parla. Perché? Non è la Costa Smeralda, e lo sappiamo bene noi sardi che questo posto lo amiamo e che chiediamo tutela e valorizzazione per il litorale da decenni. No, qua non troverete personaggi famosi, discoteche, yacht. Solo una spiaggia libera lunga chilometri e qualche baretto qua e là in cui si vende Ichnusa e si può mangiare un buon panino. Per questo forse non importa a nessuno. Ma ora vi svelo una cosa, per chi ovviamente non è pratico della zona: a pochi chilometri di distanza da Platamona troviamo la splendida spiaggia La Pelosa di Stintino, considerata tra le più belle al mondo e, proprio lì davanti, oltre l’Isola Piana, l’Asinara, compresa nell’area del Santuario dei Cetacei, dichiarata protetta da un accordo firmato da Francia, Italia e Monaco nel 1999 e poi ratificato da una legge italiana del 2001.
Sì, proprio quella dove gli operai della Vynils vivono ormai da 326 giorni, altra vicenda di cui si è riusciti a parlare solo grazie all’impegno delle persone comuni che hanno a cuore il futuro di queste famiglie. Un “parco di carta”, come lo definisce Greenpeace, dove non esistono norme di sicurezza e limiti allo sviluppo industriale. Ecco, proprio questi splendidi paradisi sono stati – per ora – risparmiati dal disastro solo grazie al vento di maestrale, che ha trasportato il petrolio verso est, verso Platamona e, in queste ultime ore, Castelsardo.
Forse, dico forse, se la marea nera avesse intaccato queste zone, ora lo saprebbe tutta Italia. Almeno 18 quintali di petrolio dispersi in mare (ma forse molti di più), una chiazza che ieri (sabato, ndr) è stata avvistata anche vicino alla Corsica (forse il governo francese si muoverà di più?); cumuli di catrame sulle spiagge, che si appiccicano ai piedi degli oltre 150 uomini e donne che in questi giorni stanno ripulendo la zona, che uccidono pesci e penetrano in profondità nella sabbia. Fino ad ora sono più di 1000 i sacchi raccolti ogni giorno, pieni di “palle gelatinose” di petrolio. Dei 18 km di spiaggia ne sono stati parzialmente ripuliti ad oggi (domenica, ndr) poco meno di 6. Un duro lavoro che difficilmente si concluderà in tempi brevi. Com’è possibile che non se ne parli? Com’è possibile che un incidente simile sia stato inizialmente sottovalutato a tal punto da permettere che tutto il petrolio giungesse in mare e, successivamente, sulla spiaggia? Di chi sono le colpe? Vogliamo sapere se ci sono stati ritardi negli interventi, perché i sistemi di prevenzione e di emergenza non hanno funzionato, perché le nostre coste, per l’ennesima volta, non sono state tutelate. Sono queste le domande che ci stiamo ponendo e vorremmo che qualcuno rispondesse. Perché non esistono spiagge di serie A e spiagge di serie B, perché un disastro ambientale di tali proporzioni dovrebbe interessare e preoccupare l’intera nazione, e dovrebbe essere punito. Desideriamo che la nostra terra ritorni a sorridere, che ritrovi la propria dignità, che possa affidarsi ad energie nuove e pulite per crescere, e non essere schiava di petroliere, inquinamenti e interessi economici che poco portano al bene dell’isola. Chi ha causato questa strage deve pagare. Rivogliamo il nostro mare, i nostri pesci, le nostre dune di sabbia. Ma soprattutto vogliamo delle risposte.
Per chi volesse sostenere la nostra causa, cliccando qui si può iscrivere al gruppo creato su Facebook e leggere la lettera che è stata inviata ai vertici della E.On, alle istituzioni e alle associazioni ambientaliste.
Cliccando qui potete invece vedere il video girato da Lello Cau (Presidente di Sardegna Ambiente) due giorni dopo il disastro ambientale di Porto Torres.
da http://informarexresistere.fr/
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