Irlanda: Presidenziali-
Contro il genocidio di Israele, per la
riunificazione dell’isola. Sostenuta da tutta la sinistra, vince con uno
schiacciante 63%
«Vogliamo una repubblica di cui essere orgogliosi, una repubblica che non chiuderà mai un occhio di fronte alla normalizzazione del genocidio, alla normalizzazione della questione dei senzatetto o delle oscene liste d’attesa». Sono parole di Catherine Connolly, la neoeletta Presidente d’Irlanda (questo il titolo costituzionale di chi vince le presidenziali indette nella Repubblica). Connolly succede a Michael D. Higgins, il poeta presidente che conclude in questi giorni il suo secondo mandato, e indubbiamente il più amato e rispettato capo di stato irlandese degli ultimi decenni.
L’elezione è avvenuta con una percentuale schiacciante del 63% contro il circa 30% della sua competitor. Si registra però un astensionismo record. L’affluenza al voto è sotto il 46% e la percentuale dei voti nulli è altissima, quasi l’8%.
CONNOLLY, COME HIGGINS, è stata iscritta al Labour Party. Ne è poi uscita per concorrere da candidata indipendente in parlamento, dove si è sempre distinta per le sue battaglie per la giustizia sociale, contro le diseguaglianze e contro l’interventismo occidentale nei conflitti in corso.
Inizialmente, quando ha annunciato la sua candidatura, è stata sostenuta soltanto dai partiti a sinistra del Labour, i Social Democrats e People Before Profit. Solo in un secondo momento si è unito anche il suo vecchio partito. Così ha fatto anche Sinn Féin, cambiando decisamente le sorti della sua candidatura.
Alcune dichiarazioni di Connolly nelle settimane precedenti il voto non lasciano adito a fraintendimenti circa la sua collocazione a livello internazionale. Su Israele, protettorato e avamposto del potere statunitense, ha affermato che «il genocidio è stato consentito e finanziato dal denaro americano», e ha espresso tutta la sua preoccupazione per l’industria militare e i suoi enormi profitti. Ha criticato, ad esempio, la Germania, che «sta ridando vita alla sua economia attraverso l’industria militare», e spiegato che la plurisecolare storia di colonizzazione subita dall’Irlanda «ci consente di avere una prospettiva unica sul mondo, e dobbiamo usare la nostra voce per la pace». Sulla Nato ha dichiarato, «non abbiamo niente da guadagnare e tutto da perdere nell’unirci ai poteri forti. Possiamo parlare di pace solo se manteniamo la nostra credibilità di stato neutrale».
I CRITICI L’HANNO SPESSO sollecitata sul suo presunto antiamericanismo, e negli ultimi giorni di campagna elettorale le è stato chiesto come si sarebbe comportata se avesse dovuto accogliere Trump in visita in Irlanda, dove possiede un golf resort. Connolly, impassibile, ha spiegato che l’avrebbe accolto cordialmente, salvo poi aggiungere che, se l’eventuale discussione verterà sul genocidio, «allora sarà tutta un’altra storia».
Questa e altre dichiarazioni hanno irritato non pochi in Irlanda, in primis tra i banchi del governo di centrodestra, che subisce una chiara lezione da queste presidenziali. I due partiti di cui si compone non hanno saputo esprimere un candidato unico. All’inizio i concorrenti erano due, Jim Gavin di Fianna Fail, costretto a ritirarsi per uno scandalo riguardante una proprietà in affitto (sebbene il suo nome sia rimasto sulla scheda e abbia ottenuto il 7% delle preferenze), e Heather Humphreys di Fine Gail, protestante originaria di una zona al confine tra Sud e Nord, rimasta in corsa fino alla fine ma senza mai suscitare davvero empatia con gli elettori.
La vittoria di Connolly, oltre alla inedita “riunificazione” delle sinistre, si deve senza dubbio al sostegno di Sinn Féin. Non a caso la presidente, nelle settimane passate, ha fatto spesso riferimento alla questione nazionale, e in termini inequivocabili. Ha detto di considerare la riunificazione irlandese una «conclusione scontata», anche perché «l’articolo 3 della costituzione dà voce alla ferma volontà del popolo irlandese di avere un’Irlanda unita». Non ha mancato, poi, di augurarsi di vedere questo scenario, già durante il suo settennato.
Connolly è una figlia del popolo cresciuta in una famiglia proletaria nel sobborgo di Galway. Il padre, carpentiere e impiegato nelle costruzioni navali, ha dovuto crescere una famiglia di 14 figli, dopo la scomparsa della moglie. Trasferitasi in Inghilterra, Connolly ha ottenuto un master in psicologia e una laurea in legge. E prima di dedicarsi interamente alla politica è stata avvocata e psicologa clinica.
SEBBENE DAL PUNTO di vista istituzionale sembrerebbe non esserci stato alcuno scossone, una delle partite più difficili, per Connolly, sarà proprio quella di confrontarsi con l’eredità immensa di Higgins, un presidente artista che, come e più di lei, negli ultimi quattordici anni non ha mai lesinato feroci critiche all’ordine mondiale, scagliandosi, ad esempio, sin dall’inizio contro le politiche genocidarie di Israele, di cui ha ricevuto gli strali.
Altra incognita per lei sarà il momento di grande complessità sociale in cui avviene il passaggio di consegne. Ad esempio, nei giorni passati a Dublino si sono viste proteste violente nei pressi di un albergo che ospita immigrati e richiedenti asilo. I tumulti, scatenati dalla presunta notizia di una violenza sessuale subita da una giovane nelle vicinanze dell’hotel, sono stati sedati con fermezza dalla polizia, bersagliata però da sassaiole e lanci di petardi. Le forze dell’ordine sono state costrette a presidiare per giorni il sito.
SI TRATTA DI EVENTI non più così rari in Irlanda, alimentati dalla destra pro Brexit alleata delle frange oltranziste del Nord. Nulla sembra suggerire che l’atmosfera si alleggerirà a breve. Soprattutto dopo che Sinn Féin in settimana ha proposto a governo e parlamento una mozione per iniziare a pianificare formalmente un processo che, nei loro auspici, dovrebbe portare alla riunificazione.
nella foto: Catherine Connolly lascia la Claddagh National School nella città di Galway dopo aver votato

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