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La Cina sta per svelare i suoi obiettivi per
i prossimi cinque anni. Entro fine ottobre, si terrà il quarto Plenum
del XX Comitato centrale del Partito comunista. E il protagonista
assoluto sarà il XV piano quinquennale, che il Plenum è chiamato
a mettere a punto, in attesa della formale approvazione che arriverà a
marzo 2026 dall’Assemblea nazionale del popolo, durante le annuali “due
sessioni”.
Il piano 2026-2030 non è un documento
qualsiasi: segna il primo passaggio del decennio che condurrà la Cina
al 2035, anno in cui il Partito punta a raggiungere il traguardo della
cosiddetta “modernizzazione socialista”. Un concetto che indica
obiettivi concreti: migliorare la distribuzione del reddito, garantire
servizi pubblici di base più equi, accelerare la transizione verde,
avvicinare il perseguimento dell’autosufficienza tecnologica,
rafforzare sicurezza nazionale e governance. Su tutti: completare la
trasformazione del modello di sviluppo, seguendo il principio della
“doppia circolazione” presentato da Xi Jinping nel 2020, vale a
dire riducendo la dipendenza dalle esportazioni (la circolazione
esterna) e aumentando il peso dei consumi (circolazione interna).
A differenza dei cicli precedenti, l’ambiente
interno ed esterno appare segnato da profonde incertezze, dai dazi di
Donald Trump alla debolezza dei consumi interni. In questo quadro, il
nuovo piano dovrà conciliare crescita economica e stabilità sociale,
sicurezza nazionale e apertura internazionale, innovazione tecnologica
e redistribuzione.
La leadership ha già indicato che la
crescita rimarrà una priorità, pur con un orientamento alla “qualità”
più che alla mera quantità. Si parla di fissare un obiettivo annuo
attorno al 5%–5,5%, sufficiente per mantenere occupazione e fiducia dei
mercati. In parallelo, si rafforzerà la capacità dello Stato di gestire
debito pubblico e rischi finanziari, con nuove regole su spesa e
trasferimenti fiscali a livello locale.
Il principale nodo da risolvere è il basso
peso dei consumi privati,
pari a circa il 40% del PIL (contro il 68% degli Stati uniti e oltre il
55% in Europa e Giappone). La contrazione demografica, l’incertezza
post-pandemica e la crisi immobiliare hanno ulteriormente ridotto la
propensione alla spesa dei cittadini. Il piano intende intervenire
ampliando la quota di reddito disponibile delle famiglie, riducendo
diseguaglianze e potenziando il welfare. Sono allo studio riforme
fiscali (ad esempio sull’imposta sul reddito personale), trasferimenti
diretti e voucher di consumo. L’obiettivo (non semplice) è trasformare
il consumo in un motore stabile della crescita, pur senza abbandonare
la leva degli investimenti pubblici.
Un altro fronte è quello delle
ristrutturazioni industriali. Negli ultimi anni, la sovracapacità ha
prodotto una competizione distruttiva in settori come pannelli solari,
auto elettriche e acciaio. Potrebbe comparire il termine
“involuzione”, espressione ormai comune in Cina per descrivere la
concorrenza interna eccessiva che logora imprese e lavoratori senza
generare reale progresso. Il governo ha già dichiarato battaglia contro
questa tendenza, che il piano mira a regolare con nuove leggi sui
prezzi, meccanismi di uscita dal mercato per aziende inefficienti e
incentivi alle fusioni.
La rivitalizzazione delle campagne resta una
delle colonne portanti.
La Cina intende rafforzare la sicurezza alimentare con nuove politiche
su sementi, tecniche agricole e infrastrutture rurali. Parallelamente,
saranno sviluppati servizi pubblici (scuole, ospedali, assistenza agli
anziani) anche nelle zone periferiche, così da contenere squilibri tra
aree urbane e rurali.
Il cuore del piano sarà l’innovazione
tecnologica. A partire da semiconduttori,
intelligenza artificiale, biotecnologie, energie rinnovabili, industria
tecnologica verde, quantistica. Il concetto di “nuove forze produttive
di qualità” è diventato uno slogan chiave della leadership cinese, ma
non si limita a evocare l’adozione di nuove tecnologie. Indica un
cambio strutturale dell’intero sistema economico, volto a superare il
modello basato su manodopera a basso costo, grandi investimenti
infrastrutturali e industrie pesanti. Le nuove forze produttive comprendono
settori strategici ad alto valore aggiunto, capaci non solo di colmare
il divario con le economie avanzate, ma anche di rilanciare filiere
tradizionali attraverso l’innovazione. L’iniziativa “AI Plus” sarà
integrata come piattaforma per accelerare la digitalizzazione dei
settori industriali e dei servizi. Dopo gli anni della stretta
regolatoria, lo Stato punta a reintegrare il settore privato come
protagonista dell’innovazione, coinvolgendo colossi come Ant Group
e DeepSeek. L’obiettivo dichiarato è ridurre la dipendenza dalla
tecnologia occidentale per schermarsi da sanzioni e restrizioni alle
catene di approvvigionamento più avanzate, consolidando una base di
autosufficienza.
Sul piano ambientale, verranno ribaditi gli
impegni: picco delle emissioni entro il 2030 e neutralità carbonica
al 2060. Anzi, verranno aggiornati alle ultime promesse presentate
da Xi al vertice sul clima delle Nazioni unite: riduzione delle
emissioni nette di gas serra tra il 7 e il 10% entro il 2035 e aumento
di sei volte di energia eolica e solare rispetto ai livelli del 2020.
Le tecnologie verdi rimarranno dunque un pilastro del prossimo piano,
con investimenti mirati nelle energie rinnovabili, nella mobilità
elettrica e nell’efficienza energetica.
Il nuovo piano quinquennale dovrebbe dare
ampio spazio anche alla sicurezza nazionale. Non solo e non
tanto in senso militare, ma piuttosto per la protezione delle catene di
approvvigionamento critiche, la costruzione di riserve energetiche e
alimentari, l’autonomia nelle infrastrutture digitali e il
rafforzamento della cybersicurezza. Il concetto chiave è quello
di “sviluppo sicuro”, dove crescita e sicurezza diventano due
facce della stessa medaglia.
leggi anche : https://ilmanifesto.it/collezioni/nord-sud-ovest-est-del-30-settembre-2025?_sc=NTc5MTYxNyMyMDA0MzA%3D
* collaboratore di Il Manifesto dall’Asia
orientale - 1 ottobre 2025
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